Twenty five - Brother

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RYAN

Dopo un paio di settimane di riposo, Sonny mi ha obbligato a tornare ai miei lavori sporchi nonostante le mie condizioni fisiche non siano perfette.
Rincaso, stanco, da una piccola rapina compiuta in un negozio dove il proprietario doveva dei soldi a Sonny. Lascio la borsa con la somma di denaro sul tavolo del salotto, tra qualche ora il moro verrà a prendersela, sto per gettarmi a peso morto sul divano quando qualcuno suona il campanello. Mi ritrovo a trasalire, e se fosse Andy?
Alla fine è già stato qui ed io non avrei nessuna spiegazione da dargli, o meglio, ci sarebbe ma non posso rischiare di ferirlo più del dovuto.

Mi avvicino allo spioncino della porta scorgendo la figura di mio fratello Robbie che si guarda intorno in maniera ansiosa, alzo gli occhi al cielo non molto contento della sua visita per poi aprirgli la porta.

«Che ci fai qui?» chiedo scontroso.

«Ciao anche a te Ryan, è sempre un piacere vederti.» posa i suoi occhi scuri su di me, sorridendomi appena.

Sono cambiate molte cose dall'ultima volta che ci siamo visti, ormai quasi un anno fa: non porta più i capelli lunghi legati in una coda, adesso sono più corti e tenuti fermi all'indietro grazie al gel. La pelle ha un aspetto diverso: è più rosea, gli occhi incavati dalle occhiaie profonde non ci sono più e le macchie dovute all'assunzione della cocaina mista all'eroina stanno sparendo piano piano.
Non sembra più la stessa persona ma, sinceramente, non so quanto fidarmi di lui e il fatto che sia qui mi insospettisce ancora di più.

Mi sposto lateralmente alla porta, facendolo entrare, per la prima volta in questa casa. Un brivido percorre la mia schiena al ricordo di quanto fosse diversa la mia vita soltanto un anno prima: abitavamo in un piccolo loft non molto distante dal centro di Londra, la nostra vicina di piano era una graziosa signora di 64 anni che badava ai gemelli nel pomeriggio, al mattino io lavoravo in una caffetteria vicino alla scuola dei piccoli, staccavo intorno all'ora di pranzo così che potessi riaccompagnarli a casa per fargli il pranzo e poi correvo al centro commerciale dove facevo il commesso in un negozio di abbigliamento sportivo. Robbie, invece, lavorava in una palestra come allenatore di arrampicata. Facevamo il possibile affinché riuscissimo a manterci in maniera dignitosa.

Fu lì che Robbie conobbe uno degli scagnozzi di Sonny, non seppi mai il suo nome o il motivo per cui mio fratello entrò in quel giro. Non mi interessava, ero solo profondamente deluso da lui e spaventato per i gemelli.
Una semplice domenica di settembre Sonny si presentò a casa nostra, fece sedere me e Robbie sul divano perché doveva dirci qualcosa di importante. Ricordo lo sguardo spaventato di mio fratello incontrare il mio totalmente confuso e ignaro di cosa sarebbe accaduto da lì a poco.
Non sapevo nemmeno chi fosse il moro che era seduto di fronte a me, con un sorriso strafottente sul viso, iniziò successivamente a parlare raccontandomi di come Robbie e lui si erano conosciuti. Mi parlò delle due droghe di cui mi fratello faceva uso e ricordo di essermi alzato di scatto dal divano, prendendomi la testa tra le mani, mentre ripetevo di smetterla con questo stupido scherzo perché non era divertente ma nessuno rideva e mi accorsi della gravità della cosa.

Ricordo di aver urlato contro Robbie tutta la rabbia che provavo, non aveva pensato ai gemelli, a me, alla nostra famiglia che era lontana. Lui aveva pensato solo a se stesso e alle sue stupide dosi che, a quanto pare, lo facevano stare bene, non gli facevano sentire la stanchezza a lavoro o i pensieri che gli attanagliavano la mente. Sonny incrementò la mia dose di dolore informandomi che Robbie gli doveva dei soldi per quella inutile polverina bianca, gli chiesi a quanto ammontasse e mi mancò il fiato. Non avevamo quella somma e non saremmo riusciti ad averla in poco tempo.

Fu in quel momento che Sonny mi mise davanti ad una scelta: reperire la somma di denaro entro una settimana, ma se non ci fossi riuscito non l'avrei passata liscia o fare qualche lavoretto per lui. Ci riflettei a lungo e, a malincuore, accettai di lavorare per lui. Fu contento della mia risposta ma c'erano delle condizioni: i gemelli non potevano assolutamente rimanere a vivere con me, ricordi di essermi opposto a ciò e il moro non si fece molti problemi a cingere il mio collo con la sua mano, minacciandomi. La paura si impossessò del mio corpo ed acconsentì nonostante il dolore di avere quei due piccoletti lontani da me mi lacerasse dentro.

Sonny e il suo scagnozzo si alzarono, contenti della chiacchierata avvenuta, dandomi appuntamento il giorno dopo. Uscirono successivamente dalla porta principale, il silenzio calò all'interno della stanza e dopo minuti che sembravano interminabili Robbie provò a parlarmi, gli intimai di stare zitto e di uscire da quella casa all'istante.

«Rye mi stai ascoltando?» mi chiede mio fratello sventolandomi una mano davanti al viso, mi risveglio dal mio stato di trance.

«No, che stavi dicendo?» nel frattempo ci siamo accomodati sulle poltrone del soggiorno, uno di fronte all'altro.

«Sono venuto qui per ringraziarti, grazie ai soldi che mi mandavi e a quelli che guadagno a lavoro, sono riuscito a pagarmi il corso riabilitativo e adesso sto bene.»

«Mh, sono contento per te.»

«E sono venuto qui per dirti che torno a casa, in Spagna. E vorrei che tu e i gemelli veniste con me.» mi riferisce tranquillamente ed io scoppio in una risata amara.

«Per i gemelli puoi provare a parlare con Sonny ma io non posso muovermi di qui.» Robbie mi guarda confuso, come se non capisse dove voglio arrivare così continuo il mio discorso «Sai Robbie, a causa della tua dipendenza io sono diventato uno degli scagnozzi di Sonny e ho due opzioni per quanto riguarda la mia vita: sottostare a lui o morire. Quel fatidico giorno mi hai rovinato la vita e quello a pagarne le conseguenze sono io.»

«Ma Ryan, non-» lo interrompo prima che possa dire altro.

«Niente "ma", adesso ti chiedo cortesemente di uscire.» gli indico la porta con la mano mentre io rimango a testa bassa.
Non so se riuscirò mai a perdonarlo per ciò che mi ha fatto, sono un egoista, lo so ma lui nei momenti in cui si faceva pensava solo a se stesso e adesso è il mio turno.
Si alza dalla poltrona avvicinandosi alla porta che sbatte dopo essere uscito, appoggio la schiena sullo schienale della poltrona, chiudo gli occhi facendo dei respiri profondi mentre la ferita che porto da un anno si riapre inumidendomi gli occhi. Così mi rilasso mentre lacrime silenziose si riversano sulle mie guance.
Finirà mai questo dolore?

Forelsket // Randy // (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora