3 Il conte

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Il viaggio parve durare un'eternità.
Thomas non poteva vedere niente oltre l'oscurità che la carrozza gli dava, e ciò gli impediva di vedere fuori. Inoltre, adesso la carrozza pareva sul via di crollare, percossa da spasmi; probabilmente avevano imboccato una strada di montagna, piena di sassi. Ciononostante, gli occhi di Thomas si erano abituati al buio, e adesso riusciva a intravedere Brenda, seduta davanti a lui a tenerlo d'occhio, oltre alla bambina che dormiva di fianco a lui. Con i polsi legati le accarezzò la testa, sentendola mugolare felice. Di colpo la carrozza si fermò. Fu Brenda la prima ad uscire, accecando Thomas con la luce del sole. Si coprì gli occhi con i polsi, ma poco a poco cominciò a vedere: era circondato da campi di tutti i frumenti possibili, col tramonto incombente.
"Scendi dai", lo intimò Brenda.
"Non senza lei", indicò la bambina.
"Di lei se ne occuperà Teresa" si intromise Jorge "io adesso ti accompagno dal conte. Sarà Brenda a portarla da Teresa".
"Subito", disse la ragazza.
Prese la bambina e scomparve, raggiungendo un torrione.
"Seguimi hermano".
Jorge si diresse verso il portone principale e Thomas lo seguì.
"Mi puoi liberare i polsi?".
"Lo deciderà il conte".
Aprì il portone. Si aprì un piccolo cortile interno che collegava il maneggio dei cavalli, l'infermeria e l'armeria, oltre alla porta principale del castello. Jorge lo portò dentro, attraverso un vero e proprio labirinto di corridoi e scale. Gli interni erano sui colori scuri, tra cui il rosso cremisi e il nero, con accenti dorati. Dopo qualche minuto lo portò in una gigantesca sala: era rettangolare, largo dieci metri per venti, il soffitto piatto e privo di decorazioni. Le pareti erano decorate con grosse vetrate colorate con motivi floreali, trasformando il pavimento con la luce del sole la tela di un pittore, di marmo bianco. A guardare la porta c'era un seggio color porpora, troppo elaborato per essere una sedia qualsiasi ma anche troppo semplice per essere un trono. Ci era seduta la reincarnazione della bellezza: un ragazzo di forse sedici anni, i capelli come oro liquefatto e tagliati corti. Era mingherlino, la pelle pallida e gli occhi come nocciole, pronti ad illuminargli un volto affilato e composto. Indossava una casacca di seta dorata, ricamata con rose rosse e alle gambe portava dei calzoni neri, privi di decorazioni. Gli stivali erano di pelle nera ed eleganti e sulle spalle aveva una cappa di seta rossa. Thomas aveva la sensazione di non avere davanti a sé un uomo, ma un dio, e il suo istinto di inginocchiarsi fu troppo forte.
"Alzati", gli ordinò.
La voce era acuta e fredda, ma allo stesso tempo gioviale. Thomas obbedì.
"Lasciaci da soli Jorge".
Jorge annuì ed uscì dalla sala. Il biondino si alzò dal seggio e con passo calmo, seppur zoppicante, lo raggiunse. Il moro non si mosse, il respiro di lui sul proprio volto, ma poi vide il coetaneo liberargli i polsi con una delicatezza mai sentita prima.
"Da quando è scoppiata la peste la prassi per i nuovi è questa", disse quando ebbe finito.
"Comprendo".
"Immagino tu sappia chi sono io".
"Sì. Siete Newt Sangstar, il conte della contea di Bitsburg".
"Proprio così. È stata tua madre a mandarti qui, lo sai vero?".
"Sì lo so".
"Perfetto. Io da te pretendo obbedienza, e se ti riterrò degno, ti darò fiducia come fossi mio fratello".
"Certo signore".
"Quando saremo soli chiamami pure Newt, ma non quando c'è altra gente. C'è una gerarchia da mantenere".
"Lo capisco, Newt. Quali saranno le mie mansioni?".
"Per questo mese farai un po' di tutto, poi, in base a ciò che mi diranno, stabilirò qual'è quella che fa per te".
"Va bene".
"Vedo che sei uno che obbedisce".
"Mio padre teneva molto all'educazione".
Newt sorrise, ma fu solo un attimo che a Thomas bastò.
"Ti mostro la tua stanza".

Thomas si era aspettato di dormire in una cella fredda e priva di finestre, con un sacco di paglia come giaciglio e puzzolente. Invece si ritrovò davanti una stanza enorme, quadrata ed illuminata dalla luce della luna, filtrata attraverso il vetro della finestra del muro di destra. Il letto era matrimoniale con le lenzuola dorate, i cuscini enormi e di mille colori. In fondo a sinistra era situata una porta, e quando il moro entrò rimase di stucco: era una vasca termale larga quattro metri per quattro, con le pareti appannate dai vapori. Affiancati alla porta d'accesso c'erano due armadi di legno nero, decorati nei minimi particolari.
"Dentro agli armadi ci sono le tue cose, tra cui qualche cambio elegante per le feste", gli disse Newt.
"Potrò rivedere mia madre?".
"Domani la sveglia è un'ora dopo l'alba. Alby ti spiegherà come funzionano le cose qui, poi dopodomani comincerai sul serio".
"Lo so ma-".
Non disse nulla che il conte si era già dileguato.

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