Pazzia

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«Terra in vista!»

L'accento duro dell'entroterra di Mu fece sobbalzare l'uomo inviato da Esi ad Atlantide che, senza rendersene conto, si era appisolato.

«Sbrigatevi a entrare in porto» borbottò fra sé. Piegò una gamba, appoggiandoci sopra il gomito, facendo mente locale a quel che aveva visto e sentito nell'unico giorno che aveva passato in terra nemica.

Perché era quello che Atlantide era tornata a essere.

Erano bastate poche ore a capirlo: la confusione che aveva trovato non gli era piaciuta, sentiva gli sguardi di tante persone - troppe - puntarsi su di lui, sentiva i bisbigli che lo accompagnavano ovunque, alimentati dalle voci che dicevano che era sceso da una nave sulle cui vele bianche spiccava il simbolo di Mu. Nessuno gliel'aveva detto di persona, ma aveva sentito il giusto: Hesperos non era più il re, era stato imprigionato. Era stato sconfitto.

Esi ne sarebbe stato felice, ma solo per poco: Alannis era viva, era certo che fosse stata lei a riaccendere la speranza negli animi degli abitanti di Atlantide che ora avrebbero fatto qualsiasi cosa per proteggere la loro terra.

Non appena la nave attraccò, l'uomo si precipitò a terra, ignorando le urla dei marinai che sia lo ingiuriavano sia gli dicevano di pagare il compenso pattuito all'andata. Non si fermò ad ascoltarli: aveva preoccupazioni ben più grandi riguardo a pagare dei qualsiasi marinai.

«Mio signore». Prese fiato, consapevole di aver appena ignorato qualsiasi protocollo vigesse a corte. «Ho delle notizie per voi».

Esi alzò la testa dalla carta geografica che stava esaminando insieme agli altri generali, fissando negli occhi l'uomo che era comparso sulla porta.

Aveva una cicatrice che gli sfigurava il volto sulla guancia sinistra, ricordo di una vecchia colluttazione in una taverna tra lui e un altro ubriaco; i capelli castani erano lasciati sciolti sulle spalle, ma erano impregnati dalla salsedine. Indossava una tunica bianca, macchiata in più punti dal sangue e lacerata sul fianco destro - ci provato a ucciderlo, additandolo come un altro degli scagnozzi di Hesperos, ma era riuscito a fuggire.

«Che ti è successo? Perché sei tornato così presto?» sbottò Argyros allargando le braccia. Esi lo fulminò con lo sguardo e quello si allontanò di qualche passo dal tavolo, senza spostare lo sguardo dall'aspetto martoriato dell'uomo.

«Ti avevo mandato ad Atlantide, non a fare la lotta nelle taverne» sibilò Esi appoggiandosi con entrambe le mani sul tavolo.

«La situazione è precipitata in pochi giorni: Niktetas e il suo amico, Kyriakos, hanno messo in piedi una rivolta. Stavolta è riuscita e quel branco di ribelli è stato capace di mettere fuori gioco le guardie di Mu. Prima che fuggissi su una nave mercantile per avvisarvi, ho sentito voci che dicevano che Hespersos è stato sconfitto in duello da Alannis, la figlia di Ktesias».

Esi lo guardò aggrottando la fronte.

«Non era morta?» chiese uno dei presenti, scatenando un mormorio.

Esi fece schioccare la lingua sul palato. «No. Hesperos l'ha aiutata a fuggire e a quanto pare gli Dèi le hanno sorriso. Immagino non l'abbiate uccisa, quindi».

«È... Era impensabile. Non ho avuto modo di spostarmi dall'anello esterno, sono ripartito la sera stessa del giorno in cui sono arrivato».

«Che ne è stato di mio fratello?» chiese Esi con un filo di voce, mantenendo però un tono calmo.

«È vivo, da quel che ho sentito».

«Meglio così» mormorò Esi. Non averlo tra i piedi a Mu gli avrebbe dato un vantaggio nell'organizzare la battaglia. «Almeno non dovrò piangere un fratello» mentì, alzando appena lo sguardo. Si trattenne dal sorridere, benché sapesse che tutti i presenti fossero al corrente che era solo una rivalità a unirlo al gemello e dell'affetto che li aveva avvicinati da bambini non rimaneva altro che il ricordo.

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