Capitolo cinque

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L'abitante di Fluffytale si alzò dal letto a fatica, dati i vorticosi giri che il suo cervello gli faceva vedere.
Assistette a quello "spettacolo" per circa un minuto, finché la visuale non si stabilì. Con poco equilibrio raggiunse la porta poco prima di cadere, tenendosi alla maniglia per non sbattere la testa per terra. Si raddrizzò, provando a placare quell'emicrania che lo stordiva tanto da fargli vedere i colori vorticargli davanti.
Tenendosi al muro riuscì a percorrere parte del lungo corridoio, che a lui pareva immenso. Provò ad aprire una delle porte, girando il pomo dorato.

Chiusa.
Non sapeva cosa si celasse dietro quella lastra di legno che era saldamente ancorata al muro. 
Provò quella parallela, niente.
Tentò con la terza che, a differenza delle altre, si sbloccò in un attimo. Avanzò timoroso in quella stanza, scoprendo una cucina neanche tanto piccola per lui. Guardò il grande candelabro, ignorando le volte che il suo corpo aveva la sensazione di avere.
Osservò i diversi scaffali, ripieni di ogni singola spezia che conoscesse, e anche di più. Fece scorrere lo sguardo, virando da sinistra a destra, finché i suoi occhi non si posarono su ciò che li sembrava oro: dei biscotti.
Il suo cervello smise di ragionare, l'emicrania, i colori e le vorticose giravolte cessarono. Al centro della sua attenzione, sia mentale che dello stomaco, restava solo quel barattolo di dolciumi.
Si arrampicò sul ripiano in marmo vicino al lavabo, raggiungendo il desiderato cibo.
Aprì il più silenziosamente possibile il barattolo, iniziando a sgranocchiare biscotto per biscotto, sino ad arrivare a metà barattolo.
Sazio, richiuse il tappo grigio e si rampicò di nuovo per riporlo al proprio posto.
Una volta sceso, si ritrovò davanti il peggior incubo immaginabile dalla sua mente.

«I-io...» bofonchiò intimorito, guardando il maggiore con occhi sbarrati. Il sorriso sadico che aveva visto fin dalla prima volta non svaniva da quella pelle pallida.

«Guarda il ragazzino, eh? Sale pure sui mobili ed esce da dove l'ho lasciato, hm? Non va bene, sai?» lo rimproverò, avvicinandosi a tentacoli sguainati.
Odiava essere disubbidito, ma quel piccoletto gli interessava più del dovuto, secondo la sua impeccabile logica. Afferrò il colletto del minore con un viscido arto nero, avvicinandolo a lui. «E dimmi... come ti chiami?» domandò, lasciando un po' basito il più piccolo.

«C-Ccino...» mormorò timidamente il Sans più basso, sentendosi sottomesso e con i giramenti che riprendevano vita, stordendolo e facendoli vedere l'immagine del suo carceriere doppia. «N-Non... n-non mi s-sento bene...» balbettò, sperando che a Nightmare importasse qualcosa. Di tutta risposta il maggiore strattonò Ccino, che, dato il forte mal di testa che lo stava facendo impazzire, sussultò, lasciandosi scappare un piccolo urlo di dolore.
Si mise le mani sulla testa, avvolgendo le dita fra i capelli, come se servisse a placare quella tremenda sofferenza.
Questa volta, il protettore degli incubi, se ne accorse, e lasciò cadere al suolo non curante il minore.

«A-Ahhh! T-Ti prego... a-aiut-...tami...!» implorò. Il maggiore lo guardò con disgusto. Non era colpa sua, e la cosa lo straniva, però non ci diede peso. Forse era normale? Non lo sapeva.
Il prigioniero ansimava dal dolore, e la fronte era imperlata di sudore, mentre le palpebre strizzavano per sopportare il male, mentre i colori vorticavano ancora più intensi nel nero.
Ormai non gli sembrava neanche di essere sul pavimento, il suo corpo a parte la sensazione di star girando non capiva nient'altro.
Il dolore si fece intenso, tanto da far piangere il poverino. Nightmare, finalmente, decise di far qualcosa, accucciandosi davanti all'ostaggio.

«Tutto bene?» chiese, senza ricever risposta. Ccino non lo sentiva, non sentiva nulla. Le orecchie fischiavano e gli stava venendo una terribile nausea. Neanche più pensava, il suo cervello iniziava a scollegarsi lentamente, ma non riuscendo a lenire quel male. «Ehi?» domandò ancora.

«G-Ghn...! A-Ai--Aiut-o...!» provò a dire l'abitante di Fluffytale, inarcando la schiena da quanto doleva. Il corpo smise di contrarre i muscoli, il maggiore pensò fosse tutto finito. Era così, certo, ma ora aveva il carcerato svenuto, inerte al suolo, il respiro affannato e l'addome che si alzava e si abbassava lentamente.
Rimase a guardare il corpo per un po', come se sperasse che si rianimasse magicamente. No, non era così.
Fu costretto a prenderlo fra le braccia, riportandolo in camera, ponendosi domande su domande, senza trovare alcun risposta.

Zucchero // Fluffymare (Human)Where stories live. Discover now