1963

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1956, la vita che forse non vivremo mai

«Dove sei?» lo interroga Natalia perdendosi nei suoi occhi, cercando di identificare le immagini che gli scorrono ad alta velocità nella testa, scandagliando le sue iridi scovando i contorni delle strade di New York, distraendolo ed obbligandolo inconsciamente a ritornare da lei in Russia. «Lontano milioni di chilometri da qui.»

«Scusami.» sospira allungando la mano sana per scostarle i capelli dal volto, dispiacendosi per quei momenti in cui il suo cervello partiva per la tangente in modo autonomo e la lasciava in compagnia di un automa con lo sguardo perso nel vuoto.

«Pensavo che il sesso ti mettesse di buon umore.» afferma la donna liquidando la faccenda scacciando la sua mano, appoggiando la testa contro la sua spalla ed iniziando ad accarezzarle la schiena in punta di dita facendola rabbrividire appena, non riuscendo a tenere a freno la lingua quando la vede reagire in quel modo.

«Non è solo sesso.» afferma astenendosi dal fornire una spiegazione a quel dato di fatto.

«Allora cos'è?» lo sfida con un sorriso malizioso impresso sulle labbra.

«Non lo so.» mente, perché quel sentimento che pian piano stava crescendo tra le sue costole, germogliando dal suo stomaco trasformato in una gabbia di farfalle fino a raggiungere il suo cuore era amore. Spaventosissimo amore.

«Fa paura.» percepisce il sussurro di Natalia contro il collo, appurando che non deve essere l'unico ad aver definito quel sentimento impetuoso con un nome così pauroso.

«Solo perché non puoi averne il controllo.» tenta di rassicurarla con scarsi risultati, indugiando sullo sfregio vicino alla scapola che le ha procurato qualche settimana prima, sfiorandolo come se fosse un tacito monito e da quella cicatrice potesse partire una diramazione infinita di crepe. «Non puoi sempre avere il controllo delle tue scelte... dovresti, ma sappiamo entrambi che non ne abbiamo la possibilità.»

Permette alla propria voce di piegarsi al senso di colpa, lasciando trasparire la reale distanza che li separava dal baratro dell'incoscienza e della morte, in una palese rivolta dalle ore contate.

«Finirà male... questa storia intendo.»

Non le da risposta, lasciando che il silenzio prenda le sembianze di una conferma.

Sapevano entrambi che quella situazione era da pazzi incoscienti, ma avevano smesso da tempo di considerarlo un errore... probabilmente era l'unica cosa giusta che avevano combinato da quando erano stati rinchiusi al Cremlino, permettendo a quella concessione potenzialmente mortale di trasformarsi giorno dopo giorno in un punto debole che li rendeva estremamente vulnerabili.

«Ci pensi mai a come sarebbe se noi non fossimo... noi?» esordisce Natalia di punto in bianco prendendolo in contropiede, restando interdetto di fronte a quella fantasticheria espressa ad alta voce, in una manifestazione tangibile e pericolosa di quella ribellione che alimentavano segretamente quasi ogni notte.

«Sai che non è possibile.» la ammonisce, tentando di bloccarla prima che instilli nella mente di entrambi un desiderio irrealizzabile e doloroso a cui aspirare.

«Lo so, ma per un solo momento... immaginalo.»

«È stupido Natalia, significa farsi del male.»

«Cosa può succederci di peggio?» replica interdetta con tono scontroso, intravedendo quel sogno ad occhi aperti andare in mille pezzi nel suo sguardo verde foresta... e James si sente in colpa per averle imposto quel limite egoista unicamente per non ferirsi più del dovuto, perché ciò che Natalia fantasticava lui l'aveva vissuto.

1956 // We always live in the castle [Black Widow Origin Story _ WinterWidow]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora