CAPITOLO 7

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Per ben due giorni dopo la festa, Nadâ non si era fatta viva. Durante la serata era sparita e Osman non aveva più avuto sue notizie. Avrebbe voluto consultarsi con la sua amica per valutare le candidate e invece si era volatilizzata.

Dopo essersi sentito infastidito dal suo comportamento, sopravvenne la preoccupazione. E se l'amica non si fosse più fatta viva perché stava male? Magari aveva qualche problema. Preoccupato le scrisse un messaggio, chiedendo a Piyale, uno dei suoi fedeli servitori, di recapitarglielo. Nel messaggio le chiedeva notizie sul suo stato di salute e le prometteva che sarebbe andato a trovarla. In fondo sarebbe stata anche una buona occasione per rivedere Jasmine, una delle candidate che lo avevano affascinato di più.

Dopo una decina di minuti bussarono alla porta della stanza, mentre era intento a studiare alcuni documenti. Sperò fortemente che si trattasse di Nadâ. Era troppo presto perché avesse letto il messaggio e lo avesse raggiunto, ma magari si stava recando già da lui, prima che Piyale si mettesse in cammino.

Osman rimase deluso quando la porta si aprì e fece il suo ingresso la signora Canfeza.

«Scusate se vi disturbo, ma so che avete dato a Pyiale l'incarico di recapitare un messaggio a Nadâ. Per fortuna l'ho saputo e l'ho fermato prima che uscisse. Sarebbe stato inutile visto che lei è già qui».

«Come già qui?» chiese il sultano confuso.

«Sarebbe un segreto, ma a voi posso dirlo, visto che siete molto amico di Nadâ, siete quasi la sua famiglia».

Osman esorto Canfeza a continuare, curioso e preoccupato allo stesso tempo di scoprire la verità.

«Vedete, è venuta qui per incontrare mio figlio Fazil. Lui ha deciso di prendere moglie e ho pensato che potesse essere la donna perfetta per lui. In questi giorni si stanno incontrando per conoscersi meglio».

Il sultano spezzò la penna che teneva in mano, sentendo la rabbia montare dentro di sé.

«In questo momento li ho lasciati un po'soli nella saletta blu. Sarebbe meglio non disturbarli» commentò Canfeza, sapendo che le sue parole avrebbero sortito l'effetto opposto. Infatti, come previsto, Osman si alzò di scatto precipitandosi verso la stanza da lei nominata.

Non appena giunse davanti la porta, il sultano si arrestò, osservando da uno spiraglio la scena che si svolgeva all'interno della stanza. Fazil era seduto e suonava una dolce musica, mentre Nadâ, in abiti assolutamente indecenti, danzava per lui.

Il figlio di Canfeza era un uomo giovane, parecchio affascinante. I suoi lunghi capelli scuri erano pettinati ordinatamente all'indietro e facevano risaltare i grandi occhi castani penetranti, resi ancora più belli dalle folte ciglia scure. Un paio di folti baffi lo faceva sembrare un po' più maturo della sua età, rendendolo ancora più interessante agli occhi delle rappresentanti del sesso femminile.

Osman rimase per un po' ipnotizzato dai movimenti seducenti della ragazza. Non aveva mai avuto occasione di vedere la sua amica ballare, sembrava un serpente incantatore che si muove in modo sinuoso ed elegante. I suoi lunghi riccioli scuri ondeggiavano a tempo di musica, mentre i suoi fianchi, lasciati scoperti dal top azzurro che le arrivava appena sopra l'ombelico, vibravano ritmicamente. Tutto in lei era indecente, ma allo stesso tempo attraente: la lunga gonna azzurra con uno spacco da cui si intravedeva la sua gamba snella e soda, il top con la scollatura generosa che metteva in mostra due seni perfetti, i lunghi capelli sciolti e selvaggi.

Dopo parecchi minuti di stordimento, il sultano uscì dall'incantesimo ed in preda alla furia cieca, irruppe nella stanza facendo sussultare la coppia.

«Cosa sta succedendo qui?» chiese con un tono parecchio arrabbiato. Fazil e Nadâ si scambiarono un'occhiata, senza rispondere.

«Sei qui, nel mio palazzo e non ti sei neanche degnata di venire a salutarmi o palesare la tua presenza?» urlò rivolto alla sua amica.

Le afferrò un braccio senza alcuna delicatezza e le ordinò di seguirla. Poi si rivolse a Fazil. «E in quanto a voi! Non provate mai più ad avvicinarvi a lei o ne pagherete le conseguenze!».

L'uomo rimase pietrificato dalla paura mentre osservava Osman trascinare Nadâ fuori dalla sala. Perché gli era venuto in mente di assecondare la madre in questo piano folle? C'erano tantissimi motivi per cui ci teneva a rimanere vivo.

Canfeza entrò nella stanza pochi minuti dopo, sorridendo soddisfatta.

«In che guaio mi hai cacciato? Mi sono sicuramente goduto il bello spettacolo, ma non vale la pena di morire per una cosa del genere!» esclamò Fazil rimproverando la madre. Nervosamente accarezzò i propri lunghi baffi scuri e si alzò di scatto incombendo minaccioso su di lei.

«Che esagerato!» replicò l'anziana donna. «Ti assicuro che non sei in pericolo. Il sultano non ti farà alcun male».

Perplesso e preoccupato il figlio scosse la testa facendo svolazzare i lunghi capelli scuri e uscì dal palazzo il più velocemente possibile. Se il sultano fosse tornato a cercarlo, non lo avrebbe certo trovato lì ad aspettarlo.

Nel frattempo Osman aveva trascinato Nadâ nella propria stanza per poter parlarle in privato.

«Sul serio hai deciso di sposare Fazil? Perché?».

«Non lo so, sto solo valutando la cosa».

«Non è l'uomo per te!».

«Canfeza mi ha detto che è cambiato e vuole prendere moglie. Quindi ci stiamo conoscendo».

«Conoscendo? Forse io e te abbiamo un concetto diverso di cosa vuol dire fare conoscenza!».

«Stavo solo ballando un po'per lui mentre suonava. In fondo non lo hanno fatto anche le tue candidate per te?».

«Non è la stessa cosa. E comunque da quando ti vesti come una sgualdrina? Sei indecente!» urlò, mentre cercava di non indugiare troppo sul suo abbigliamento e soprattutto su quelle parti del corpo che erano ben in vista.

Nadâ non sapeva se essere felice per la gelosia di Osman o infastidita dal suo comportamento. Come osava insultarla in questo modo? Inoltre non poteva essere sicura che si trattasse di gelosia, magari si stava comportando come un fratello iperprotettivo.

«Comunque non sposerai nessuno senza il mio consenso. Dovrò essere io ad approvare un tuo eventuale matrimonio» aggiunse il sultano sollevando la testa con aria solenne, come se stesse dando un ordine ad uno dei suoi uomini.

«Cosa? Come osi! Non hai nessun diritto!» urlò Nadâ guardandolo con disprezzo. Senza voltarsi uscì dalla stanza e si allontanò dal palazzo in preda alla collera.

Quando giunse a casa per fortuna non c'era nessuno. Era già furiosa e triste per la lite con Osman, se avesse incontrato Jasmine sarebbe stato ancora peggio. Probabilmente l'avrebbe uccisa.

Dopo la festa lei e l'amica avevano litigato furiosamente. Nadâ l'aveva rimproverata per aver partecipato alla serata senza avvertirla e per aver provato a conquistare Osman pur sapendo che l'amica ne fosse innamorata. Jasmine, dal canto suo, era convinta di non aver fatto nulla di male. Perché perdere l'occasione di essere la donna di un sultano? In ogni caso Osman avrebbe scelto una fanciulla che non fosse Nadâ. Secondo Jasmine sarebbe stato meglio se la sua scelta fosse ricaduta su un'amica della ragazza piuttosto che su una sconosciuta. Inoltre, una volta trasferitasi nell'harem, avrebbe potuto convincerlo ad accogliere lì anche Nadâ e magari a sposarle entrambe. Sarebbe stato fantastico se le due amiche avessero vissuto sotto lo stesso tetto come mogli di uno stesso uomo.

Ovviamente Nadâ non condivideva affatto i progetti della sua amica. Vedere Osman insieme a Jasmine sarebbe stata una tragedia. Non sarebbe riuscita a sopportarlo.

La rugiada del desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora