Capitolo 24 - I Portinai

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«Gli Skreenight ci sono tutti» aveva cominciato a dire Nana al suo Capo, sporgendosi sulle punte delle sue scarpe eleganti, «anche lo spettro.» 

Sta di fatto che il grosso portone a due ante non resse sotto la potenza dell'onda d'urto.
Un fragoroso boato lo fece tremare, spalancandolo tutto d'un colpo. 

Nana sobbalzò per lo spavento, voltandosi di scatto, ed io per poco non caddi dalla sua spalla.
Del fumo grigio s'alzò da terra, invadendo buona parte dell'ufficio personale del Capo Portinaio, insieme ad alcune sporadiche fiamme verdissime, che s'andavano poco alla volta spegnendo sul parquet lucido. 

L'odore di bruciato fu la seconda cosa che arrivò, insieme al sorrisetto soddisfatto di Victor, che tuttavia non si mosse, dalla sedia della sua scrivania di legno scuro, restando in attesa, insieme a noi due.

«Toc toc!» si sentì dire, oltre il fumo. Areck fu la prima a venire allo scoperto, tra le sue mani incandescenti la sua lanterna bruciava quasi quanto il suo sarcasmo: «Disturbiamo? Signor Capo Portinaio?»

Subito affianco a lei, Hiroshi trascinava il povero Tyler per la felpa: lo lanciò di malo modo sul pavimento, con tale forza che il Portinaio scivolò lungo tutta la distanza, andando a sbattere contro la scrivania di Victor, e una parte delle scartoffie gli cadde addosso, sparpagliandosi intorno a lui. 

Anche gli altri Skreenight furono ben presto tutti perfettamente visibili, non appena l'aria si fu rischiarita, e ognuno di loro sembrava alquanto desideroso di sfogare la propria rabbia sull'uomo seduto dietro il tavolo, che s'alzò in piedi, sporgendosi sul ragazzo dai capelli rossi, più in basso. Nel guardarlo, la sua espressione soddisfatta si scurì leggermente, andando poi a finire su quella più sorpresa di Nana, che in quel frangente si sentì cogliere con le mani nel sacco.

«L'hai lasciato tu, questo imbecille, da solo con sei maghi armati?» le chiese, con aria cupa, e la sua voce profonda fece tremare la cassa toracica della piccola Portinaia. Lei arrossì per la vergogna e non rispose, tuttavia lanciò un'occhiataccia colma di rabbia a Tyler, che intanto cercava di rialzarsi, dolorante, scostando via i fogli che gli erano caduti sopra.
«M-mi... hanno preso il Taglio nel tempo...» cercò di giustificarsi lui, massaggiandosi una spalla.

Steiyn sventolò in aria il triangolino di ferro, con fare canzonatorio: «Sei tu? Il Capo Portinaio?» chiese, rivolgendosi all'uomo.

Il viso di Victor tornò a tingersi della sua solita strafottenza. Scostò la sedia, quindi uscì completamente da dietro il tavolo, mostrandosi in tutta la sua possenza agli Skreenight.
Il Capo Portinaio era un vero e proprio armadio: alto, muscoloso, abbronzatissimo, i capelli e il pizzetto così biondi da sembrare bianchi. La sua faccia era tra le più stronze che io ricordi e quei suoi occhietti turchesi davano costantemente l'impressione di prendersi gioco di chi avevano davanti, ostentavano sicurezza e furbizia, nascondendo con spavalderia buona parte dei suoi quarantasei anni e facendolo sembrare più giovane.
Cosa che non riusciva affatto a fare la manica destra della sua camicia chiara, annodata con poca attenzione lì dove il suo braccio terminava, poco più sotto il deltoide.

Tyler scattò in piedi, allontanandosi un po' da quel lato del tavolo quando Victor si avvicinò, andandosi a nascondere dietro Nana, che continuava a guardarlo come se avesse voluto ucciderlo solo col pensiero.

«Skreenight» esordì l'uomo, allargando il suo unico palmo, «Benvenuti nel mio piccolo ufficio» scherzò, esibendo ancora una volta la profondità della sua voce, come se con quella volesse far capire fin da subito a tutti chi è che comanda.

Steiyn s'infilò il triangolino d'argento in tasca, quindi alzò lo sguardo lungo le lampade a muro che illuminavano il posto, salendo fin sopra le due spaziose rampe di scale poste ai lati, che salivano su un pianerottolo semicircolare, poco più in alto, messo a sua volta sotto un secondo pianerottolo, ancora più in su, anch'esso raggiungibile attraverso due scalinate laterali.
I muri dell'intero luogo non erano altro che degli scaffali di legno, stracolmi di libri da cima a fondo. Dietro la parete posta sul primo pianerottolo, una vetrata trasparente s'affacciava su un balcone di pietra, abbastanza spesso da essere intravisto anche dalla posizione del ragazzino, che in quel momento colse l'ironia di Victor quando aveva detto "piccolo ufficio".

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