Non solo voci

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La torre in mezzo alla foresta era l’unico elemento dissonante, l’unica nota stonata in un armonioso paesaggio botanico.


Il giovane Coniglio Cavaliere si fece spazio fra le fronde verdi, scoperchiando quella visone da favola.

Altissima, poco più delle immense querce, di mattoni cotti color tramonto incastonati senza alcun ordine preciso. Il tetto, una cuspide ogiva, si stiracchiava come il manto d’un baldacchino orientale. Sulle sue quattro estremità in ferro vi erano appesi tre secchi di latta, forse colmi d’acqua, forse contenitori di tesori.

Il Coniglio Cavaliere si fece avanti, il collo steso in alto per garantirsi una visione migliore. Le orecchie vibranti nell’elmo lucente. Una grande finestra ad arco, priva di balcone tranne che per un davanzale, era l’unico ingresso alla torre.

Né porte, né scale. Come fosse stata costruita tutta d’un solo blocco frastagliato. Posta lì, nel cuore del bosco, come ammenda, come fulcro d’una leggenda terribile.

Il Coniglio Cavaliere, tutto un luccichio nella sua corazza di cuoio ed argento, iniziò a tastare i mattoni della torre. Uno ad uno. Ciascuno faceva un suono secco, pieno e poco rimbombante. Fin dove la sua altezza glielo consentiva, tasto cotti storpi e pieni.

Poi, beccò quello vuoto. Concavo di materia, il suo scalpicciò risuonò lungo le mura tonde dell’alta torre. Il suono pari al pompare sangue d’un cuore.

Tac. Tac. Tac.

Il vento estivo a far da sfondo a quel profondo richiamo.

Dalla finestra si affacciò una lanterna ad olio, d’un meraviglioso metallo nero. Una zampa guantata la reggeva dondolante verso il basso.

«Chi va là?» Fece una voce sottile, di donna, dall’alto della finestra.

«Solo due occhi che cercano risposte, Milady» Alzò il tono il Coniglio Cavaliere, le orecchie tese in cerca d’un altro suono.

«Che risposte cerca, Messere, da una torre vecchia e reclusa?».

«Quelle d’una leggenda che voi dovreste ben conoscere, Milady. Si racconta, giù nel villaggio, d’una fanciulla rapita dal vento per il suo dolce canto e il suo manto furi natura».

La donna concesse silenzio, ragionando cose escluse alla semplice mente del cavaliere. Le tremavano le mani, ma da laggiù era qualcosa di impercettibile.

«Non sono uno di quei ceffi che compie imprese solo per interessi personali, in cambio di risposte vi concederò qualunque cosa, esaudirò un vostro desiderio» Insistette il Coniglio Cavaliere, stingendosi una zappa al petto in segno di giuramento.

«Cosa mi assicura che non siete come gli altri, Messere? Di voi sento solo la voce, non ho prova di occhi o di atti…» Rincarò la voce femminile, come coperta da un manto d’orridi ricordi «Non immagini neanche quante voci come la tua mi abbiano promesso la luna in dono, per poi ricevere il proprio compenso e dimenticarsi di me…mani vuote».

«È vero. Le nostre voci sono tutto ciò che abbiamo, rendiamole certezze. Mi dia tempo, Milady, e così avrà la certezza che io sono diverso».

Suonava ambizioso, preteso. Ma non impossibile. Piacque alla Dama.

«Tempo, mi chiedi, e tempo avrai. Sotto i piedi della quercia rossa vi sta un piccolo secchio di latta come questi, al suo interno un seme. Sembrerà insignificante, ma esso germoglia solo con attente cure e vere parole. Piantalo ai piedi della torre, sarà la tua prova di fedeltà» Spiegò la donna, ritirando la lanterna dentro come si fa con un grido.

Il sole calava all’orizzonte, quando il Coniglio Cavaliere terminò di piantare il piccolo seme, dopo averlo annaffiato e sistemato in una aiuola di pietre rosse per riconoscerne la posizione.

«Tornerò domani, Milady. Prometto che quando questa pianta sarà cresciuta esaudirò il vostro desiderio e poi otterrò le mie risposte».

Passarono venti lune e venti soli.

Il Coniglio Cavaliere rispettò il suo giuramento, ormai routine della Dama imprigionata nell’alta torre.

Giungeva a piedi due ore dopo l’alba, con solo la casacca e un pugnale. Annaffiava la pianta e si sedeva con la schiena appoggiata alla torre, all’ombra del tetto a cuspide e delle frasche della quercia rossa. Stava a godersi i raggi estivi del sole, morbidi sul suo manto color terra e notte. Poi dava il buongiorno alla Dama.

Parlavano, i due. Parlavano del mondo che gli era recluso. Lui di castelli e campi scarlatti, Lei di nuvole e montagne lontane. E molto ancora. Parlavano finché non cadeva il crepuscolo, finché non si affacciava dalla finestra la lanterna ad olio.

«La pianta è cresciuta?» Chiedeva allora la donna.

«Solo un poco, ma presto diverrà più grande» Rispondeva il Coniglio Cavaliere, augurandole così la buonanotte e il suo ritorno.

Venti lune e venti soli. L’inverno ormai palpabile.

Una fresca mattina, il Coniglio Cavaliere non trovò un bocciolo ad attenderlo, ma una forte ed alta pianta dalle venature blu zaffiro. La piantina era cresciuta tutt’intorno alla torre, abbracciandola fin poco sotto alla larga finestra.

Un brivido d’emozione corse lungo la colonna vertebrale del giovane. Finalmente poteva scalare la torre. Non perse tempo. Saltò sul fusto verde e cominciò la dura arrampicata.

Sembrava che ogni mattone avesse un senso, adesso, come la loro posizione casuale fosse stata pensata per adattarsi alla crescita della pianta. Passo dopo passo, l’uno più sicuro, l’altro più impaziente.

Con un ultimo sforzo di braccia, si rizzò sul davanzale sottile, ritrovandosi la Dama dinnanzi ad attenderlo.

Una minuta coniglia da pelo blu tale alle venature della pianta. Fantasia o realtà?

«Buongiorno, Milady» Sorrise lui in una posizione precaria.

«Buongiorno, Messere» Fece eco la Dama, divertita.

«Ho atteso e scalato la torre per realizzare un vostro desiderio. Queste orecchie vi ascoltano, queste zampe sono al vostro servizio».

La coniglia blu accarezzò il morbido muso del Coniglio Cavaliere, afferrandogli una zampa e facendolo ruzzolare dentro la buia torre.

«Son io che vi devo una risposta, Messere» Corresse la dama, raddrizzandosi la bianca veste.

«Ma, il vostro desiderio?» Il giovane rotolo di fianco, ancora chino a terra.

«È già esaudito, Messere» La Dama si chinò alla sua altezza, ridente e spaventosamente vicina «Desideravo una compagnia vera e sincera e voi me ne avete fatto un lungo e piacevole dono».

Il Coniglio Cavaliere si mise in ginocchio, prendendole la soffice mano il cui guanto occultava il blu del pelo «Allora, anche le mie risposte mi son già concesse, Milady».

Un dolce silenzio calò fra di loro, come il sospiro che precedeva il crepuscolo.

«Che risposte, ditemi» Insistette lei.

Lui sorrise, sincero e contento «Sapervi vera e non fantasia».

E non furono solo voci, ma anche occhi.

"𝚂𝚎 𝚜𝚘𝚐𝚗𝚊𝚜𝚜𝚒 𝚊𝚍 𝚘𝚌𝚌𝚑𝚒 𝚊𝚙𝚎𝚛𝚝𝚒..."Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora