Rabbia

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La brocca di bronzo cadde a terra all'improvviso, colpita dal rapido gesto che Esi aveva fatto con la mano, il pavimento di marmo bianco decorato qua e là da striature dal marrone all'arancio, si sporcò di vino.

Argyros e Pyros la seguirono con lo sguardo, trattenendo il fiato mentre i rintocchi metallici rompevano il silenzio che si era venuto a creare alla fine del racconto della spia. Il primo, in piedi alle spalle di Esi, scosse appena la testa, consapevole che quella sarebbe stata solo una minima parte della reazione del sovrano.

La spia, un uomo sulla trentina con una cicatrice che gli attraversava il volto e lo provava di un occhio, pur essendo abituato al confronto, fece un passo indietro mentre Esi, balzato in piedi, lo guardava digrignando i denti.

«Come sarebbe a dire che uno, Alannis è viva e due, né lei né Kyriakos sono a Posamis?» sibilò lentamente, calcando sui due nomi. Finché c'era la possibilità che Alannis fosse viva, poteva sperare che fosse morta. Ma saperlo avrebbe cambiato tutti i suoi piani. Lei non era Alexandros, lei non si sarebbe fermata davanti agli ostacoli che la separavano dal riprendere il trono di Atlantide a Hesperos e vendicare Ktesias.

«Te l'ho detto, mio re» riprese la spia stringendo tra le mani dietro la schiena il proprio copricapo in pelle di volpe. «Un vecchio di Posamis ha rivelato tali cose dopo che l'ho convinto a bere qualche coppa di troppo. Sapevo che era legato alla famiglia reale di Lemuria, volevo solo approfondire i suoi contatti, ma ha iniziato a blaterare della principessa e dell'amico di Alexandros. Si sa, gli ubriachi hanno la lingua sciolta. Quel che ho riferito, è quel che ho saputo da lui».

Esi appoggiò le mani sul tavolo, fissando l'uomo negli occhi. Il petto si alzava e si abbassava con rapidità, ogni muscolo del suo corpo era teso, come se fosse una fiera pronta a balzare addosso alla preda. «Spero sia la verità».

«Ve lo giuro sui miei testicoli».

Esi abbassò lo sguardo, continuando a rimanere teso, pronto a scattare: guardava tutti i documenti che stavano sul tavolo, fra cui spiccava la mappa di Atlantide. Il suo progetto di conquistare la città e togliere di mezzo Hesperos sembrava sul punto di crollare per colpa della stessa persona che doveva essere morta da mesi.

«Quindi i miei sospetti non erano campati in aria» si disse sedendosi nuovamente sullo scranno dietro al tavolo. Tamburellò con le dita sul legno per qualche istante, poi fissò in viso la spia.

«Andate ad Atlantide e uccidete Alannis. Voglio che muoia per davvero questa volta. È l'unico ostacolo al potere. Hesperos è troppo impegnato a bere per occuparsi della politica, Alexandros è un imbelle nelle mani di mio fratello, Kyriakos non farà saltare la sua copertura se è tornato in segreto dall'esilio. Non è così idiota come pensano tutti, anzi. Mi farebbe comodo averlo dalla mia parte un'altra volta. Porta con te abbastanza oro da convincerlo, ma se trovi il suo punto debole non esitare a colpirlo lì».

La spia annuì con un cenno del capo, congedandosi in fretta dal sovrano. Appena fu fuori dalla stanza, si appoggiò al muro, passandosi il dorso della mano sulla fronte: mai, negli anni in cui era stato al servizio della corona, aveva visto la morte più vicina che in quell'incontro; per un attimo, era stato certo che Esi avrebbe sguainato la spada e si sarebbe avventato su di lui, la cui unica colpa era stata quella di riportare la notizia che Alannis fosse viva.

Si spostò una ciocca di capelli intrecciati da volto, gettandola all'indietro.

Avrebbe dovuto ottenere un passaggio fino ad Atlantide in nave, ritornando a combattere contro i flutti nonostante avesse messo piede a terra da poco. Strinse con una mano il sacchetto di pelle che pendeva dalla cintura, posizionato vicino alla spada. Non pesava quanto la prima volta che l'aveva preso in mano, rubandolo all'ubriaco che gli aveva rilevato la verità sulla figlia di Ktesias: avevano preteso di essere pagati, i marinai di Posamis. I bastardi, borbottò tra sé, uscendo a passo veloce dal palazzo.

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