Prologo.

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Prologo.

Un'altra volta. Un'altra volta hanno alzato le mani su di me. Un'altra volta mi hanno delusa. Ma questa volta no. Questa volta non lascerò passare come se nulla fosse. Un'altra mossa sbagliata e li denuncio.

Sono nella mia stanza. Seduta a terra, con la testa tra le mani e le lacrime che mi rigano le guance. Piango. Piango e non riesco a smettere. E per questo mi odio. Mi odio perché ho pianto davanti a loro come per dire 'avete vinto voi'.

E non piango per il dolore. Quello non c'é mai. É andato via col tempo. Dopo il primo mese già non lo sentivo più. Forse sarà l'abitudine. Perché sì, me ne sono abituata. Ormai é un deja-vu.

Piango per la delusione. Si, mi hanno delusa. Mi hanno picchiata spudoratamente, senza preoccuparsi di dare un motivo alla loro aggressione nei miei confronti.

Perché un motivo non c'è, non c'è mai stato, e credo mai ci sarà. Allungano le mani su di me, per il loro nervosismo o non so cosa, ma lo fanno, senza pensarci due volte, mi picchiano fino a sfogarsi, cercano il minimissimo errore che io commetta e mi picchiano.

Io sono Isabell. Ho tredici anni e faccio la terza media.

I miei genitori mi picchiano da quando avevo otto anni.

Ma prima non capivo. Pensavo che lo facevano per 'insegnarmi l'educazione' o cazzate varie che gli adulti dicono, ma non é così. Io ero educata. Non mi ero mai comportata male nei confronti di nessuno. Ma di questo loro se ne fregavano. Per loro bastava sfogarsi e ci riuscivano al meglio, incidendo sul mio corpo ferite che avrebbero lasciato cicatrici. Cicatrici che ogni volta che avrei rivisto, avrei pensato alle loro viscide mani su di me.

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