Nuova alba

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Alexandros appoggiò i gomiti sulla balaustra della città: in lontananza brillavano alcuni fuochi. Con pochi dubbi si trattava della piana di Alis dove una parte dell'esercito si era trattenuto per controllare i prigionieri.

All'orizzonte brillavano le prime luci dell'alba: il mare appariva ancora come una distesa scura, mossa dalle onde, di cui di tanto in tanto sentiva lo sciabordio; all'orizzonte, dove finiva l'acqua, il cielo iniziava a tingersi di un azzurro più chiaro.

Alzò lo sguardo al cielo: le stelle che quella stessa notte gli avevano fatto compagnia mentre non riusciva a dormire non c'erano più. Anche loro erano scomparse, portandosi via quella flebile speranza che riusciva a vedere nella notte, quando non si trovava costretto ad affrontare gli altri, quando non doveva più mentire che tutto andasse bene.

Sospirò, abbassando le braccia fino a toccare il marmo ormai freddo con le mani.

Non riusciva a trovare un senso al perché si sentisse perso dopo quella battaglia che, per grazia divina, avrebbe reso la libertà ad Atlantide.

Aveva visto la felicità sui volti di tutti al banchetto, aveva cercato di imitare i loro sorrisi, ma sapeva che non sarebbe riuscito a condividere quella gioia. Non riusciva a dare un senso alla proposta di Alannis di partire e bruciare Mu - forse doveva dare più ascolto a Kyriakos e bere prima di ascoltare la sorella.

Abbassò lo sguardo sulla città, ancora in buona parte addormentata. Non aveva idea se qualcuno l'aveva visto arrivare fin lì, ma il fatto che Atlas fosse rimasto immobile a dormire, scacciando di tanto in tanto l'aria con la coda, lo faceva ben sperare.

Invidiava Alannis, probabilmente ancora addormentata vicino alla persona che amava.

«Maestà». La voce di una delle guardie lo fece sobbalzare.

Si voltò lentamente, osservando la guardia: la torcia che teneva in mano mandava lunghe ombre sul volto, rendendogli impossibile capire di chi si trattasse.

«La vostra richiesta è stata accolta...» La guardia sembrò esitare nel concludere la frase: alzò per un attimo lo sguardo al cielo, fissando l'oscurità che andava pian piano scemando verso il nuovo giorno. «Nonostante l'ora».

«Ho solo preferito non perdere tempo» rispose Alexandros stringendo la mano sulla fibbia del mantello.

«Capisco, mio signore» ribatté la guardia prima di voltarsi verso la propria destra; spinse avanti Hesperos che gli rivolse un secco grugnito.

«Non esitate a chiamare nel caso... ci siano problemi».

«Grazie» rispose Alexandros, facendo qualche passo verso Hesperos.

«Cosa vuoi? Cosa ti salta in mente a quest'ora?»

«Niente». Alexandros abbassò la testa, fissando alla propria sinistra. «Ho mentito: non c'era nessun... motivo politico. Avevo voglia... avevo voglia di vederti».

«Lo sai». Il clangore delle catene accompagnò le parole di Hesperos, riecheggiando minaccioso nell'aria. Alexandros sussultò, aspettando che l'altro riprendesse a parlare. «Lo sai che la nostra felicità non potrà mai esistere, che ti stai mettendo contro una città. La tua città» continuò Hesperos avvicinandosi ad Alexandros e sollevando entrambi i polsi per puntargli sul petto l'indice della mano sinistra. «Non si tratta più di Mu o Atlantide, si tratta di Mu e Atlantide. C'è una bella differenza, sai?»

Alexandros annuì, sollevando lentamente una mano per accarezzargli la guancia. Benché non riuscisse a vederli, sentiva i segni del tempo sul volto dell'altro: gli era cresciuta la barba rendendo la pelle della guancia ruvida al tatto.

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