CAPITOLO 18

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È da quasi un'ora che aspetto che Rachel esca dal bagno e devo ancora farmi la doccia.
«Ti vuoi sbrigare?» le grido dall'altra parte della porta.
«Oggi ci sarà una festa e devo essere impeccabile. Dobbiamo esserlo tutte. Anche tu».
Sbuffo a queste parole.
Oggi i professori hanno deciso di farci fare un'altra festa così ci lasciano all'albergo, mentre loro vanno altrove.
Inoltre questa mattina ci hanno portati ad un parco divertimenti, con la promessa di farci vedere davanti all'entrata alle cinque.
All'ora stabilita non c'era nessuno davanti all'ingresso, neanche gli insegnanti.
E abbiamo fatto tardi.
Busso di nuovo alla porta del bagno, impaziente.
Da quando siamo tornate non sono riuscita ad andare in bagno, perché le altre lo hanno occupato per almeno mezz'ora ciascuno.
«Ho fatto. Ora esco» mi dice spazientita Rachel.
Esce dal bagno: indossa una gonna di jeans nera con una maglia bianca a pois neri che lascia scoperte le spalle ed un paio di stivali bassi.
«Anche io dovrò vestirmi come voi?» le dico sbuffando nuovamente.
«Non vorrai passare questo giorno come gli altri anni?!» sentenzia Rachel, incrociando le braccia sul petto.
«Se per gli altri anni intendi da sola allora si» le rispondo.
«Se tu non esci, noi dobbiamo rimanere qui a controllarti e non vogliamo» mi dice Madison sistemandosi i capelli.
«Eurus per favore noi ci vogliamo andare» mi supplica Rachel.
Le guardo male e mi giro verso il muro.
«Allora chiederemo a Zack di tenerti d'occhio. D'altronde siete nella stessa situazione!» suggerisce Madison.
«Fate come volete. Non cambierò idea» le rispondo e mi dirigo verso il bagno.
Entro e chiudo la porta a chiave.
Mi appoggio contro la porta e ascolto poggiando l'orecchio alla porta.
Sento un vociare confuso che arriva da fuori e un chiudere di una porta.
Se ne sono andate.
«Eurus ci sei?».
Non gli rispondo. Non voglio vederlo.
«Stai bene?».
Non voglio stare nella stessa stanza con lui. Non voglio sentire la sua voce.
Perché mi creo utti questi problemi da sola?
«Eurus io mi siedo sul letto. Se ti serve qualcosa ci sono» mi dice Zack.
Non gli rispondo nuovamente.
Volevo solo stare da sola.
Passa qualche minuto così apro lentamente la porta e metto la testa fuori.
Zack è steso sul mio letto e sembra che stia dormendo.
Sospiro cercando di mantenere la calma ed esco, chiudendo la porta dietro di me.
Mi avvicino, cercando di non svegliarlo e mi posiziono al lato del mio letto.
Perché lo hanno fatto venire?
Continuo a guardarlo e improvvisamente apre gli occhi, ricambiando il mio sguardo.
«Perché mi guardi?» mi domanda alzandosi in piedi.
«Stai dormendo sul mio letto» gli rispondo tagliando corto.
«Perché non sei andata alla festa?».
«Non sono affari tuoi».
Il suo viso si rabbuia e corruga la fronte. Sembra arrabbiato.
Alza una mano verso di me e la avvicina lentamente.
Chiudo gli occhi.
Non mi toccare!
Non voglio reagire come è successo con Jacopo. Non riuscirei a passarla liscia un'altra volta.
Sento che sto cominciando a tremare e stringo i pugni.
Riapro gli occhi e vedo la sua mano ferma a mezz'aria.
Mi sta guardando ma non riesco a capire cosa voglia fare o cosa sta provando.
Continua ad avvicinare la mano e me l'appoggia sulla testa.
Comincia ad accrezzarmi i capelli per poi scendere sulla guancia dove si trova il taglio che è quasi guarito.
«Che cosa ti hanno fatto...» sussurra continuando ad accarezzarmi il viso.
Scende piano piano sul collo e sento dei brividi corrermi lungo la schiena; ha la mano calda.
Improvvisamente mette una mano dietro la mia testa e mi avvicina a lui.
Mette l'altro braccio intorno alle mie spalle e mi abbraccia.
Chiudo nuovamente gli occhi.
«Mi dispiace Eurus. Mi hanno costretto. Io non volevo» dice quasi sussurrando, accostandosi al mio orecchio per parlare.
Vengo di nuovo attraversata da brividi questa volta provocati dalle sue parole.
«Che intendi dire?» gli chiedo riaprendo gli occhi.
Sospirando scioglie l'abbraccio e si siede a gambe incrociate sul mio letto; mi siedo di fronte a lui.
«Avevi ragione quando dicevi che avevo un segreto. Ma non lo sa solo Rocco. Lo sai anche tu» mi dice Zack con tono serio.
«Dei tuoi genitori? Di come ti trattavano?» gli domando, intrecciando le dita sotto il mento.
«No il mio vero segreto. Te lo ricordi?» dice Zack guardandomi intensamente.
Scuoto la testa da destra a sinistra, confusa.
«Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?» domanda avvicinandosi ancora di più a me.
«Beh... penso all'inizio delle medie. In realtà non ho mai avuto modo di parlarti da giovedì di due settimane fa».
Fa uno sguardo confuso e abbassa la testa come se stesse per piangere.
«Te ne sei dimenticata. Ti sei dimenticata di me».
Lo guardo in silenzio non sapendo cosa fare.
In che senso dimenticato?
Già lo conoscevo?!
Che faccio? Che faccio? Che cosa faccio adesso?
Io... non so come si consola qualcuno.
È colpa mia! È solo e sempre colpa mia!
Lo vedo mettersi le mani sul viso e mormorare "si è dimenticata" per più volte.
«Che posso fare per aiutarti?» gli domando.
Non mi risponde continuando a mormorare così aspetto che si calmi e dopo qualche secondo mi rivolge la parola.
«Pensavo ti ricordassi di me. Non ti ricordi di quello che abbiamo passato insieme?».
Faccio un segno di dissenso.
Improvvisamente gli si illumina il viso, come se avesse avuto un lampo di genio e mi alza la manica sinistra della maglietta, scoprendo il simbolo.
Non un semplice simbolo.
Non un semplice marchio.
È il simbolo degli assassini.
«Ce l'ho anche io» mi dice Zack scoprendo a sua volta la spalla sinistra.
Il cerchio barrato è vivido sulla sua pelle, un marchio che non se ne andrà mai.
Mi passa per la mente qualcosa, come un flashback di qualche secondo.
Ci sono io che scappo da qualcuno o qualcosa e Zack è accanto a me. Avrò si e no 10 anni.
«Sei stato tu?!» gli domando sgranando gli occhi.
«Si. E non me ne pento. Non mi pento di nulla» mi dice Zack sogghignando.

È da due giorni che sono qui.
Dopo la morte dei miei genitori sono stata portata in questo posto orribile.
Ci fanno dormire tutti nella stessa stanza, ci danno da mangiare solo due mele a testa ogni giorno e non ci permettono di giocare.
Qualche volta ci costringono a pulire l'edificio al posto loro e se non lo facciamo bene, non ci danno le mele che ci spettano.
Dopo aver letto il mio fascicolo, credo si chiami così, mi hanno chiamata e portata in una stanza all'ultimo piano.
Mi hanno chiusa lì dicendo che gli assassini devono stare con gli assassini.
Non so cosa intendessero ma è meglio così.
Mi siedo per terra e vedo un bambino nella penombra della stanza: è appoggiato al muro con un piede ed è a braccia incrociate.
Ha una benda intorno alla testa e lo sguardo basso. Sorride.
Incuriosita e anche un po' titubante mi alzo pulendomi i pantaloni della felpa e la maglietta nera che mi hanno dato appena arrivata. Troppo grandi.
«Ciao io sono Eurus. Ho dieci anni. Tu come ti chiami?» gli domando dirigendomi verso di lui.
Ha un paio di pantaloncini che lasciano scoperti i polpacci, coperti di graffi.
Non mi risponde e mi avvicino ancora di più.
Sono a qualche centimetro da lui quando si gira verso di me e mi blocca al muro con le mani.
Alza il viso, guardandomi. I suoi occhi sono fissi su di me hanno uno strano colore; rosso scuro.
«Perché sei qui?» mi chiede «Non fanno entrare mai nessuno nella stanza del lupo» smette di parlare per un momento mentre il sorriso si trasforma in un ghigno «A meno che...».
Mi tocca la spalla sinistra.
Soffoco un grido di dolore; il marchio brucia ancora.
Sposta la mano dalla spalla e alza la manica della maglietta scoprendo la spalla dove c'è il simbolo.
Si stupisce.
«In genere il cerchio non è barrato. Perché il tuo lo è?» dice abbassando lo sguardo come se stesse pensando.
«Hai il simbolo degli assassini. Significa che sei come me. E che mi dovrai aiutare » dice soddisfatto.
Si gira dall'altra parte lasciandomi andare. Va verso il letto e lo seguo non sapendo che cosa intendesse dire.
Si rigira verso di me con un sorriso sincero dipinto sul volto.
«Io sono Zack».

Siamo sul pullman diretti a casa. È stata una strana gita.
Per le prima volta l'ho sfruttata per stare davvero con le mie amiche.
E per pensare un po' a ciò che sono.
Accanto a me non c'è nessuno poiché Madison si è messa davanti, a causa del mal d'auto.
Rachel e Luce invece si sono messe vicine, perché volevano che Zack si mettesse accanto a me, invano.
Sto giocando un po' con il mio telefono quando qualcuno si siede accanto a me.
«E... Eurus?» mi chiama la persona accanto a me.
Mi giro per vedere chi sia. È Jacopo.
Ha ancora qualche taglio sul viso ma per il resto è guarito. Molto in fretta.
«Che vuoi?».
«Scusami. Mi avevano promesso che saremo diventati amici».
Amici?! Sta scherzando spero?! Dopo tutto quello che mi ha fatto?!
«Invece» continua «ho solo peggiorato le cose. Mi faccio davvero schifo. Mi sono abbassato al loro livello».
«Posso farti una domanda?» chiedo girandomi verso di lui «Come faceva Zack a conoscerti?».
Alza un sopracciglio come se gli avessi fatto una domanda stupida.
«Gliel'ha detto Rocco di portarmi da te. Li ho visti parlare prima di venire a casa tua» abbassa lo sguardo «Mi potrai mai perdonare?».
Sta dicendo la verità.
«Va bene» gli rispondo distaccata «Ma ora lasciami in pace».
Sorride. Spero che non sia stato un errore.
Torna al suo posto e mi rimetto a giocare con il telefono.
Che cosa vogliono da me?
Cosa sanno su di me?

Sono seduta in cucina.
I miei genitori sono seduti di fronte a me e mi guardano in silenzio.
«Tesoro ti dobbiamo dire una cosa» dice mio padre, rompendo il silenzio.
E da lì cominciarono i guai.

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