|| 𝙳𝙾𝙳𝙸𝙲𝙴𝚂𝙸𝙼𝙾 𝙶𝙸𝙾𝚁𝙽𝙾 ||

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“Penso di volere un bambino.”
“E chi diavolo sarebbe disposto a fare un figlio con te?”
“Potrebbe sorprenderti la risposta.”
Melodia e Sosia si trovavano sdraiati tra l'erba rada e seccata dal sole dell'immensa pianura dove si trovava l'accampamento. Quello era il loro penultimo giorno lì e volevano concedersi un ultimo, intenso sguardo a quel cielo che non avrebbero mai più rivisto. Le possibilità di tornare sul medesimo pianeta due volte nella vita per uno Zekos qualsiasi erano pressoché nulle, anche senza quell'enorme fardello che gravava sul loro futuro e che avrebbe messo fine alle loro ricerche per millenni, se non di più. Ora la domanda di tutti i componenti di quella numerosa tribù era una soltanto: chi, tra le decine di giovani che si accalcavano davanti alla tenda della principessa in quegli ultimi attimi, avrebbe saputo dare la corretta risposta alla domanda dello Sciamano? Sosia non era sicura di volerlo sapere, ne era quasi certa. Proprio per questo si era ben volentieri distaccata dal resto del Popolo Perfetto in sola compagnia del fratello maggiore, che era famoso tra i giovani per non essere in grado di prendere con serietà alcunché. Restavano quindi stesi uno affianco all'altra, le mani intrecciate sotto la nuca e lo sguardo rivolto al cielo, aprofittandone della posizione del sole, ancora troppo basso per accecarli, per contemplare la porzione di cosmo visibile da Asgard. Fissavano le nuvole, udendo di sbieco le voci dei bambini che gridavano e gli ordini che i cacciatori strillavano, organizzando le provviste e le eventuali spedizioni alla ricerca di cibo per gli ultimi pasti degli Zekos. Nulla sarebbe avanzato allo scadere della tredicesima notte e se, nell'improbabile, se non impossibile, eventualità di un errore nella predizione di Vera, avessero dovuto visitare un prossimo pianeta, sarebbe stato compito degli Arceri Scelti andare alla ricerca di vivande nel nuovo mondo.
“E sarebbe un maschio o una femmina?” si interessò Sosia, nonostante trovasse impensabile che una ragazza sana di mente potesse decidere di sposare una testa calda come Melodia. Era molto più probabile, nella mente della zingara, che il ragazzo si ritrovasse a trascorrere l'età adulta come faceva Precisione: un uomo dal bell'aspetto e dal ruolo importante all'interno del loro popolo, ma perennemente scapolo per via delle sciocchezze commesse da giovane e per il carattere troppo brioso che, nonostante il passare dei secoli, l'aveva accompagnato fin dalla gioventù.
Melodia ci pensò su per un po'.
“Un maschio.” rispose infine e Sosia annuì piano.
“Tu vorresti figli?” le domandò poi il ragazzo, voltando il capo tra la polvere, così da poter guardare il profilo della sorella. Lei rimase a fissare il cielo coperto da piccole nuvolette bianche, nelle quali per un breve tempo aveva tentato di scovare figure nascoste e che solo la sua immaginazione era capace di creare.
“Io avrò figli. Una femmina.”
“Oh.”
Melodia tornò a voltarsi, mentre avvertiva un filo di tensione instaurarsi tra loro due, oltre ad una sorta di strano imbarazzo che già un paio di altre volte si era trovato a provare nei confronti della sorella. Nonostante non gli fosse molto chiaro cosa davvero Sosia volesse dal proprio futuro, Melodia decise di non insistere, accontentandosi di quelle dure parole che, in fin dei conti, costituivano ugualmente una risposta. Quando il silenzio che era calato tra i due fratelli parve al maggiore dei due insopportabile, lo zingaro dalle lunghe treccine si puntellò su un gomito, alzando il busto dal terreno e osservando dall'alto la sorella. La sera prima, presa da un attacco di profonda noia, Grazia aveva disfato tutta la sua massa di piccole trecce – che venivano riacconciate circa una volta al mese, se nessuna delle sue sorella veniva colpita dal desiderio di lavorare i suoi capelli prima del tempo – e le aveva riannodate tutte con grande cura, una dopo l'altra, eliminando i filamenti d'argento che le incastravano e stringendo alla fine di ognuna di esse un piccolo elastico di un colore differente. Il risultato era stato quello di far apparire il fondo della folta chioma dello zingaro simile ad un arcobaleno in miniatura, che creava una dolce scia di colori ogni volta che lui voltava il capo o scuoteva la testa, agitando così di conseguenza tutte le piccole treccine che avevano tenuto impegnata la giovane danzatrice per quasi l'intera serata.
“Ti ricordi quella volta che abbiamo assistito a quell'assurdo combattimento tra guerriri con sei braccia?” domandò d'un tratto il ragazzo, mentre un antico ricordo di quando era poco più che un bambino affiorava alla sua mente. Riuscì a rivedere la sconfinata distesa di azzurra terra che era quel pianeta di cui aveva dimenticato il nome e riuscì quasi a risentire il lontano odore che aveva l'atmosfera lì, qualcosa che con ogni probabilità avrebbe ucciso un asgardiano in pochi secondi, se solo si fosse azzardato a prendere qualche respiro di quell'aria estranea.
“Quelli con gli occhi gialli?” chiese Sosia, corrugando la fronte nel tentativo di inquadrare alla perfezione il pianeta di cui stavano parlando, in particolar modo le creature – paragonate ad animali dagli abitanti, nonostante la forma vagamente umanoide – che per il divertimento degli spettatori si scannavano a vicenda, lottando fino a che non ne fosse sopravvissuto uno soltanto. Era stato uno spettacolo raccapricciante, ma non dei peggiori che gli occhi di Sosia avessere avuto la sfortuna di vedere. Un'eco distante della voce di Loki che le dava dell'insensibile per non trovare terribile la vista di una carcassa di cervo le balenò per la mente e a lei venne quasi da ridere.
Come la mettiamo ora, Fiocco di Neve?”
“Esattamente!” rispose Melodia, felice che la sorella avesse capito immediatamente a cosa alludeva, risparmiandogli così lunghe spiegazioni sconnesse che avrebbero portato solo ad una grandissima confusione. Sosia annuì; ricordava bene quel pianeta.
“Ecco, pensi di essere in grado di riprodurne uno ora?” domandò con la voce tremande di emozione il ragazzo, gli occhi scuri che luccicavano di una luce vagamente macabra. Era da secoli che la zingara si domandava cosa il fratello potesse trovare di tanto eccitante in violenti lotte, inquietanti squartamenti e macabri delitti, ma doveva ammettere che aveva girato il cosmo abbastanza a lungo da poter concludere che la violenza ingiustificata era la più antica e rozza forma di spettaccolo mai esistito. E questa cosa sembrava valere sopratutto per gli uomini, nonostante Sosia ammettesse di trovare piacevole la vista di certi incontri di lotta non troppo sanguinosa riscontrata in alcuni dei pianeti del regime Kree, anche se forse si faceva sviare troppo dalla scarsa quantità di abiti che i muscolosi combattenti indossavano.
Sosia chiuse per un attimo gli occhi, intagliandosi nelle palpebre l'immagine della grossa e rudimentale arena di quel lontano pianeta e in particolare le sagome di due gladiatori a sei braccia, in piedi a diversi metri di distanza, in attesa di lottare. Dischiuse le palpebre e una fioca luce color ametista attraversò le sue iridi scure per un solo istante. L'aria davanti a loro parve incresparsi per un istante – o forse era la sabbia che si gonfiava, come se due enormi bozzoli ne dovessero emergere? - e le mastodontiche figure di due guerrieri con tre braccia per ogni fianco apparvero dinnanzi a loro, osservandosi con aria vuota e distante, come burattini inanimati a cui ancora non si è donato un volto. Lo sguardo di Melodia scintillò.
“Sei incredibile.” sibilò a bassa voce, osservando i due corpi, tremendamente reali, che attendevano ordini in piedi nella polvere della pianura.
“Forse.” ammise la ragazza, mentre un secondo bagliore, questa volta molto più insistente e acceso del primo, le illuminava le orbite. Due espressioni feroci si dipinsero sui volti corrucciati e ringhianti dei combattenti, che piegarono le grosse spalle superiori, aprendo le sei braccia come se dovessero gettarsi alla rincorsa di un animale in fuga, pronti a ghermire l'avversario e dare inizio alla loro lotta all'ultimo sangue. La pelle bluastra si tese sui loro potenti muscoli e le unghie, incolte e giallastre, parvero scintillare nel sole di quel primo pomeriggio.
“A te l'onore.” mormorò annoiata la zingara, non particolarmente entusiasta all'idea di assistere a tale spettacolo brutale, ruotando sul ventre e incrociando le braccia sotto il capo, seppellendoci poi la faccia e socchiudendo le palpebre, rendendo così più semplice alla propria mente guidare i movimenti dei due sosia che aveva appena creato, facendo risultare la battaglia il più realistica possibile.
Innim!” esclamò con trasporto Melodia, alzando un pugno in aria e facendo spalancare le mascelle apparentemente smisurate dei due esseri, mostrando fragili filamenti di saliva collegare i lunghi canini a sciabola dell'arcata inferiore ai denti più tozzi e listi incastrati nella gengiva superiore, mentre due versi simile al ruggire di una tigre faceva vibrare le loro gole. Le due creature si corsero in contro, avventandosi poi uno sull'altro e dando inizio alla loro dose di sacrosante botte, mentre Melodia esprimeva commenti ad alta voce o si prodigiava in un'ampia gamma di versi di disgusto, terrore o ammirazione per le azioni compiute dai due. Sapeva che, nonostante non fossero altro che un prodotto della memoria e dell'immaginazione della sorella, quei due esseri mostruosi dall'incarnato azzurro steso come un velo sottile sopra sei paia di diversi bicipiti avrebbero potuto risultare molto realistici, se Sosia l'avesse desiderato. Se ne avesse sentito il desiderio, il ragazzo avrebbe potuto aggregarsi alla lotta, ricevendo veri pugni e colpendo corpi reali. Ricordava di un periodo, qualche decennio addietro, in cui, indipendentemente dal pianeta su cui si trovavano, la ragazza al suo fianco era facilmente osservabile allenarsi ai limiti dell'accampamento, sferrando pugni alle mani salde di un giovane uomo sicuramente appartenente alla tribù degli Zekos che nessuno di loro aveva mai visto e che persino gli anziani giuravano di non ricordare. E dalla quantità impressionante di lividi e ferite che si procurava ogni volta, quella sorta di clone fittizzio doveva andarci giù parecchio pesante con lei.
Melodia rimase a guardare le due creature sfidarsi una più agguerrita dell'altra, mentre al suo fianco la giovane sonnecchiava tranquilla, rivolgendo di tanto in tanto una rapida occhiata al fratello, per assicurarsi che fosse ancora ammaliato dalla lotta e non si stesse invece annoiando. Quando il sole iniziò a bruciarle le spalle con insistenza quasi violenta, Sosia rotolò su un fianco, puntando un gomito sulla scomoda terra dura e sostenendosi il capo con l'intero palo, passando lo sguardo dal ragazzo al suo fianco ai due lottatori. Uno dei due guerrieri aveva staccato a morsi una delle tre braccia sinistre del suo avversario, che però non sembrava affatto intenzionato a fermarsi, continuando anzi con maggiore motivazione e tentando di ricambiare il favore al proprio nemico, puntando però al suo collo. Quello che pareva essere momentaneamente in vantaggio bloccò il tentativo di decapitazione dell'avversario, afferrandogli le fauci come fossero quelle di un leone da domare e spalancando la bocca dell'altra creatura fino al punto di rottura, con un sottofondo di orribili versi di dolore da parte dell'altra.
Sosia emise un verso vagamente disgustato, ma vedendo quanto quell'azione sembrasse coinvolgere il fratello, lasciò che la sua proiezione frantumasse la mandibola dell'avversario, lasciandolo poi cadere al suolo, mentre il suo sangue verdastro si mischiava alla polvere e scheggie della distrutta mascella schizzavano nel cranio dell'ormai defunto guerriero, mettendo fine alla sua breve ma sicuramente dolorosa esistenza. Il vincitore si voltò verso il suo piccolo pubblico, lo sguardo fiero e vitorioso e un grosso taglio sanguinante sopra un occhio. Melodia scoppiò in un eccitato applauso, che parve far gonfiare ulteriormente il petto del clone.
Incredibile!” esclamò l'adolescente, sprizzando entusiasmo da ogni poro. Sosia fece un gesto vago con la mano, come a voler smorzare tutta quella gioia.
“D'accordo, ma ora basta. La vista di quel cadavere sta iniziando a farmi sparire la fame.” dichiarò, e con un breve bagliore dei suoi occhi i due guerrieri sparirono, coperti da un improvviso soffio di vento che aveva alzato un gran nuvolone di polvere, che Melodia sospettò non fosse altro che un'altra illusione della sorella. Rimasti soli in quella pianura arida, Melodia si rigettò all'indietro tra la polvere, sospirando soddisfatto e fissando il cielo ancora chiaro.
“Pensi che lo Sciamano permetterà combattimenti all'ultimo sangue quando saremo tornati sul nostro pianeta?” domandò con un largo sorriso speranzoso il ragazzo. Sosia si irrigidì, diventando di ghiaccio nonostante i caldi raggi del sole che le piovevano addosso. Rimase per lunghi istanti zitta, per poi tornare a stendersi a sua volta a pancia in su, affianco al fratello.
“Non dire scemenze, Melodia, non siamo barbari.” rispose infine, seria. Il ragazzo non controbatté, ben sapendo che il suo era un desiderio vano ancora prima di porgere la domanda all'amica.
Un altro lungo silenzio si instaurò tra i due, che parvero perdersi entrambi in intricati sentieri di pensieri, che si intrecciavano tra di loro in bivi inconsistenti e sparivano in foreste di dubbi, o si inabissavano in mari di paure e speranze.
“Ti mancherà Asgard?” domandò dopo molto tempo il ragazzo, che quel giorno sembrava ansioso di gettar fuori dal proprio corpo tutte le domande che probabilmente non aveva mai fatto a Sosia, ma che aveva segretamente desiderato di poterle porgere.
“Sì.” rispose immediatamente la ragazza, senza esitazioni o ripensamente. “Più di qualsiasi altro pianeta, probabilmente.”
“Wow, questa è un'affermazione forte.” commentò vagamente stupito lui. Sosia sospirò, chiudendo le palpebre sui brillanti occhi ametista e riaprendole dopo svariati secondi.
“Lo so.” rispose, prendendo pieno atto delle sue parole, che per una volta non erano altro che il riflesso dei propri pensieri.
“Ma ciò che c'è qui dubito di poterlo trovare in qualsiasi altro posto.”

























Jotunheim

odio le persone.
e in particolare odio delle persone che non dovrei e potrei odiare.
quindi le detesto con tutta me stessa ma non posso lamentarmi perché non sarebbe corretto.
quindi devo odiarle in silenzio.
mi sento un po' tipo quel gatto incazzato che fa da meme: lo vedi perennemente arrabbiato ma non sai per quale motivo.

ecco.

odio odiare le persone.

mannaggia a mia madre che mi ha fatto intollerante alla gente.

||𝐏𝐄𝐑𝐅𝐄𝐂𝐓 𝐏𝐄𝐎𝐏𝐋𝐄|| 𝘓𝘖𝘒𝘐Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora