21. La famiglia Todoroki

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"[...]
Ora potrò baciare solo in sogno
le fiduciose mani...
E discorro, lavoro,
sono appena mutato, temo, fumo...
Come si può ch'io regga a tanta notte?...
[...]"

-da "«Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto»" in "Il dolore"
di Giuseppe Ungaretti


Entrarono nell'appartamento dei Midoriya silenziosamente, solo i loro passi e respiri a segnalare la loro presenza.

Izuku poggiò lo zaino in camera, lasciando un attimo l'amico impalato sull'ingresso. Questi chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Il diventato familiare calore lo avvolse, distendendogli un minimo i nervi e dandogli sicurezza.

Era il magico potere dell'odore di casa.
E nonostante non abitasse lì, e perciò casa sua non la era, percepiva più casa sua quella che la reale. Solo la sua camera si salvava, quella sapeva di casa.
La sensazione che provava in quell'appartamento era così simile a quella provata a casa, ma diversa nei toni.

Camera sua sapeva molto poco di prodotti per la pulizia, più che altro lui stesso sentiva un odore strano, particolare, che aveva imparato ad accettare che era il suo.
A casa dei Midoriya si percepiva un pizzico di igienizzante al limone, il delicato e a buon mercato profumo della signora Midoriya e l'odore naturale di Izuku.

Specialmente l'ultimo, aveva un effetto balsamico sui suoi nervi tesi.

I passi del verdolino si fecero più vicini e Shoto aprì gli occhi, ritrovandosi la minuta figura dell'amico davanti, che lo guardava con affetto, cura e dolcezza.

Era uno sguardo che ti faceva aprire l'anima e mostrarla davanti quei frammenti di smeraldo, affinché potesse esaminarla con cura, senza sforzarsi dalle sue pupille.

Izuku prese delicatamente Shoto per la manica della divisa (che entrambi avevano ancora su) e lo condusse sul suo divano.
Il verdolino si sedette un po' di peso, come se si stesse preparando a reggere il mondo sulle spalle, "trascinando" con sé l'altro.

Shoto lo seguì, sedendosi senza fare rumore, come se fosse diventato all'istante incredibilmente leggero, mentre però le parole gli si erano bloccate sullo stomaco.

Erano lì, incastrate, pronte ad essere demolite senza mai essere uscite dalle sue labbra. Todoroki si sentiva frustrato perché ne voleva parlare sinceramente ad Izuku; avrebbe voluto farlo anche tempo prima, ma non aveva mai trovato il "quando" adatto.

Il problema era l'essere giudicati, una paura che risiede in tutti e difficilmente contrastabile o sradicabile.
Specialmente non voleva essere giudicato da Izuku, il ragazzo per cui avrebbe ucciso o sopportato di tutto e di più, se solo lui glielo avesse chiesto.

Non avrebbe sopportato il suo sguardo di disgusto, paura o riluttanza.
Ci sarebbe morto sul colpo.

Il verdolino gli toccò il ginocchio dell'amico col proprio, appoggiandoci poi una mano, molto piano.
Shoto alzò leggermente lo sguardo e, attraverso le ciocche d'intralcio, vide lo sguardo deciso dell'amico.

Izuku lo stava fissando, esortandolo ma aspettandolo, ricordandogli che era lì con lui, per lui.
Shoto si mise più dritto con la schiena, fissandolo grato, dietro lo sguardo di ghiaccio.

"Certo." pensò il bicolore. "Izuku é Izuku. Se é qui con me é perché vuole sapere e perché vuole farmi sfogare, non per giudicare."

Shoto prese un respiro profondo ed iniziò a raccontare, mentre i ricordi affioravano a galla tutti insieme.

Era la mattina in cui avrebbero fatto il controllo per capire se aveva un Quirk o meno. Era una mattina poco dopo il compimento dei suoi 4 anni, ed entrambi i genitori erano venuti con lui dal medico, affidando gli altri tre figli alle cure di una babysitter.

Amare sé stessi é l'unica regola della vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora