Extra 2: note

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Per fare una cosa ordinata, qui c'è un elenco delle varie cose citate nel testo. Si tratta soprattutto di tragedie della triade ateniese (Sofocle, Eschilo ed Euripide) e altri componimenti di autori che provvederò a citare non appena si incontrano con relativa, minima spiegazione (altrimenti torno a prendere appunti alle lezioni di greco). Ma anche altre cose citate per rendere il tutto un po' più vicino alla realtà storica.

In ogni caso per eventuali chiarimenti scrivete pure u.u qualcosa mi ricordo ancora di greco oltre a come scrivere le lettere.

So, here we go.

Grandi Dionisie: (dal capitolo Opinioni) erano celebrazioni dedicate al dio Dionisio, nel corso delle quali venivano messe in scena rappresentazioni teatrali tragiche e comiche. Tali rappresentazioni erano di tipo competitivo: una apposita giuria stabiliva la classifica una volta conclusi gli spettacoli.

Antigone: tragedia di Sofocle collegata ai drammi tebani di Edipo e dei suoi discendenti. In breve, il mito è una carneficina: dopo la battaglia dei Sette contro Tebe, Antigone decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro la volontà del nuovo re di Tebe, Creonte. Scoperta, Antigone viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. In seguito alle profezie dell'indovino Tiresia e alle suppliche del coro, Creonte decide infine di liberarla, ma troppo tardi, perché Antigone nel frattempo si è suicidata impiccandosi. Questo porta al suicidio il figlio di Creonte, Emone (promesso sposo di Antigone), e poi la moglie di Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria stoltezza. La storia è quella di una ragazza che da sola ebbe il coraggio di contrastare leggi dello Stato da lei ritenute ingiuste. Non a torto, Antigone è da sempre considerata il simbolo della lotta contro il potere, della ribellione romantica e solitaria contro il dominio ingiusto di un tiranno senza limiti.

I Sette contro Tebe: tragedia di Eschilo, in cui si racconta dei sette capi, eroi radunati intorno ad Adrasto, re di Argo, per aiutare Polinice, figlio di Edipo, a riprendere il trono di Tebe che gli era stato tolto dal fratello maggiore . La città di Tebe aveva sette porte: Eteocle mise sette campioni valorosi a difesa di esse, mentre Adrasto disponeva per attaccarle sette capi di uguale bravura. L'antefatto è che Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si erano accordati per spartirsi il potere sulla città di Tebe; avrebbero regnato un anno a testa, alternandosi sul trono. Eteocle tuttavia allo scadere del proprio anno non aveva voluto lasciare il proprio posto, sicché Polinice, con l'appoggio di Adrasto aveva dichiarato guerra al proprio fratello e alla propria patria.

Filottete: Altra tragedia di Sofocle (quella di Euripide è andata perduta). Filottete è stato abbandonato, già da dieci anni, dai suoi compagni in viaggio per la guerra contro Troia, sull'isola di Lemno, a causa di una ferita infetta e puzzolente provocatagli da una vipera. Un oracolo, però, solo ora svela ai Greci che senza l'arco di Filottete Troia non cadrà mai. Questi incaricano allora Odisseo e Neottolemo (figlio di Achille) di andare sull'isola e recuperare ad ogni costo l'arco di Filottete. Odisseo, che in questa tragedia è presentato come un eroe meschino e crudele, ha un piano diabolico: Neottolemo dovrà fingere di avere litigato con i capi greci (in particolare con Odisseo, a cui sarebbero state affidate le armi del padre di Neottolemo contro la volontà di quest'ultimo) e cercare di accattivarsi la fiducia di Filottete, facendosi consegnare l'arco, che altrimenti sarebbe stato preso con la forza da lui. L'inganno riesce, grazie anche alla comparsa di un marinaio greco che si finge mercante e annuncia l'arrivo di Odisseo, e Filottete consegna il suo arco all'amico Neottolemo, che a sua volta lo consegna ad Odisseo. All'ultimo momento, però, Neottolemo si pente e riprende l'arco a Odisseo e lo riconsegna a Filottete. Odisseo si infuria e solo l'intervento di appiana i dissapori e convince Filottete ad imbarcarsi per Troia.
Ci sono alcune differenze con l'idea "classica" dell'eroe greco, quali il fatto che ci sia un nuovo tipo di eroe e l'assenza di una visione tragica.

Alcesti: (MY BAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAABY, scusate, l'ho amata alla follia questa tragedia e averla sia vista al teatro di Siracusa sia tradotta nell'ultimo me l'ha fatta rimanere nel cuore. Senza contare che mi sono ritrova a interpretare Alcesti durante una festa a scuola con tanto di commento di mamma "Ma proprio la parte di quella che muore dovevi fare?" <per la serie Matilde che ha fatto cose) comunque. È anche la più antica tragedia euripidea che ci è giunta, ma torniamo a noi.

La tragedia racconta il mito di Alcesti e in sintesi questo è quel che avviene: Suo padre Pelia la promise in sposa a chi sarebbe riuscito a mettere al giogo due bestie feroci e Admeto, re di Fere, grazie all'aiuto di Apollo riuscì nell'impresa e ottenne Alcesti in sposa. Il giovane, infatti, aveva ricevuto dal dio del sole un carro tirato da un leone e da un cinghiale, ma Apollo, una volta compiuta l'impresa, chiese ad Admeto di sacrificarsi per ricambiare l'aiuto ricevuto. Lui chiede ai genitori, ormai anziani, di morire al suo posto, ma loro rifiutano (il dialogo tra Admeto e il padre nella tragedia credo sia uno dei miei passi preferiti). Allora, Alcesti decide di sacrificarsi al posto del suo sposo e, mentre è ancora in lutto, Admeto ospita a casa sua Eracle (non in modo così facile) e gli racconta la sua storia. Quest'ultimo, commosso sia dalla storia, sia dall'ospitalità che gli ha offerto Admeto, decide di scendere negli e riportare Alcesti sulla terra.

In questa tragedia Alcesti si rivolge ai suoi bambini come pulcini, sì, lo stesso modo in cui Hesperos ha additato Alannis in qualche capitolo.

Archiloco (dal capitolo Patti): è considerato il primo grande lirico greco e il giambografo più famoso (i Giambi sono una forma metrica costituita dal succedersi di una sillaba breve e una lunga). Il componimento che ho inserito nel capitolo intende far luce sulla mutabilità delle vicende umane in certe occasioni favorevole e in altre avversa; ma la natura dell'uomo spesso non riesce ad affrontare la sorte come dovrebbe e si lascia trasportare e travolgere da eccessive emozioni senza trovare un giusto equilibrio.

C'è chi dice sia un esercito di cavalieri, c'è chi dice sia un esercito di fanti, c'è chi dice sia una flotta di navi, la cosa più bella sulla nera terra, io invece dico che è ciò che si ama (dal capitolo Incontri): frammento 16, Saffo.  

Sirene: citate nel capitolo Domande: il mito le rappresenta come creature marine nello stretto di Messina, vicine a Scilla e Cariddi. Nell'Odissea sono, appunto, sistemate lì. Dato che la geografia in questa storia ha fatto un bel tiro nel cestino, le ho posizionate un po' a random, nessuno me lo vietava.

Atlante (citato nel capitolo Domande): figlio di Poseidone, leggendario governatore dell'oceano Atlantico, colui da cui Atlantide prende il nome. Secondo Platone è stato anche il primo re dell'isola.

Mito di Orfeo ed Euridice (citato nel capitolo Ultima Notte): Orfeo, un giorno, ricevette in dono da Apollo una lira, diventando ben presto abilissimo a suonare lo strumento e capace di trascinare, con la dolcezza del suo canto, anche gli animali e le pietre; Euridice, invece, è una ninfa ed la bellissma sposa di Orfeo. Nel paese dove vive Orfeo risiede pure Aristeo, che ha insegnato agli uomini molti utili precetti agricoli e li ha iniziati all’apicoltura. Questi si innamora pazzamente di Euridice. Un giorno, mentre la ninfa fugge per sottrarsi alle insidie del pastore Aristeo, viene morsa da un velenoso serpente nascosto tra l’erba e muore. Le ninfe amiche di lei danno la colpa di questa morte ad Aristeo e, per fargli dispetto, distruggono gli sciami dei suoi alveari. Orfeo, disperato, sfidando le leggi divine scende nell'Ade e, dopo aver commosso con il suo canto Ade e la sua sposa Proserpina, riesce a ottenere di poter riportare in vita la sposa a condizione che non si volti prima di essere uscito alla luce. Orfeo prende la via del ritorno seguito dalla sposa ma, giunto presso l’uscita del mondo sotterraneo, il desiderio ardente di contemplare il viso della sua donna gli fa dimenticare il comando di Proserpina: si volge indietro, ma vede soltanto la figura della donna amata che, piangendo, svanisce per sempre nelle tenebre. Orfeo esce dal mondo dei morti ma la sua vita non ha più senso. Così quando incontra le Baccanti, che gli offrono amore e consolazione, le tratta con sdegno ed esse lo uccidono, lo fanno a pezzi e lo gettono nel fiume Ebro. La testa gli cade sulla sua lira e galleggiando continua a cantare soavemente. Giove da questo evento commovente prende la lira e la mette in cielo formando una costellazione.


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