ZERO (4 parte)

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La sua stanza era totalmente ricoperta da cerchi segnati col sangue, dalle pareti fino al soffitto. E, sopra al suo letto, v'era la testa martoriata del signor Rogers. Corse fuori dalla stanza, ma, inciampando sul manico dell'arma contundente, cadde per le scale. Quando giunse alla fine di esse, la sua testa sbatté contro a un mobile, facendole perdere i sensi. Si risvegliò in una stanza buia e, quando si alzò, notò che era piena di specchi. Ovunque guardasse, vedeva il suo riflesso, il suo volto malaticcio e gli occhi stanchi. Il suo cuore iniziò a farsi pesante. Dov'era?

«Non sei felice? Se n'è andato, non ti farà più del male.» Disse la stessa voce che sentì mesi prima. Alice si guardò intorno, per capire da dove venisse la voce, ma riuscì solo a vedere il suo patetico riflesso. «CHI SEI TU? VOGLIO DELLE RISPOSTE!» urlò a pieni polmoni. Una risata riempì la stanza. «Non ti ricordi di me, Alice? Sono la tua migliore amica, la tua prima amica. Io sono Zero.». Ci fu un lungo silenzio.

«Mi hai immaginata perché ti potessi proteggere. Ma se fossi rimasta immaginaria, non ti avrei potuta aiutare. Così dovetti trovare un modo per poterti sempre proteggere. Sono semplicemente parte della tua coscienza, così, se considerato ciò, io sono te.» sussurrò la voce.

«No! NO, TU NON SEI ME! Tu non puoi... a meno che... sei un demone?» chiese Alice, scossa.

«No, ovviamente non lo sono. Sono un'amica, qui per fare ciò che mi è stato richiesto per tutti questi anni. Ma hai cominciato ad ignorarmi, dopo la morte dei tuoi genitori. Sono stata davvero sola, Alice. Ma sto diventando sempre più forte, non puoi più controllarmi, Alice.» disse la voce sinistra.

"I miei genitori? Aspetta, ricordo!" pensò Alice. «TU! Tu mi hai detto di attraversare la strada! Tu mi hai fatto uccidere i miei genitori!» Le lacrime scorrevano sulle sue calde guance. «Beh, sì. Dovevo, non ci avrebbero lasciate giocare insieme. Non avrei potuto aiutarti, finché ci fossero stati loro a proteggerti. Dovevano andarsene perché io potessi fare il mio lavoro. È quello che mi hai chiesto di fare tu, dopotutto. Proteggerti.»

Alice smise di piangere e rimase ferma, in silenzio. Il suo intero corpo era pervaso da un'incontrollabile rabbia. Senza preavvisi, diede un pugno a ognuno degli specchi. «Mi hai portato via tutto! Tutti se ne sono andati. Non ho più nessuno! Non sono niente!» urlò, mentre continuava a prendere a pugni le superfici che riflettevano la sua immagine, finché le nocche non cominciarono a sanguinarle. Mentre correva verso lo specchio successivo, inciampò su qualcosa. Quando guardò cosa fosse, vide il martello ricoperto di un liquido color cremisi. Lo prese e con quello colpì tutto ciò che le capitava sotto tiro. Pezzi di vetro si sparsero per la stanza, ferendo Alice in diversi punti. I tagli erano profondi, ma ormai non sentiva più nulla. Si sentì praticamente vuota, a quel punto. Il suo attacco di rabbia si arrestò, riprese bruscamente fiato, restando in piedi sui pezzi di vetro che rivestivano il pavimento della stanza, sporchi del sangue che colava dalle sue mani. Si guardò intorno, finché non vide il suo riflesso in un angolo della stanza. Stava sorridendo. Gli andò incontro, per poi colpirlo con il martello.

I suoi occhi si aprirono lentamente, una bianca luce la accecava. Le fredde piastrelle del pavimento erano a contatto con la sua dolorante schiena. Si sedette lentamente, notando di essere nel suo bagno. Si appoggiò al tavolo, aiutandosi per alzarsi. Quando finalmente si rimise in piedi, si guardò nel grande specchio. Dopo un po' di minuti di completo silenzio, scoppiò in una violenta risata. Un largo sorriso le attraversava la faccia. Sia la sua pelle che i suoi capelli erano diventati bianchi e grandi cerchi neri le circondavano gli occhi, partendo dalle sopracciglia, fino ad arrivare alle guance. «AHAHAH! Adesso è più come lo volevo. Finalmente mi sento me stessa!» disse. «Per favore... lasciami in pace...» implorarono le labbra che prima erano di Alice. «Ho sopportato troppo... per troppo tempo.» rispose Zero. Alice non ribatté, era scomparsa. «AH! Assomiglio ad uno scheletro, ma non del tutto.» commentò, ammirando la sua carnagione bianca.

Uscì dal bagno, dirigendosi verso il soggiorno. Prese delle forbici, un ago e del filo. Quando entrò di nuovo nel bagno, posò i suoi attrezzi e sorrise allo specchio. «Uno scheletro come si deve, dovrebbe avere i suoi denti.» disse, mentre le forbici affilate tagliavano le guance. Il sangue le colava fino al mento. Le lame tranciavano i muscoli e i nervi nella sua carne, in ogni lato della faccia. Il liquido cremisi continuava a colare. Dopo aver terminato i grandi tagli che le attraversavano la faccia da orecchio a orecchio, prese ago e filo e cominciò a cucire la ferita, in modo da lasciare delle lineette verticali equidistanti. Non cucì solo la bocca, per riuscire parlare. Dalle ferite, continuava a scorrere il liquido rosso. Assunse un'espressione disgustata e inclinò la testa. «Ugh, rosso. Odio quel colore. Ricorda, Alice, il sangue rosso che grondava dalla testa di tuo padre e le fiamme rosse che consumavano tua madre. Questo colore è l'ultimo che mi è rimasto in testa, prima che tu mi abbandonassi. Meglio non ricordarlo.» Disse, mentre si chinava verso il pavimento, per poi immergere l'indice nella candeggina. Si rialzò, per poi buttare la testa all'indietro, sollevare il dito sopra ai suoi occhi e lasciare che delle gocce vi cadessero su. Iniziarono a bruciare come se fossero in fiamme e non poté vedere nulla per qualche minuto. Quando la vista le ritornò, quello che prima era un liquido cremisi si trasformò in sangue nero. Tutto ciò che poteva vedere era di un nero profondo, bianco accecante o grigio sbiadito. Non avrebbe più visto quell'orribile colore un'altra volta. Finito ciò che doveva fare, ritornò in soggiorno, quando sentì lo squillo del telefono.

Si diresse nella stanza di Alice e rispose. «Pronto?» disse in un tono subdolo. «Alice! Oh mio Dio, stai bene! Non ti ho vista per mesi. Pensavo che fossi scomparsa per sempre!» Disse Ann, in preda al panico. «Sto bene. Più che bene, in realtà.» Zero ridacchiò. «Bene! Possiamo incontrarci? Ho qualcosa per te!» disse emozionata. «Eheh, sarò subito da te.» rispose Zero, riattaccando subito. Sorrise, tirando la pelle attaccata col filo. Uscì velocemente fuori dalla stanza, prendendo il martello e correndo via di casa, per poi immergersi nella foresta autunnale. Sbucò dalla parte opposta, camminando per la strada vuota. Lo sporco strumento che si portava appresso strideva contro l'asfalto. Ridacchiò tra sé e sé, dirigendosi verso la casa. La luce della cucina era accesa e non c'era la macchina dei genitori parcheggiata. L'ombra di Ann corse per la piccola finestra illuminata. Zero, diventando sempre più impaziente, salì i gradini e bussò alla porta di quercia. «Sono subito da te, Alice! Cavolo, adorerai il tuo regalo.» urlò Ann da un'altra stanza.


•Ciao ragazzi! Posterò a breve la quinta parte! Voi che avete fatto di bello oggi?•

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