11 Spirito di opposizione e fuga

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Da quella notte, la vita di Thomas peggiorò.
Agli inizi si era illuso di essere veramente amato da Newt, ma capì che era soltanto una speranza vana. Si era rassegnato, tant'è che quando finiva la doccia rimaneva in boxer e si metteva in ginocchio sul letto con le spalle rivolte alla porta. Qualche minuto dopo Newt entrava, gli bloccava i polsi dietro la schiena e lo narcotizzava con un panno umido di sonnifero. Si risvegliava nella stanza del piacere, veniva legato, imbavagliato, e poi dominato. Se la notte era orribile, il giorno non era neanche tanto meglio. I suoi amici gli rivolgevano il classico sguardo con cui si fissava un estraneo, e purtroppo Minho non gli fu sempre accanto. Il mese successivo partì per il turno da Velocista, e da allora rimase solo. L'unica luce che illuminava quell'oscurità era Lizzie. Giocava con lei tutti i giorni, non solo per passare il tempo ma anche perché lei lo faceva sentire amato, come mai in vita sua. Non mancavano mai i pomeriggi di coccole, quando né Thomas né Lizzie avevano voglia di giocare, e quindi si mettevano sul letto matrimoniale di lui a farsi le coccole, finendo sempre per addormentarsi. I giorni divennero settimane, e le settimane in mesi, e l'estate si tramutò in autunno. Settembre era appena giunto, e nella Radura non si faceva altro di parlare delle viti locali, per non parlare di tutte le botti di vini pregiati che giungevano nel forte. Fu quando ne assaggiò uno che ebbe una rivelazione, fortunatamente non per colpa dell'alcol. Aveva capito che Newt non aveva alcun diritto per trattarlo così, e anche se era il conte, Thomas era pur sempre un essere umano, non un giocattolo erotico. Lo affrontò nel primo pomeriggio di settembre, entrando a gran passi nella sala del trono. Newt era sempre lì, seduto su quel seggio con uno sguardo di pietra.
Erano soli.
"Cosa c'è Thomas?".
"Dobbiamo parlare, e non me ne frega un cazzo dei tuoi impegni".
Il conte accavallò le gambe.
"Ti ascolto".
Merda, pensò Thomas.
E ora? Come poteva iniziare? Aveva così tanti pensieri in testa che non sapeva con che cosa cominciare. Provò a ragionare, e disse la prima cosa che gli venne in mente.
"Io non voglio più essere la tua puttana".
Newt lo guardò confuso.
"Come prego?".
"Hai capito bene. Se vuoi scopare con me voglio che ci sia amore, non desiderio di possesso".
"Sei uno stupido se pensi che io ti ami".
"L'ho sempre saputo di non essere ricambiato. A te non interessano le persone, solo quello che hanno tra le gambe. Sei solo un pervertito del cazzo, che quando ti stanchi dei tuoi giocattoli umani li getti nell'immondizia, o nel tuo caso in un cimitero".
"Non sai cosa stai dicendo".
"Credi non le abbia viste le lapidi nelle Faccemorte, quelle col 69? Sono dieci ragazzi, tutti morti nel nello stesso giorno mese e anno, ammazzati da te".
"Non è come sembra".
"Se se. Non ti crede nessuno".
"È la verità".
Thomas non lo ascoltò e si diresse a gran passi verso la porta, e poco prima di aprirla lo guardò, rivolgendogli uno sguardo carico di odio.
"Verrai punito. In un modo o nell'altro".
Poi uscì.

Non si pentì di quello che aveva detto. Era giunto il momento di dire le cose come stavano, e non gli fregava un cazzo se Newt era un conte. Per quanto gli riguardava poteva essere Dio sceso in terra. Non andò neanche a cena quella sera, tanto sarebbe stato trattato come un estraneo, o meglio, un peccatore. Fece le valige ed uscì dal castello. Fortunatamente non c'era più nessuno, e il buio era sufficente per non farsi vedere. Prese dalle stalle il primo cavallo che trovò e lo sellò, equipaggiandolo con le valige. Lo lasciò dentro e con un grosso ramo d'albero stordì le guardie che sorvegliavano il portone. Lo aprì quel tanto che bastava per far passare il cavallo e lo condusse fuori. Salì in groppa e guardò per l'ultima volta la Radura.
Non è mai stata la mia casa. Era una prigione
Scacciò quel pensiero dalla testa e spronò il cavallo ad andare. Era cominciato il viaggio di ritorno.

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