Capitolo VII: Il Conte, parte II

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"Sono Girolamo Riario..."; la voce del Conte le giunse lontana. Era di una freddezza disarmante e da essa non traspariva alcuna emozione. La lentezza con cui scandiva ogni singola parola, poi, era esasperante.

Inizialmente Elettra si sentiva ancora stordita da quella sostanza sconosciuta che aveva respirato e che le aveva fatto perdere i sensi senza quasi rendersene conto. Le palpebre erano molto pesanti e per quanto si sforzasse, non riusciva ad aprirle. 

Ad un certo punto sentì un tonfo, come di un corpo che cade a terra, poi sentì la voce di Nico: non capiva cosa dicesse, ma era interrotta spesso da singhiozzi e lamenti. Qualsiasi cosa stesse succedendo intorno a loro lo terrorizzava.

Decise di non muovere un muscolo finché non fosse riuscita ad aprire gli occhi, meglio se la credevano ancora addormenta.

Le urla di dolore di Nico la riportarono completamente alla realtà. Aprì gli occhi di scatto, guardandosi intorno. Poco lontano da lei giaceva il corpo decapitato della guardia della notte che aveva teso loro l'agguato, mentre la sua testa era rotolata alcuni metri più avanti. Sussultò involontariamente alla vista, temendo che qualcuno così facendo la notasse.

Si impose di distogliere lo sguardo, prendendo a studiare il luogo dove si trovavano. Fortunatamente lo conosceva bene: quel tipo di rovine romane non distavano molto da dove aveva avuto il primo colloquio con il Turco.

Delle persone presenti, invece, riconobbe solo un volto: aveva avuto modo di parlare con il cardinale Lupo Mercuri due anni prima, a Roma, durante la cerimonia per la consacrazione di suo fratello a vescovo. Aramis era infatti il suo segretario personale. Aguzzò la vista, nel tentativo di scorgere anche lui, ma non lo vide. Ripensandoci meglio era ovvio che non fosse lì: se ci fosse stato avrebbe di sicuro convinto Riario a lasciarla andare subito.

Cercando di ignorare le urla di Nico, che le trapanavano la testa impedendole quasi di pensare lucidamente, analizzò la situazione. C'erano almeno una decina di guardie svizzere nelle immediate vicinanze. Di positivo c'era che o le davano le spalle, o erano troppo concentrate su quello che il Conte stava facendo per prestare attenzione a lei. Anche Riario le dava le spalle, seduto su una sedia a pochi metri di distanza. Un altro elemento a suo favore era il fatto che non l'avevano legata stretta come era successo a Nico, si erano limitati a metterle delle manette. Probabilmente, nonostante avesse neutralizzato due uomini, non veniva considerata come una reale minaccia.

Avevano commesso un grosso errore a sottovalutarla.

Senza dare troppo nell'occhio, Elettra riuscì a prendere una delle forcine che teneva affrancate alle maniche della camicia, dopodiché la inserì nel lucchetto che teneva chiuse le manette. Le ci volle un po' per aprirle: lavorare con una mano sola non era facile, ma alla fine capì come fare e senza fare il minimo rumore, fece scattare la serratura.

Si guardò nuovamente intorno: nessuno l'aveva notata.

Senza pensare neanche un attimo alle possibili conseguenze che quel folle gesto avrebbe comportato, si alzò di scattò e con un gesto fulmineo rubò la spada alla guardia svizzera che le si trovava più vicina. Poi, approfittando del momentaneo stupore che aveva paralizzato le file romane, si scagliò contro il Conte.

Cogliendolo alle spalle, gli puntò l'arma al collo, facendo leggermente pressione con la lama. L'altro non fece neanche una piega, rimanendo imperturbabile anche quando era la sua vita ad essere in pericolo. 

Mercuri diede ordine alle guardie di attaccarla, ma dovette rimangiarsi presto le sue parole: Elettra aumentò ancora di poco la pressione della lama sulla gola di Riario, causandogli un piccolo taglio, poco più di un graffio, da cui uscirono alcune gocce di sangue. Sul volto del Conte, per un attimo, si formò una smorfia di dolore.

L'altra Gemella (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora