Capitolo XVI: Il Patto


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Elettra si svegliò a causa di un raggio di sole che, passando da una fessura tra gli spessi tendaggi della stanza, era andato a posarsi proprio sul suo viso. Stropicciò gli occhi, ancora parecchio assonnata.

Le ci volle un po' di tempo per rammentarsi di tutto quello che era successo e di dove si trovasse. L'epidemia al convento, l'arresto di suo zio, la sfuriata con il Conte, la Biblioteca d'Alessandria... tra tutta quella confusione di pensieri, fece capolino un bacio. Arrossì, mordendosi il labbro inferiore per l'imbarazzo.

Decise infine di aprire gli occhi e di mettere a fuoco l'ambiente che la circondava: si trovava nel salotto dell'appartamento del Conte Riario e... faceva quasi fatica a credere a quello che vedeva: il Conte era seduto sul tappeto, immerso in un sonno profondo, appoggiato con un fianco al divanetto e con la testa reclinata di lato appoggiata sul suo seno. Una mano, invece, era intrecciata stretta a quella di lei. Qualcuno, o Riario o Giuliano, le avevano anche steso addosso una coperta.

Si guardò intorno, cercando con lo sguardo il giovane de Medici ma non lo trovò, probabilmente, se ne era andato poco dopo che si era addormentata.

Stava meglio, doveva ammetterlo, sia dal punto di vista fisico che del morale. Sapere che il Conte non era coinvolto in quella brutta faccenda le aveva tolto un peso dal petto.

Lentamente, cercando di non svegliarlo, si tirò a sedere e dopo essersi liberata dalla sua stretta si alzò. Avrebbe voluto andarsene in fretta dagli appartamenti di Riario, ma si perse nel contemplarlo: il volto che nel sonno pareva finalmente rilassato e non teso nella sua consueta serietà e i capelli corvini leggermente arruffati le facevano una certa tenerezza. Sorrise dolcemente, mentre con la punta delle dita esplorava il suo viso, passando dal soffice degli zigomi al pizzicore della barba appena accennata. Scese con la mano sul collo a sfiorare la cicatrice che lei stessa gli aveva inferto, ormai diventa un segno chiaro appena notabile sulla pelle.

Lo sentì muoversi appena sotto al suo tocco e seppe che di lì a poco avrebbe aperto gli occhi, allora gli appoggiò delicatamente la coperta addosso e uscì silenziosamente.


***

Poco dopo...


Elettra aveva bisogno di smaltire un po' di nervosismo ed inquietudine: quale modo migliore per rilassarsi se non quello di scoccare qualche freccia? Le era sempre piaciuto tirare con l'arco ed era anche piuttosto brava.

Cercando di passare il più possibile inosservata si diresse in armeria, prese un arco e qualche freccia e si diresse nei giardini del palazzo dove, in una zona ai margini e quindi poco frequentata, Giuliano, da sempre grande appassionato di quella disciplina, aveva fatto installare un poligono di tiro.

Vi era già una persona intenta ad allenarsi.

Elettra si stupì molto quando vide di chi si trattava.

Aramis incoccò una freccia, tirò indietro la corda e dopo aver preso la mira scoccò.

Il dardo colpì il bersaglio fermandosi nel centro.

Era la prima volta da quando era tornato a Firenze che Elettra non lo vedeva indossare la veste vescovile. Al suo posto, il fratello indossava dei vecchi pantaloni dall'aria vissuta e un'anonima camicia bianca.

La ragazza gli si avvicinò e senza proferire parola prese l'arco e scoccò una freccia, colpendo il bersaglio leggermente più a destra.

"Stai perdendo colpi, sorellina", le disse ironico Aramis.

Lei gli sorrise, dandogli un'amichevole pugno sul braccio. "E tu, da quanto è che non prendi mano un arco?", ribatté.

"Quand'è che sono stato consacrato prete?", si domandò l'altro. Un'espressione buffa comparve sul suo volto mentre fingeva di starci pensando seriamente.

L'altra Gemella (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora