Capitolo VII: Il Conte, parte I

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Il mattino successivo...


"Tutto pronto per l'arrivo di Riario?", chiese Lorenzo.

"Quasi tutto, mancano solo i particolari dell'ultimo minuto ma a quelli penseremo dopo domani, quando il Conte arriverà", rispose Elettra.

Si trovavano nello studio del Magnifico per discutere su come accogliere al meglio il nipote del Papa e la delegazione romana al suo seguito. Anche Aramis ne faceva parte.

"Allora, sei nervosa? Questi saranno i tuoi primi ospiti importanti", domandò il de Medici con fare fraterno mentre si sistemava più comodamente sulla sua poltrona.

"Assolutamente no", disse Elettra sembrando il più convincente possibile.

"Bene, perché credo di essere già abbastanza agitato per entrambi", sorrise nervoso Lorenzo, "Ricordo ancora come mi sentivo io la prima volta che ho accolto una delegazione straniera: ero ridotto a uno straccio", aggiunse ridendo.

"Andrà tutto bene", lo rassicurò la ragazza.

"Lo spero tanto. Come ben saprai i rapporti tra Firenze e Roma non sono mai stati così tesi come ora, basterebbe solo piccolo un passo falso, per far scoppiare una guerra"

Il viso di Elettra si incupì a quelle parole.

"Non che io voglia farti preoccupare, però dobbiamo essere realisti", si affrettò a rimediare il Magnifico. Peccato che il danno era già stato fatto.


***


Parlare con Lorenzo, invece di rassicurala, aveva sortito decisamente l'effetto opposto. Gli aveva mentito a dirgli che non era assolutamente nervosa: in realtà l'ansia le stava divorando lo stomaco.

Neanche le parole di suo zio, che aveva una grandissima esperienza a riguardo, visto che era al terzo de Medici che serviva, le erano servite da conforto. Le aveva dato tutti i consigli che poteva e le aveva insegnato come comportarsi per apparire al meglio.

Anche Clarice le aveva dato una mano. "Niente pantaloni finché la delegazione romana non se ne sarà andata", le aveva detto. Elettra era stata obbligata a rifarsi il guardaroba, comprando parecchi abiti lunghi, gonne e corsetti per la gioia di Maria, che smaniava dalla voglia di vedere la sua signora finalmente vestita da gran dama e non da maschiaccio.

Seduta alla sua scrivania, sospirò sconfortata. 

Tirò indietro la sedia per poter osservarsi meglio: quella mattina aveva scelto un paio di pantaloni neri in pelle, stretti e con due ampie tasche laterali sulle cosce; aveva poi messo la parte finale dei pantaloni negli stivali, alti fino al ginocchio, abbastanza larghi da contenere, nascosto in un apposito scomparto, anche il piccolo pugnale per le emergenze. Infilata in parte nei pantaloni, vi era una semplicissima camicia bianca; sopra ad essa aveva una giacchetta rossa, dal taglio maschile, con dei leggeri ricami floreali dai toni più scuri e le maniche a tre quarti. Nonostante fossero solo agli inizi di Aprile, faceva già parecchio caldo, quindi aveva arrotolato le maniche della camicia intorno a quelle della giacca. Non indossava alcun corsetto, odiava quell'infernale indumento e poi ne avrebbe fatto indigestione nei giorni seguenti. 

Si riavvicinò alla scrivania, tornando ad osservare le scartoffie che la riempivano. 

Il suo sguardo fu completamente catturato da un piccolo libretto con la copertina in pelle vermiglia; lo aveva preso la sera precedente dalla biblioteca della madre. Ce n'erano almeno una cinquantina, di essi, al suo interno, tutti numerati. Erano stati scritti di suo pugno da Anna, probabilmente erano i suoi diari. La prima annotazione risaliva al 4 agosto 1448, giorno del suo sedicesimo compleanno. L'ultima, invece era riportava la data del 13 giugno 1469, il giorno della sua scomparsa. Ad una veloce occhiata, Elettra aveva potuto notare che essi erano scritti in diverse lingue; fortunatamente ne conosceva la maggior parte. Dal diario numero 31, iniziato nel 1463, invece, il linguaggio cambiava, divenendo un ammasso confuso di lettere: doveva essere senz'altro successo qualcosa che aveva portato la madre a scrivere in codice.

L'altra Gemella (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora