Lo straniero

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Era l'alba. Le sorelle aprirono la porta del capanno, dopo una notte di veglia al capezzale del fratello, ancora senza coscienza. L'Achillea era stata somministrata, ma era ancora presto per vederne gli effetti. La febbre, però, era già scesa; un buon segno.

La vita del villaggio, dal quale il capanno distanziava quel tanto che bastava per non venirne sommerso, si stava risvegliando al nuovo giorno, brulicante di rumori e sussurri, fruscii e suoni della natura che si mischiavano con quelli degli uomini e delle donne affaccendati nei comuni compiti mattutini.

Anche il Bosco Frusciante non si fece attendere, ricco di vibrazioni e misteri che non sfuggirono alle Sorelle: il vento era diverso, portava odori e presagi sconosciuti. Annunciava visite.

Melianta socchiuse gli occhi e fissò dalla finestra la profondità della foresta. Teriel le si mise accanto, l'arco tra le mani, stringendo forte l'impugnatura; Fenice e Rom alle loro spalle, consapevoli che qualcosa stava per accadere. Solo Erika ebbe voglia di uscire e affrontare l'irrequietezza che albergava in lei, la più piccola e curiosa, indifesa e lontana dalla sorellanza rimasta all'interno.

Un uomo incappucciato comparve, dall'angolo a est del bosco, buio come la notte, tetro come la sensazione di pericolo che era, allo stesso tempo, invitante. Le Sorelle ne furono attratte come mai prima e si spostarono verso la soglia aperta. Erika, vincendo la iniziale ritrosia, andò incontro allo straniero.

«Stiamo attente» sussurrò Rom, con la sua incrollabile logica e attenzione. «Stai attenta!» urlò alla sorellina.

Lo sconosciuto accelerò il passo e alzò le braccia d'impeto, e con esse il mantello, che gli volteggiò dietro le spalle, come nuvola oscura, che costrinse Teriel a puntargli l'arco addosso, intimandogli di fermarsi.

La freccia arrivò da dietro le sue spalle e lasciò impotenti le ragazze che si accorsero troppo tardi di Erika ferita, sola e bersaglio perfetto. La punta riuscì solo a sfiorarla, provocando una leggera ferita al braccio, e cadde al suolo, grazie allo sconosciuto straniero che, diventando il suo scudo, l'aveva spinta all'interno del capanno in uno schiocco di magia, per poi volatilizzarsi come era apparso.

Teriel corse subito all'inseguimento dell'arciere nascosto, battendo i sentieri più tenebrosi del bosco, il buio più cupo e spaventoso. E lo trovò, il feritore, seduto ormai senza forze, come se il terreno lo stesse inghiottendo, succhiandogli, contemporaneamente, tutte le forze.

«Sorelle...!» attraverso la porta spalancata, Teriel spinse all'interno l'arciere; l'arco cadde al suolo e lui alzò il mento, stringendo la mascella in un moto di stizza e sconfitta.

Le donne trasalirono: il viso, non nascosto, mostrava senza vergogna le numerosi cicatrici che solcavano la pelle, alcune rosse e accese, altre deboli come ombre di un passato da non dimenticare.

E fu un attimo, lo circondarono, forti e gelide, per proteggersi a vicenda. Solo allora l'arciere capì con chi aveva a che fare e le speranze morirono, disintegrandosi briciola dopo briciola.

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