Al calar del sole, quando l'orizzonte era tinto di rosso e la luce pareva filtrare attraverso un telo, due figure scure si avvicinarono lentamente all'accampamento, camminando con il sole alle proprie spalle, uno affianco all'altro, e trascinando dietro di loro qualcosa di grosso ed ingombrante, che impacciava il loro ritorno. I focolari del campo nomade erano in procinto di essere accesi e il quarto pretendente della principessa sedeva al centro dell'ampio spiazzo sterrato dinnanzi alle due tende principali: quella della principessa e del Gran Sciamano. Quest'ultimo, in piedi davanti al tronco su cui l'asgardiano era stato fatto accomodare, si appoggiava con entrambe le mani al suo antico bastone, tenendo lo sguardo lattiginoso sull'uomo a cui aveva già posto la fatidica domanda, lasciandogli qualche istante per tirare le somme dell'ora che gli era stata concessa, così da poter almeno tentare di rispondere qualcosa. Era un bell'uomo, che andava avviandosi verso la vecchiaia e i cui capelli rasati sui lati e legati in una lunga treccia dietro la nuca cominciavano a tingersi di grigio, donandogli tuttavia un'aria da nobile re in pensione, con il portamento fiero di un guerriero e l'umiltà di un bravo sovrano. Qualche zingara in età da marito, pur non volendo ammetterlo, aveva sperato ardentemente che non fosse tanto saggio quanto pareva e che di conseguenza non avesse intuito la risposta al grande enigma.
Non appena la più bassa delle due figure, una magra zingara dalla pelle dello stesso colore della corteccia dei pini e gli occhi di un intenso viola scuro, scorse la scena si ammutolì, facendo zittire anche il suo compagno con una leggera gomitata, per poi indicargli con un cenno del capo il rituale che era in corso presso la tribù di lei e che avrebbero visto ripetersi interminabili volte in quei pochi giorni. I due giovani si avvicinarono in silenzio, fermandosi al limite delle tende colorate e assistendo con attenzione a ciò che accadeva.
“Dimmi, dunque: sai quale sia il peggior difetto della principessa degli zingari, futura regina degli Zekos?” domandò lo Sciamano, mentre la sua voce assumeva un tono che non gli apparteneva, come se le viscere stesse del pianeta stessero parlando attraverso di lui, dopo aver fatto strisciare attraverso corsi d'acqua secchi e rocce porose sepolte nelle profondità della terra quelle parole ripetute in milioni di lingue nel corso dei millenni. L'asgardiano rimase per un istante in silenzio, guardando con rammarico verso la candida tenda un'ultima volta, prima di abbassare lo sguardo sul terreno tra i suoi piedi e scuotere la testa con fare deluso, venendo congedato da un gesto del capo dello Sciamano. Subito, un nugolo di zingare adulte gli si fece intorno, rivolgendogli dolci rassicurazioni e offrendogli carne cotta e compagnia, sperando di consolarlo da quel suo fallimento. Rotto quel sacro attimo di attenzione collettiva, ogni zingaro tornò ai propri doveri, gli anziani ripresero i loro lunghi discorsi borbottati e gli adulti tornarono a trasportare tegami colmi di zuppe e carne tenera da un focolare ad un altro, così da poter cuocere la cena per sé e per tutti coloro che avrebbero passato quella sera come ospiti da loro. Il gruppo di adolescenti che si trovava riunito intorno al medesimo fuoco ad ogni pasto riprese a parlare animatamente, presto raggiunto dal Grande Sciamano, che si sedette tra i ragazzi con la naturalezza di un loro coetaneo, parendo semplicemente uno zingaro come altri cento tra quelle chiome spettinate e quei ventri affamati.
“Un altro stolto.” si annunciò al gruppo Sosia, trascinando davanti ai propri piedi scalzi la sua magnifica preda così che tutti la potessero ben osservare: un maestoso cinghiale cadde con un tonfo sordo sul terreno brullo, le orbite nere rovesciate all'indietro e la lingua ruvida che penzolava tra le due zanne spezzate, mentre l'asta di una freccia spuntava dal suo fianco destro, mostrando un ciuffo di piume candide al proprio apice.
“Tutta la giorna a cacciare, per un solo cinghiale?” fece notare con ironia uno dei ragazzi, mentre il fratello dalle lunghe treccine dava di gomito al piccolo Sorte, indicandogli con un ghigno la presenza immancabile del pallido principino.
“Non ti starai arruginendo, Sosia?” scherzò ancora il medesimo ragazzo, mentre la ragazza sbuffava, storcendo il naso e scavalcando l'animale morto, lasciandosi cadere sul tronco dove erano tutti riuniti, al fianco del Grande Sciamano.
“Ho avuto qualche impedimento.” si difese la zingara, lanciando un'occhiata truce all'asgardiano dietro di loro, che con un silenzioso sorriso complice aggirò il triangolo formato dai tre tronchi dove sedevano i ragazzi, ricavandosi uno spazietto tra essi. Molti Zekos si voltarono a scrutarlo con curiosità, soffermandosi sulla particolare sfumatura dei suoi occhi o sul colorito spaventosamente pallido del suo volto, totalmente diversa dalla scura pelle del loro popolo, abbronzato dalla luce di centinaia di astri differenti.
Sosia nel frattempo appoggiò la testa allo scheletrico petto dello Sciamano, chiudendo le palpebre per un lungo istante e abbandonandosi ad un gran sbadiglio carico di tutta la stanchezza che quelle trentasei e passa ore di veglia le stavano facendo scivolare sulle spalle.
“Non sarai stanca, piccola?” la canzonò con tono ironico e amorevole al contempo lo Sciamano stesso, voltando il capo verso la ragazza, ma fissando lo sguardo cieco qualche centimetro sopra le spalle ricurve di quest'ultima, impossibilitato a vedere con certezza dove essa si trovasse.
“Vorrei solo riposare.” mormorò lei, senza riaprire gli occhi e godendosi il calore che emanava il corpo del suo capo tribù. Lo Sciamano recuperò dal terreno il suo bastone nodoso e con esso colpi piano il capo della ragazza, facendole aprire di scatto le palpebre e facendola ritrarre per istinto, mentre si portava una mano alla parte colpita, con un espressione di fastidio che fece ridere molti ragazzi del gruppo.
“Allora vedi di alzare il tuo zijo da qui e di andare a dormire.” le ordinò lui , aumentando le risa tra i ragazzi e provocando un piccolo sorriso divertito anche sulle labbra pallide di Loki, che sedeva di fronte ai due e si godeva la scena dal suo angolo. Sosia si allontanò dallo Sciamano, rivolgendogli un broncio infantile accompagnato da taglienti occhi assottigliati, alzandosi dal tronco e facendo il giro del triangolo irregolare che sostava intorno alla macchia di ceneri, scivolando al fianco di Loki stesso e facendo così scalare i suoi fratelli. I ragazzi ripresero i loro discorsi animati, mentre il principe di Asgard si ritrovò ad assistere ad una divertente disputa tra Sosia e quello che scoprì chiamarsi Melodia, il ragazzo alto e secco dalle lunghe treccine argentate. Loki reputava che il rapporto tra i due fosse quello tipico che vigeva, per eccellenza, tra due fratelli di età differenti, con la presenza di continui battibecchi e di dimostrazioni di affetto velate. Melodia si divertiva indubbiamente a provocare la sorella minore e lei, dal canto suo, era come una miccia pronta ad accendersi ad ogni sua parola. Loki aveva ben appreso quanto suscettibile fosse la ragazza quel pomeriggio stesso. Ma nonostante sembrassero sul punto di farsi la guerra lì in mezzo a loro, all'arrivo della cena, quando le prime stelle si accendevano in cielo e i bambini cominciavano a sbadigliare uno dopo l'altro, Sosia rigirava la carne di cinghiale nel suo piatto con la forchetta, mentre appoggiava il capo alla spalla del fratello, con sporadiche ciocche scure che le ricadevano sul volto, sfuggite alla rigida coda che era andata decadendo durante la lunga ed impegnativa giornata. Lo Sciamano si era congedato non molto prima, quando un quinto asgardiano che era a lungo rimasto a conversare con gli anziani della tribù aveva deciso di tentare la sorte ed entrare nella tenda della futura regina. Un settimo pretendente, sbuffando e facendo tremare nervosamente una gamba, sedeva ai limiti dell'accampamento, rifiutando ogni genere di alimento gli venisse offerto e schivando i tentativi di approccio degli Zekos, che man mano decisero di lasciarlo solo alla sua agitazione. Anche Thor aveva fatto il suo ingresso nei confini occupati dal Popolo Perfetto, radunando intorno a sé una vera e propria commissione di zingari adolescenti, per lo più maschi, ai quali aveva presentato i guerrieri asgardiani con cui era solito allenarsi. Era anche riuscito a rapire l'attenzione della danzatrice provetta, che, l'ultima volta che Loki guardò in direzione del fratello quella sera, si trovava sistemata sulle sue ginocchia, intenta a ridere delle sue parole e godersi tutte le attenzioni di cui lui la copriva.
Il minore degli eredi al trono, nel mentre, stava scoprendo sempre di più il carattere di quel popolo e in particolare della suscettibile zingara dagli occhi viola che per prima aveva rivolto la parola ai due principi di Asgard. Molti di quei ragazzi si erano presentati gentilmente a lui o, nel mezzo di racconti divertenti sulle spiacevoli imprese dei propri fratelli su pianeti sconosciuti, gli avevano narrato antiche leggende del loro popolo, usanze quotidiane che differivano da quelle asgardiane e piccoli aspetti della vita da nomade che lui non poteva ancora comprendere. Fu una serata interessante e piacevole, tanto che gli dispiacque quasi quando vide Sosia alzarsi dalla spalla di Melodia, allontanandosi dalle fiamme del focolare che era stato acceso poco prima dell'arrivo del quinto pretendente e che ora illuminava tutti quei volti dai lineamenti antichi e, a volte, misti. Melodia infatti gli aveva narrato di come non fosse affatto raro che alcuni Zekos si unissero con membri di altri pianeti, creando così Zingari a metà che, nella maggior parte dei casi, restavano con la tribù, rendendo più vario il popolo nomade, che altrimenti avrebbe rischiato l'estinzione totale.
La zingara dagli occhi viola aveva annunciato che voleva lavarsi e cambiarsi d'abito e che, forse, poi sarebbe tornata. Aveva ripetutamente sbadigliato e da quando il sole aveva smesso di illuminare le terre di Asgard sembrava aver perso la sua vitalità e focosità, soffocate dalla stanchezza. Una delle sorella della ragazza aveva rivelato a Loki, mentre Sosia si lavava accuratamente nella sua tenda, che la ragazza non chiudeva occhio da ben prima di raggiungere il suolo asgardiano, il che rendeva il suo immane bisogno di sonno più che comprensibile.
“Allora, Loki, chi tra voi due principi salirà al trono?” domandò Melodia d'un tratto, ancora impegnato a mangiare ciò che era avanzato del cinghiale catturato da Sosia, ingurgitando una quantità considerevole di cibo per qualcuno con un fisico così magro. Il ragazzo interpellato sospirò, rigirando un dito nella scodella mezza vuota di latte di yak caldo, che una anziana madre Zekos aveva assicuratogli essere molto conciliante per il sonno. Ed in effetti, Loki doveva ammettere che da quando la metà del bianco liquido era sparita nel suo stomaco cominciava a sentire le palpebre farsi pesanti e il desiderio di dormire crescere.
“Thor, con ogni probabilità.” rispose, tenendo lo sguardo chino sul suo latte. Melodia fece per parlare di nuovo, ma la maggiore delle zingare, che era giunta tra loro dopo che anche il sesto asgardiano aveva fallito, lo bloccò con uno sguardo di fuoco, trasmettendogli il chiaro messaggio che era evidentemente meglio non tirare fuori quell'argomento dinnanzi al ragazzo. Loki tuttavia non ne era turbato, nutriva quella certezza da ormai molto tempo e stava tentando di convincersi, inconsciamente, che nulla gli importasse che fosse suo fratello a diventare legittimo re e non lui. Aveva sempre pensato di meritare il trono tanto quanto Thor, se non di più, ma a quanto pareva Odino non era della medesima idea.
“D'accordo, che ne dici di andare a controllare se Sosia è ancora viva?” ridacchiò dunque il ragazzo dalle lunghe treccine, sperando così di stemperare la tensione e, forse, di reintrodurre nella serata l'animo bollente della sorella, che avrebbe sicuramente tenuto tutti ben svegli ancora per svariate ore. Loki annuì in silenzio, lasciando la tazza sul tronco e alzandosi, facendo attenzione di non far prendere fuoco al proprio soprabito verde, che era rimasto piegato al suo fianco fino a quando un fresco vento non si era alzato da est. Durante l'estenuante giornata di caccia il cappotto del principe si era rovinato e strappato sui bordi, macchiandosi di fango e acqua stagnante, oltre a presentare qualche piccolo schizzo del sangue del grande cinghiale e il preciso forellino di una delle frecce di Sosia, che aveva tentato di inchiodarlo ad un albero per guadagnare terreno.
L'adolescente si addentrò per la prima volta nell'intricato labirinto di tende dei più svariati colori, molti dei quali erano appena riconoscibili nel buio della notte. Alcune di quelle tende erano completamente buie, ancora vuote o contenenti zingari già addormentati, mentre altre presentavano una luce interna che rendeva la tenda come il grosso telo che Thor e Loki usavano da bambini per giocare alle ombre. Proseguì per un po' alla cieca, sperando di incontrare la ragazza di ritorno, ma rassegnandosi alla fine e chiedendo indicazioni al primo Zekos che riuscì ad avvicinare, che subito gli indicò una grossa tenda dalle tinte scure, più o meno al centro dell'accampamento.
Mentre il ragazzo scivolava tra quelle abitazioni di fortuna in direzione dell'alloggio della zingara dagli occhi d'ametista, i fratelli di quest'ultima bisbigliavano alle loro spalle, intorno al focolare.
“Cosa pensate di lui?” domandò il piccolo Sorte, che cercava di reprimere le prime avvisaglie del sonno, volendo rimanere sveglio a parlare con i fratelli per non essere escluso dai loro discorsi più maturi e complessi, come capitava con molti bambini.
“Non è terribile, in fondo.” ammise Melodia, a cui quello spaventapasseri di neve iniziava ad interessare e verso il quale nutriva una lieve simpatia, in via di sviluppo.
“Ha uno strano modo di interagire con Sosia.” sottolineò Vera, una delle zingare più silenziose, ma che forse era in grado di comprendere meglio l'animo turbolento della sorella.
“Perché assume due atteggiamenti differenti.” si intromise nella conversazione la sorella maggiore, attirando tutti gli sguardi su di sé. Nessuno fiatava quando era lei a parlare e tutti attendevano con attenzione i suoi verdetti, sempre saggi e ben ponderati. “Quando si trova con noi – spiegò lei – si comporta nei confronti di Sosia in maniera differente da come agisce invece quando è solo con lei.”
Un sorriso che appariva spettrale, illuminato dalle tenui fiamme del fuoco, increspò le labbra solcate da decine di piccole cicatrici bianche di Vera, che puntò le sue iridi bianche, simili a quelle dello Sciamano, sulla sorella maggiore.
“E' soltanto la seconda notte. Tutti noi sappiamo quanto possa cambiare in soli tredici giorni.” concluse, chiudendo temporaneamente l'argomento.
Nel frattempo, arrivato alla tenda dai panneggi scuri, Loki esitò un istante. Non c'era una campana da suonare o un portone su cui battere per chiedere al proprietario dell'abitazione il permesso di entrare. Alla fine Loki decise solo di scostare lentamente l'entrata, scoprendola essere costituita da una doppia stoffa.
“Sosia?” chiamo ad alta voce il principe. Era la prima volta che pronunciava il suo nome, che suonava anomalo alle sue orecchie, abituato a nomi ben diversi per ragazze e donne. Inizialmente, nessuna risposta gli vedde data.
“Sosia sei ancora qui?” ripeté il giovane, scivolando nello stretto spazio presente tra i due teli, scrutando attraverso il secondo l'interno della tenda, lievemente illuminata da una piccola luce. Con un movimento deciso si introdusse definitivamente nell'ambiente interno, scoprendolo molto più spazioso di quanto avesse creduto. Per la poca luce e la quantità innaturale di tappeti, cuscini e lenzuoli sparsi per la tenda, inizialmente Loki non notò la figura di Sosia. Ma dopo un'accurata analisi del posto riuscì a scorgere la chioma – ora sciolta – della zingara, che dava le spalle all'uscio, sedendo a terra con le braccia incrociate su un tavolino basso, sopra il quale era posizionata quella che a primo impatto Loki classificò come una lanterna.
“I tuoi fratelli si chiedevano se tu fossi ancora viva.” annunciò con una lieve sfumaura ironica nella voce il ragazzo, prendendosi del tempo per contemplare la tenda dall'interno, mentre copriva la poca distanza che separava i due giovani con passi lenti. Le spalle della zingara si alzarono e abbassarono lentamente in un lungo sospiro.
“Sanno che ci vuole ben più di questo per uccidermi.” rispose lei, con tono piatto, ma che lasciava trasparire un po' della stanchezza che tutti avevano già notato in lei in precedenza. Loki sbuffò divertito, voltando il capo di lato ed esaminando il giaciglio della ragazza: un ammasso di cuscini sopra un materasso di coperte piegate.
“Non avevo la forza di tornare indietro. Sono stremata.” continuò Sosia, che indossava ora la corta veste bianca che Loki aveva visto indosso a molte donne e fanciulle di ogni età quella stessa sera e che intuiva essere una sorta di pigiama.
“E poi, certe volte prediligo il silenzio.”
Loki si bloccò ad un passo dalla figura piegata della zingara, che posava il mento sulle braccia intrecciate, osservando l'interno di quella che il ragazzo, erroneamente aveva chiamato lanterna. Il principe di Asgard si sedette al fianco della giovane, osservando anche lui il barattolo di vetro che emanava luce, che però non proveniva da una fiamma, bensì da una nuvoletta di piccoli insetti, che brulicavano contro le pareti interne del contenitori che gli faceva da gabbia.
“Cosa sono?” domandò confuso e affascinato al tempo stesso il giovane dio, incuriosito da quelle bestie brillanti.
“Lucciole.” rispose Sosia, la voce leggermente impastata per via della posizione assunta dalla sua mascella. “Sono degli insetti. Qui tra i Nove Regni si trovano solamente su Midgard, ma queste provengono da un pianeta del dominio Kree, quasi dall'altra parte dell'universo.”
Loki allungò un dito verso il barattolo, battendo la falange dell'indice contro il vetro e guardando gli insettini allontanarsi dal punto dell'impatto, svolazzando per il barattolo e luccicando ad intermittenza, per poi riposarsi da qualche altra parte.
“Affascinante.” commentò lui, sincermante colpito. Sosia fece un sorrisetto, divertita dall'eccitazione dell'asgardiano, e ruotò il volto verso il principe. Piegando la guancia sul bracio destro allungò la mano opposta verso il viso pallido di Loki, sfregando con il pollice una macchia di fango rimasta attaccata alla sua guancia, creando un contrasto di colori tra il terriccio scuro e la pelle candida del principe. Loki la lasciò fare, finché lei non si arrese, constatando che quella macchia non aveva intenzione di venir via con così tanta facilità.
“Sei un disastro.” lo apostrofò, la voce impastata dal sonno che la stava lentamente rapendo.
“E' sempre bello ricevere un complimento da una bella ragazza.” scherzò lui, mentre lei fissava con immenso fastidio quella macchiolina che andava a minare la perfezione del volto di Loki. Sosia riteneva difatti che tutte le cose avessero una propria armonia, qualcosa che riusciva a renderle perfette in un qualche modo, e quella dannata chiazza di terriccio stava mettendo a soqquadro l'ordine naturale della bellezza di Loki, che poteva essere o non essere condivisa.
“Sì, sei proprio un disastro.” concluse, spostandogli un ciuffo di capelli neri e altrettanto sporchi di fango dalla fronte con due dita e facendo ridere Loki, per la prima volta da quando si conoscevano. La zingara esaminò quella risata, concludendo che doveva essere qualcosa di raro e non di certo un'abitudine per l'erede al trono.
“Dovresti ridere più spesso, Loki.” espresse i suoi pensieri ad alta voce, tornando a fissare le iridi smeraldo del ragazzo.
“E' un ordine?” ironizzò lui, facendo ruotare gli occhi a Sosia, che torno ad incrociare le braccia e ci appoggiò il capo, mentre i suoi occhi faticavano sempre di più a rimanere aperti.
Loki rimase in silenzio per qualche istante, prima di inclinare leggermente il volto di lato, guardando il volto stanco della Zekos.
“Forse dovresti andare a dormire.” consigliò, mettendo momentaneamente da parte il suo abituale sarcasmo, mentre lei annuiva, approvando quel consiglio. Entrambi si alzarono e, mentre Sosia andava a posarsi sul suo giaciglio, Loki si avviò all'uscita della tenda, scostando il primo telo e fermandosi un istante per voltarsi un'ultima volta verso la ragazza, che già si stava coricando sotto un leggero lenzuolo.
“Buonanotte, Sosia.” le augurò, progettando già di tornare dagli Zingari rimasti al focolare, per passare gli ultimi minuti di quella serata con loro, prima di tornare anche lui al proprio comodo letto, ben più grande e sfarzoso di quello della fanciulla.
“Luxantes, Loki.” mormorò lei, facendo sorridere appena lui, un attimo prima che se ne andasse.
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||𝐏𝐄𝐑𝐅𝐄𝐂𝐓 𝐏𝐄𝐎𝐏𝐋𝐄|| 𝘓𝘖𝘒𝘐
Fanfic《"Asgard..." chiamò in un sussurro, simile al soffio di vento che muove le fronde dei pini centenari nei boschi più grandi. "Non mi ha mai deluso."》 →|AU (non tiene conto degli eventi di "Thor")