Un aiuto dal cielo

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Fenice e Rom erano rimaste con il capo sollevato, immobili, come creature selvatiche fiutavano il pericolo nel cambiamento del vento. L'istinto, sopito nei comuni mortali, era in loro ben desto, grazie all'addestramento magico ricevuto. Il battito di enormi ali ruppe la quiete della foresta, seguito da uno spaventoso ruggito. Con un paio di soffici passi nell'erba, l'enorme creatura dal corpo felino si mise davanti al tronco di una gigantesca quercia. Le due donne la osservarono, guardinghe. Lo stregatto soffiò, preda dell'agitazione.

«L'accesso vi è interdetto»

Una Sfinge! Mai nessuna delle mille pergamene custodite nella Libreria aveva accennato alla presenza di una simile creatura nel bosco delle Voci, né tantomeno nel Frusciante! Fenice, che le conosceva tutte a menadito, ne era più che certa.

Afferrò il polso di Rom, per farle comprendere di non fare un altro passo: avrebbe potuto ucciderle con una sola zampata. Non che Rom ne avesse bisogno: il suo lucido intelletto aveva esaminato rapidamente la criticità della situazione.

«Buonasera. Noi abbiamo necessità di tornare a casa. Nostro fratello è ferito e solo il fiore che abbiamo raccolto può salvarlo»

«Non potrete passare senza comprendere»

«Dobbiamo dunque risolvere un enigma?»

La smorfia sdegnosa sul viso della Sfinge disse chiaramente loro di aver fatto un passo falso. 

Rom si sedette su un masso e aggiunse:

«Non è nostra intenzione offendere, ma se non c'è un enigma da risolvere, cosa abbiamo da comprendere?»

La creatura fece un sorriso condiscendente.

«Non amo gli enigmi, qualunque sia la mia natura. Amo però le splendide immagini»

Davanti al maestoso corpo, comparve una nebbia densa come un impasto. Dal centro di quella vorticosa oscurità si sprigionò una luce e apparve un quadro, davanti ai loro occhi stupefatti. 

Rappresentava un albero, identico a quello nascosto dal corpo della Sfinge

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Rappresentava un albero, identico a quello nascosto dal corpo della Sfinge. Le immense radici, però, erano serenamente popolate da creature del Piccolo Popolo. Alla base del tronco si apriva una porticina, illuminata da una luce ardente. Nascosta dal tronco, una piccola umana scrutava le creature con diffidenza.

«Le creature del Piccolo Popolo sono serene» osservò Rom.

«Non così la bambina» aggiunse lentamente Fenice.

La Sfinge fece un gesto di pacato assenso. 

«La porta non si aprirà per lei, dunque»

Di nuovo, la solenne creatura sorrise.

«Potremo passare, allora... se non mostreremo diffidenza» dedusse Rom.

«...e se rispetteremo la loro natura» soggiunse Fenice.

La Sfinge, con un ruggito sommesso come il brontolio di un tuono lontano, si levò in volo, scoprendo così l'albero. Una lama di luce disegnò la sagoma di una porta. Rom si chinò, prendendo in braccio lo Stregatto. Poi le due donne si incamminarono lentamente

«Resta in braccio a me, per il Piccolo Popolo potresti apparire una minaccia!»

Quando furono a pochi passi, la porta si aprì, senza uno scricchiolio. Chinarono la testa ed entrarono.

Si ritrovarono in una lunga, buia galleria, rischiarata non da lampade, ma da fiori e funghi luminosi come gioielli incastonati nella roccia. Il pavimento era levigato, ma i loro passi alzavano una leggera polvere, segno che quel sentiero non era battuto da tanto, tanto tempo. 

Fenice cercò di scacciare la fastidiosa sensazione di essere seguita da una miriade di piccoli sguardi, ripetendo a sé stessa che era necessario restare tranquilla, con il cuore aperto. Sentì la mano di Rom, sottile e delicata, stringersi attorno al suo polso; sapeva che la sorella vedeva peggio di lei al buio, quindi si costrinse a rallentare, procedendo a passi misurati.

Con la coda dell'occhio, colse il volo ondeggiante di uno scontroso Adanet, le cui ali luminose proiettavano un'ombra grassoccia sulla parete traslucida. Sapeva bene che non era assolutamente il caso di disturbare la creatura, non solo per l'immagine mostrata dalla Sfinge, ma anche perché gli aculei che riempivano il suo dorso non sarebbero stati affatto piacevoli da sentire sulla pelle. 

Giudicò che fosse passata quasi un'ora quando, sotto i piedi, cominciò a sentire scricchiolio di foglie secche. Rallentò, bruscamente, tanto che Rom le fece quasi cadere lo Stregatto sulle spalle.

«Che succede, sorella?» chiese in un soffio.

«Credo che siamo vicini all'uscita, dovunque porti questo sentiero.»

Si sorrisero, indovinando l'espressione l'una dell'altra nel buio: il sollievo di poter portare a compimento la missione.

I funghi luminosi si fecero sempre più radi, fin quasi a sparire del tutto, ma l'antro diventava sempre più luminoso. Finalmente,  una semisfera di lucente bagliore spezzò la penombra. Accanto, una figuretta strana: un esserino panciuto, con un corpo simile a un guscio d'arachide, coperto di una sorta di corteccia a scaglie e capelli verdi come foglie.  

Lo videro arrossire furiosamente, ma poi farsi coraggio e borbottare:

«Avete calpestato tutti i miei capelli caduti!»

«Ti chiediamo perdono, non sapevamo fossero i tuoi capelli! Possiamo farci perdonare in qualche maniera?»

«Potreste darmi un rametto di Achillea! Ne vado pazzo!»

Le due sorelle si bloccarono, sentendo l'ansia attanagliare la gola. Poi, Fenice ingoiò la saliva e annuì, vigorosamente.

«Abbiamo raccolto l'Achillea perché serve a salvare la vita di nostro fratello. Tuttavia, poiché tu l'ami tanto e dal momento che sei stato tanto cortese da consentirci il passaggio, possiamo dartene una parte. Ti va bene un bocciolo?»

La creaturina s'intimidì ancor di più e la sua corteccia assunse i toni rossicci del legno di ciliegio. 

«Oh, siete proprio due brave figliole! Se mi promettete di tornare a trovarmi, non dovrete darmi nulla!»

Rom, d'impulso, si chinò e lo abbracciò, schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia ruvida.

«Promesso!»

Il primo passo fuori dall'albero le accecò, con la luce splendente del nuovo giorno. Udirono un grido:

«Eccole, sono tornate!»

Teriel, arco sulla spalla, si trovava ferma, di vedetta, fuori dall'uscio della capanna. Erika, la più giovane tra loro sorelle, era seduta nell'erba, con una margherita nei capelli, a vergare parole su parole su una pergamena. La porta si spalancò, mostrando ai loro occhi il sorriso di sollievo di Melianta. 

Rom lasciò scendere lo Stregatto e prese per mano Fenice e insieme corsero verso casa.

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