Pioveva.
Da quando aveva cominciato a scavare, la pioggia non aveva cessato; l'aria era gelida, le gocce simili a punte di freccia. I vestiti erano attaccati alla pelle, la casacca e i calzoni che lo stringevano come spire di serpente. Seppur bagnato fradicio, Thomas non si fermò e proseguì nel scavare la seconda fossa, quella che avrebbe ospitato suo fratello minore. Terminò qualche minuto dopo, poi prese il primo corpo, quello di suo padre. Aveva i capelli scuri e ricci, con ancora addosso i vestiti che aveva portato il giorno in cui era morto: una camicia biancastra e dei pantaloni grigi, privo di calzature. Il volto era cadaverico, torturato da orrende macchie nere e bubboni grandi quanto uova di gallina, mollicci e disgustosi. Essendo pesante, Thomas fu costretto a gettare il corpo in malo modo nella fossa, stremato sia fisicamente che internamente. Poi fu il turno di Chuck. Aveva dodici anni il giorno in cui la peste l'aveva strappato dalla sua famiglia, il volto paffuto e il corpo tozzo, i capelli riccioluti e castani. Le mani erano nere e gonfie, il collo azzannato da bubboni e brufoli. I vestiti erano ridotti a brandelli, mostrando una pelle contorta da macchie nerastre, piaghe cutanee e ferita di ogni genere. Thomas lo prese con dolcezza e lo adagiò sul fondo della fossa, piangendo in silenzio.
"Addio, Chuck...", mormorò.
Gli diede un bacio sulla fronte e gli fece stringere nella mano una statuina che aveva scolpito da un ceppo di legno, facendola stringere al petto, dov'era situato il cuore. Thomas prese la pala e cominciò a riempire le fosse di terra, la pioggia che non aveva intenzione di smettere di infastidirlo. Quando ebbe finito, si fece il segno della croce e si guardò attorno: il campo di grano in cui li aveva sepolti pareva avvolgere tutto il mondo, il suo oro che ora era soltanto un giallo morto. Rientrò in casa. Era un bilocale di legno, il soffitto costituito da fieno secco e il pavimento di terra battuta, isolata rispetto alle altre che costituivano un villaggio di contadini. Sua madre era seduta accanto al focolare, come sempre oramai. Ava Paige un tempo era alta e formosa, i capelli lunghi e rossicci, il volto sempre solare e positiva. Anche se non erano passati chissà quanti anni, ora appariva magra e rinsecchita, lo sguardo addolorato e perduto. Portava una maglia bianca, la gonna che arrivava a terra era beige, prive di decorazioni. Metà volto era nerastro, con un grosso bubbone che prendeva l'orecchio sinistro, rendendolo più grande di quanto fosse realmente. Sia lei che lui erano sopravvissuti alla peste, gli unici superstiti del villaggio in cui abitavano. Gli altri erano morti nel giro di un mese.
"Hai fatto...?", domandò debole.
"Sì mamma".
La donna gli porse un piatto di metallo, con dentro mezza pagnotta e una cipolla.
"No mamma non lo accetto. Ne hai bisogno più di me".
"Su dai mangia...".
"Mamma ti prego".
"Thomas, mangia".
"Sono serio mamma mangia tu".
"Thomas, mangia. Ti devo parlare".
Il ragazzo non poté fare altro se non prendere il piatto e sedersi davanti alla madre, azzannando per prima la pagnotta. Mangiò lentamente, assaporando la croccantezza del pane assieme al sapore inconfondibile della cipolla. Ava lo guardava sorridendo, tradendo nello sguardo un forte desiderio di nutrimento. Quando terminò, Thomas poggiò il piatto vicino al focolare e guardò la madre.
"Dimmi".
"Non posso più mantenerti" cominciò "la peste...si è portato via papà e Chuck...e purtroppo sei l'unico che può lavorare tra noi due".
"Lo so mamma. Te ne avevo parlato di quel lavoro da apprendista fabbro-".
La madre lo zittì con una mano.
"No Thomas. Non voglio più essere un peso per te".
"C-che stai dicendo?".
Ava sospirò.
"Ti ho fatto assumere come cameriere di corte".
"Cameriere da corte? Ma stai scherzando?".
"No. Comincerai domani mattina".
"Perché non me ne hai parlato?".
"Perché sapevo che avresti reagito così".
"Ma non voglio essere al servizio di un aristocratico del cazzo".
"Servirai il conte Newt Sangstar".
Newt Sangstar...era un personaggio illustre dalle loro parti. Si diceva che, in cambio di obbedienza assoluta, offrisse a coloro che non avevano più nulla vito e alloggio. Era un grande vantaggio, ma gli svantaggi erano più numerosi dei primi. Pareva che nessuno conoscesse il suo aspetto e i suoi servitori, gli unici che ne vedevano il volto, non avevano il permesso di uscire dal castello. Era un personaggio riconosciuto, avvolto nel mistero.
"Mi vuoi veramente vendere a un tipo del genere?!".
"Non ti vendo a lui, ti affido a lui".
"Io non lo conosco. E se fosse un assassino?".
"Non fare paranoie".
"Non sono paranoie. Chi lo dice che sia veramente una brava persona? Magari è uno stupratore, un ubriacone da quattro soldi o chissà cosa".
"Adesso smettila. Non ti affiderei mai a un soggetto così".
"E perché lo fai?".
"Perché sei l'ultima cosa di preziosa che mi rimane".
Le lacrime stavano appannando gli occhi del ragazzo, e scosso dai singhiozzi scoppiò a piangere. Ava lo strinse a sé, cullandolo amorevolmente.
"Perdonami tesoro, ma è per il tuo bene. Io sono soltanto un peso".
"Ma morirai di fame".
"Non accadrà. Mi prostituirò".
Si staccò da lei e la guardò come si guardava un pazzo.
"Ma sei scema?! Non è vendere il tuo corpo che risolverai il problema!".
"Lo so, ma è l'unica cosa che posso fare".
Thomas la guardò dritto negli occhi, in cerca di qualcosa che gli faceva confermare una bugia così. Purtroppo, era la verità.
"Non farlo mamma...".
Ava gli asciugò una lacrima e gli baciò la fronte.
"Andrà tutto bene".
"Non è vero".
"Sì invece. Devi solo avere fiducia".
Fiducia...
Era la stessa che lui aveva riposto in Dio, quando Chuck si era ammalato, e Dio lo aveva ascoltato? Per niente.
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Al tuo servizio ~Newtmas~
FanfictionLa storia non ha niente a che fare con l'opera originale, quindi potete leggerla senza aver letto/visto i libri/film. Inghilterra, 1250 È scoppiata una tremenda epidemia di peste che sta colpendo l'intera Europa, e a causa della morte del marito e d...