Capitolo 23 - I tre anni perduti

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Non appena attraversammo la morbida fessura del Taglio nel tempo, quest'ultima si richiuse alle nostre spalle, sparendo in un bagliore bianco. 

Non troppo diverso, tuttavia, dal candore in cui tutti noi ci ritrovammo. Uno spazio completamente vuoto, che sembrava estendersi intorno a me e ai ragazzi all'infinito. 

«Che razza di posto è questo?» si lasciò sfuggire Areck, facendo sparire la sua lanterna, lì dentro completamente inutile.
Zhore strinse un lembo della salopette di sua sorella, quando il suo sguardo si posò sul pavimento, anch'esso bianchissimo e luminoso, che s'increspava, sotto le sue scarpe, in cerchietti trasparenti, come se uno strato sottile d'acqua lo ricoprisse per intero.

«Vi do il benvenuto nel Midnight, a come sarà tra circa una decina d'anni» spiegò Nana, senza un minimo d'entusiasmo, «Ovvero il nulla assoluto, visto che a quanto pare non esisterà più. Da questa parte.»

La Portinaia fece per allontanarsi, e gli Skreenight le andarono dietro, anche se con passo piuttosto incerto.

Non si riuscivano a distinguere le pareti dal soffitto, né il soffitto dal pavimento, sembrava tutto mischiato e quel candore gelido confondeva la vista.
Non facemmo molta strada, in realtà. Poco più avanti c'erano delle scale, dai gradini trasparenti e lucidi. Scendevano a chiocciola e quasi non si distinguevano dal resto.

«Attento a dove metti i piedi» sussurrò Rinae a Steiyn, subito dietro di lui, trattenendolo per una spalla.
«Che fastidio» si lamentò lui, mentre si sforzava di capire dove stavano gli scalini, cercandoli a tentoni con le suole dei suoi anfibi, quando non sapeva più dove guardare. 

«Era da un sacco di tempo che non mi capitava di scendere delle scale, da spettro» ridacchiò Hiroshi, poco più dietro, accanto al Cacciatore.
Heyel alzò un sopracciglio: «E perché non le attraversi come hai fatto prima?»
L'altro fece spallucce: «Non ci riesco. Si vede che dentro questo tipo di portali non posso muovermi liberamente.» Sta di fatto che l'espressione disinteressata del suo interlocutore catturò l'attenzione dello spettro, che non riuscì a trattenersi: «Sei ancora incazzato per quello che è successo in quel Timely, non è vero?»
Il Cacciatore lo fulminò con un'occhiataccia, tuttavia esitò qualche secondo, il tempo di capire dove mettere i piedi: «No...» sospirò, seccato, «Ho solo altre cose per la testa.»

«Ragà. Là sotto» fece Steiyn, interrompendoli, indicando verso il basso, alla sua sinistra.
Areck seguì il dito del ragazzino, stringendo quel suo unico occhio in una fessura: c'era una macchia scura, in fondo alle scale e il suo cervello quasi ringraziò, alla vista di un qualcosa di diverso, e soprattutto di non bianco.

Attraverso i gradini trasparenti appariva solo come una forma indefinita, ma una volta arrivati alla fine della rampa, gli Skreenight si resero conto che si trattava di una vecchia scrivania di legno. Era scura, ingombrante e vuota, un vero e proprio pugno in un occhio dentro tutto quel chiarore, tanto da non sembrare minimante appartenere al portale. I ragazzi furono ben felici di lasciarsi alle spalle la gradinata, quindi, guidati dalla Portinaia, si avvicinarono al tavolo.
Su quest'ultimo, c'era seduta una persona.

Era un ragazzo giovane, se non erro in quel periodo credo fosse appena maggiorenne; se ne stava stravaccato lì sopra, con le gambe incrociate e gli avambracci appoggiati sul bordo del lato lungo. Aveva i capelli rosso fuoco, corti e mossi, tutti spettinati, dello stesso colore delle sue iridi. Indossava una felpa scura e un paio di jeans scoloriti, sopra una maglietta grigia, con su disegnato il logo di un famoso rhythm game.

Non appena vide arrivare il gruppo, fu veloce a rimettersi dritto con la schiena. Non abbastanza, comunque, poiché Nana fu ancora più rapida ad afferrarlo per il bavero, con rabbia, facendomi quasi cadere dalla sua spalla.
«Ti ho detto mille volte di non sederti sui tavoli, scendi!» esclamò la Portinaia, costringendolo, con uno strattone, a mettere i piedi a terra.
«Oh, come on!» alzò i palmi lui, un po' scocciato, nonostante sembrasse abituato ad essere sgridato dalla ragazzina. «Sono venuto da Denver, mica dietro l'angolo. Il tempo di pranzare, e sono corso. E sono pure arrivato un po' in anticipo, non sei contenta?»
«Ho la faccia di una che ti sembra contenta?» ringhiò Nana, mostrandogli un'espressione schifata. Quindi lo lasciò andare, pulendosi una mano sul pantalone, mentre con l'altra indicava i ragazzi.

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