14 The Death Cure

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Da quelle rivelazioni, la vita di Thomas cambiò. Prima di uscire dalla stanza di Newt passò ben un mese, affinché la coscia potesse guarire del tutto. Newt non era più freddo e impassibile con lui e si era deciso a trattarlo come il suo fidanzato. Da allora fecero sesso solo ogni fine settimana, e il conte rimase estasiato delle nuove idee del moro. Chiamò a raccolta un conciatore e un maniscalco affinché potessero costruire nuovi giocattoli sessuali. Il primo creò accessori come ad esempio cinture e frustini con la miglior pelle in circolazione, il secondo invece costruì strutture di legno su cui Thomas veniva legato durante le loro notti, tra cui una sedia equipaggiata di braccioli, una enorme X e addirittura un palo che Newt fece mettere al centro della stanza. Il protocollo non cambiò, ma da allora Newt non lo faceva più solo per lussuria, ma anche per amore. Anche i rapporti con gli altri ragazzi cambiarono per Thomas. Non lo vedevano più come l'Eletto ma solo e unicamente come il Fagio, e di questo ne fu grato. Dopo mesi  il conte conobbe Lizzie e anche lui le si affezionò, anche se la vedeva poco per lavoro. Il moro divenne Velocista e fu affiancato a Minho, così poterono vedersi più spesso e Thomas faceva qualcosa durante il giorno. Ma poi, ci fu la pioggia, perchè Newt prese la peste.

I primi sintomi vennero fuori il giorno dopo che Thomas fece ritorno dal turno di Velocista. Fortunatamente nessuno la prese, ma chissà come, solamente Newt fu contagiato. Da allora venne messo in isolamento, e la sola persona che lo poteva vedere era Thomas, lui che la peste l'aveva presa e si era salvato. Mentre si attendeva l'arrivo del dottore, era lui la balia del conte. Gli portava da mangiare, cambi puliti e soprattutto compagnia. Vedere il suo dolore gli faceva ricordare quello che lui, suo padre e Chuck avevano patito mesi prima, prima della loro morte. Rivedere quelle scene era una tortura: durante il giorno Newt non mangiava per via di fortissimi dal di pancia, e per lavarlo Thomas rischiava ogni volta il vomito. Il corpo era interamente ricoperto di macchie nere e giganteschi bubboni, mollicci e ripieni di pus e sangue. E, cosa peggiore, non dormiva alla notte, afflitto da dolori muscolari e tacche di febbre che raggiungevano i quaranta gradi. Thomas allora gli faceva fare caldi bagni termali con erbe curative e oli. Solamente allora Newt dormiva, e il moro purtroppo non si poteva permettere di dormire. Era l'unico che non rischiava di ammalarsi e quindi la sola persona che gli poteva stare accanto, ma poteva capitare di crollare per la stanchezza. Fortunatamente, il medico arrivó due giorni dopo essere stato chiamato, il professor Janson Burkley, famoso per la sua fama da dottore londinese. Arrivó in una mattina di fine novembre, solo e senza colleghi. Era alto con pelle rosea e capelli corti, ordinati e castani. Aveva gli occhi dello stesso colore, un accenno di barba e un sorriso carismatico. Portava abiti modesti, una casacca di pelle scura e lunghi pantaloni neri, accompagnato il tutto da un paio di scarpe nere. Aveva in mano una valigetta di cuoio, e si muoveva con disinvoltura, come chi sapeva dove andare. Alby lo accompagnó fino alla porta della camera di Newt per poi lasciarlo solo. Il medico bussó e senza attendere una risposta entró nella stanza. Quando vi mise piede, vide la scena: Thomas, bombardato di borse sotto agli occhi e occhiaie nere come la pece, che stringeva la mano a un Newt pallidissimo.
"Da quanto tempo, conte", lo salutò Janson.
"Vero", ricambiò il biondino, debole.
Il medico indossó una maschera bianca con parallelo al naso un lungo becco allungato e indossati dei guanti, potè cominciare la visita. Lo spoglió completamente, contemplando le ossa sottopelle e la carnagione più bianca del latte. Si mise a
controllare le macchie, i bubboni, la febbre e i dolori muscolari, il tutto sotto lo sguardo speranzoso di Thomas. L'unica cosa che sperava era che Janson gli desse una buona notizia. Se conoscesse almeno l'un per cento della medicina avrebbe potuto aiutarlo, ma in quel momento si sentiva inutile.
"Allora?", chiese alla fine.
"Il conte ha la peste".
"Nooooo! Davvero? Non lo avrei mai detto! C'è speranza?".
"No. Morirà".
"Non puó morire! Dovete fare qualcosa!".
"Non posso fare niente".
"Maledizione! ".
Dalla rabbia, Thomas diede al muro un pugno cosí violento da lasciarci una conca. Mentre Janson usciva, il ragazzo si guardó la mano: le nocche di tutte le dita erano come esplose, da cui si intravedeva il pallore delle ossa, semi nascoste dal sangue rosso e corposo.
"Sarà un bene che io muoia", commentó Newt.
"Non dirlo neppure per scherzo".
"Morire sarebbe un'ottima punizione per i miei peccati. Oh, Dio mio...".
"Newt" Thomas lo richiamò nel mondo reale "devi vivere. Ti voglio al mio fianco, perchè tu non mi lasci mai...".
Gli accarezzó la guancia con la mano ferita, e Newt, baciandogliela dolcemente, non si rese conto delle gocce di sangue che involontariamente gli entrarono in bocca, che poi ingerì deglutendo assieme alla saliva. Quando accadde, Thomas rimase meravigliato: i bubboni e le macchie nete sulla faccia di Newt scomparvero, la carnagione tornò ad essere rosa carne, ma l'unica cosa che rimase fu una macchia nera a forma di metà cuore sulla mano sinistra, complemenare alla chiazza che aveva Thomas sulla mano.
"Cosa...", mormorò Newt, stupito.
Il moro lo strinse a sè, accarezzandogli i capelli amorevolmente. Non gli importava come potesse essere successo; l'unica veramente importante per lui era che Newt fosse guarito.
Janson vide tutto.

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