Undelaiable||11°

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-Jer ed io ci siamo conosciuti tanto tempo fa, non ricordo nemmeno di aver mai vissuto senza di lui.

Ci siamo incontrati la prima volta all'asilo: lui era un bambino timido ed educato, più o meno l'opposto di me, che ero una piccola peste e facevo disperare le maestre, tanto che un giorno avevo addirittura morso un compagno, e, per questo motivo, ero stata messa in castigo in un angolino della classe fino a che non avessi chiesto scusa. Fu in quel momento che Jer mi vide e, non so perchè, venne a farmi compagnia. Passammo l'intera giornata a giocare con macchinine e bambole, e, da quel giorno, diventammo inseparabili: giocavamo sempre insieme e ci sedevamo a tavola vicini.

Dall'asilo eravamo passati alle elementari, e, tra di noi, si era instaurata una forte amicizia, tanto che spendevamo le giornate intere insieme: andavamo a fare passeggiate, in biblioteca, al parco e spesso invitavo Jer a casa mia. Eravamo due bambini spensierati e allegri, o almeno io lo ero, e credevo che lo fosse anche lui.

Fu in seconda elementare, quando avevamo circa sette anni, che iniziò a comportarsi in modo strano: inizialmente si assentò da scuola per alcuni giorni e, quando tornò, notai che preferiva spesso restare da solo e isolarsi, che passare del tempo in mia compagnia. Avevo spesso la sensazione che mi evitasse: trascorrevamo sempre meno tempo insieme e, oltre a questo, iniziò a rifiutare i miei inviti a passare il pomeriggio insieme a casa mia, ne io fui più invitata da lui.

Tutto questo, unito al suo atteggiamento più chiuso e silenzioso, mi portò a credere che per lui la nostra amicizia non fosse più così importante e quindi, nel giro di poco, smisi completamente di parlargli.

Qualche tempo dopo, sentii i miei genitori, mentre parlavano, o meglio, bisbigliavano tra di loro in cucina, supponendo che io stessi già dormendo profondamente. Mia madre stava raccontando di come avesse saputo dai vicini che la madre di Jeremy se ne era andata da poco abbandonando padre e figlio, senza spiegare a nessuno il perchè e facendo nascere il sospetto ai vicini che, tra quelle quattro mura, succedesse qualcosa di strano.

Non compresi a pieno il significato di quel discorso, ma capii quando basta per rimanere sconvolta di quanto appena sentito. Feci per tornare in camera mia, ma i miei genitori mi sentirono sgattaiolare su per le scale a piedi nudi e, con espressione corrucciata, mi chiesero da quanto li stessi ascoltando. Non sapendo ancora mentire, risposi che avevo sentito praticamente tutto il discorso, così, dopo che mi ebbero riaccompagnata in camera mia e rimboccato le coperte, mia madre mi pregò di non diffondere quella voce, se davvero avevo a cuore il mio amico, e di stargli accanto più di prima.

Ebbi tutta la notte per riflettere sulle sue parole, e capii che forse Jer aveva iniziato ad essere strano solo a causa della partenza della madre, e non per altri motivi. Quindi, già dal giorno seguente, tornai ad essere sua amica, e non gli chiesi mai, nonostante la mia curiosità, cosa fosse successo realmente. Con il tempo, Jer ritornò ad aprirsi lentamente con me, ma senza più tornare spensierato come lo era prima, e, soprattutto, senza più sfiorare l'argomento. Era diventato un bambino schivo e taciturno, ma io avevo continuato a stargli accanto, quando tutti gli altri bambini tendevano ad evitarlo.

A undici anni, iniziai a intuire che in quella casa succedesse davvero qualcosa di molto brutto: Jer spesso era assente da scuola, e, una volta, mentre facevamo ginnastica, essendoglisi sollevata involontariamente la maglietta, notai che sulla schiena aveva delle strane cicatrici e dei brutti ematomi viola e neri. In quel momento non volli chiedergli nulla, ma, quando fummo da soli, cercai di paragliene, senza però ottenere nessuna risposta. Dopo questo episodio, divenne sempre più attento e taciturno, anche se ad un certo punto non riuscii più a tenermi nascosta la verità. Scoprii che il padre, da dopo la partenza della madre, aveva iniziato ad affogare i dispiaceri dell'alcool e, ubriaco, ogni volta, lo picchiava, usando anche la cintura. Mi assicurò però che in realtà il padre non era una brutta persona: lo faceva sempre a causa dell'alcool, e, la mattina dopo si scusava ogni volta e giurava, con le lacrime agli occhi, di non bere più. Ogni volta però infrangeva la promessa fatta, e si ripeteva sempre la stessa scena.

Never doubt || HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora