PROLOGO

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PROLOGO

DUE ANNI DOPO INADU

Per Elijah Mikaelson la vita era una questione di abitudini: si svegliava presto, ogni mattina allo stesso orario, andava a fare una lunga passeggiata per le vie della città, poi nel pomeriggio andava al lavoro, intorno alle cinque. Ogni giorno da oramai due anni. La routine non gli dispiaceva e, ad essere onesti, una parte di sé la percepiva come un riposo ben meritato. Sì, era così.

Durante il fine settimana telefonava ai suoi familiari, parlava con i suoi fratelli, di sua nipote che ogni giorno diventava più grande e più bella. Somigliava a sua madre, per fortuna... lo diceva sempre a Niklaus quando parlavano e lui fingeva di offendersi mentre in fondo, Elijah lo sapeva, era d'accordo con lui.

Parlava anche con Hayley a volte, anche se meno spesso da quando si era trasferita a Los Angeles con il suo compagno: Matthew Morgan. Elijah lo aveva visto solo due volte e gli aveva fatto una buona impressione: c'era un alone di mistero attorno alla sua figura, ma era un brav'uomo. Da quel che sapeva, aveva una sorella, ma non si parlavano ormai da tanto tempo. Doveva pesargli molto, perché l'unica volta che gliene aveva parlato l'aveva fatto con una grande tristezza negli occhi. Non sapeva neppure come si chiamasse, quella sorella misteriosa... o forse sì ma non lo ricordava.

Sorrise leggendo un messaggio di Antoinette, ma non le rispose mentre entrava nel locale dentro il quale si esibiva, al pianoforte, tutte le sere.

"Ciao Luis" salutò il giovane barista che gli fece un cenno con la mano. "Che buon odore, Margot è già all'opera?"

"Sì, è già all'opera. Crêpes salate. Abbiamo un tavolo prenotato per otto persone, questa sera. Hanno richiesto proprio questo piatto specifico e Margot è stata felice di accontentarli."

Elijah rise togliendosi la giacca e poggiandola sulla sedia che teneva sempre vicino al suo pianoforte, raggiunse la cucina per prendersi una tazza di tè e quando tornò, seduta al piano, vide una giovane donna che suonava qualche nota di una melodia che gli era familiare. La osservò con attenzione: lunghi capelli castani, pelle chiara e liscia, il suo odore dolce gli riempì le narici anche a distanza. Le mani sottili si muovevano incerte sui tasti, la testa piegata lasciava intravedere un profilo delicato. Camminò nella sua direzione e si fermò a pochi metri da lei.

"Questa melodia," le disse. "Mi è familiare."

La donna abbozzò un sorriso, ritrasse le mani e alzò il viso per guardare nella sua direzione. Elijah sentì qualcosa muoversi dentro il petto, uno sfarfallio inaspettato che gli tolse il fiato per un istante.

"È una vecchia chanson" replicò la donna alzandosi, rivelando un corpo esile ma morbido. "Non so suonare che quelle poche note. Il mio fidanzato la suonava per me, un tempo. Adesso non più."

"Perché?" Elijah scosse poco il capo. La domanda era stata indiscreta: non erano affari suoi. Gli venne voglia di scusarsi, ma la donna sorrise avvicinandosi di qualche passo e lui rimase a guardarla, in silenzio.

Da più vicino, Elijah notò alcuni particolari che non aveva notato: aveva un neo sul viso, sulla guancia destra, gli occhi di un caldo color nocciola tendente al verde e quando sorrideva le spuntavano delle bellissime fossette che le conferivano un'aria da ragazzina.

Era magnetica e si sentì in colpa nei confronti di Antoinette, la donna che frequentava da poco meno di un anno, la donna che amava e che lo faceva star bene. Si sentì in colpa perché trovava quella sconosciuta incredibilmente bella, perché sentiva che la desiderava, in qualche modo, che ne era attratto.

"Scusa" le disse senza smettere di fissarla. "Non so perché l'ho chiesto, non sono affari miei."

"Non fa niente" replicò lei. "Scusa se ho usato il piano senza chiedere prima il permesso. È stato una sorta di richiamo."

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