Cap. 9

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A seguito della giornata trascorsa nel bosco, con annesso salvataggio di volpe ferita e prole, ho pensato bene di rimanere un po' a casa, al riparo da emozioni forti.

Mia sorella, come promesso, in queste lunghe giornate ha intasato la memoria del mio smartphone inviandomi foto e video della vacanza sulla neve.

Dovrei avere, ormai, una certa quantità di ottimo materiale spendibile in futuri ricatti.

Tra le varie foto, che ritraggono principalmente Margaret ubriaca, ho notato la presenza di soggetti a me, finora, sconosciuti. Ellen dovrà aggiornarmi sin nei minimi dettagli una volta che sarà tornata a casa, più tardi.

A tenermi compagnia, ci sono stati anche i diversi messaggi e fotografie inviatimi da Robert per tenermi al corrente sullo stato di salute di mamma volpe e figli.

La zampa sembra stia guarendo velocemente e in breve tempo la famigliola felice potrà essere restituita alla sua casa, la natura.

Robert mi ha persino invitata ad andarli a trovare in ambulatorio, ma non me la sono sentita di uscire e devo ammettere di aver racimolato una serie di scuse improbabili.

Mi chiedo, piuttosto, come abbia trascorso il tempo Martin.

La giornata al lago, sembra quasi una proiezione della mia fantasia. Se non avessi la ferita, una prova evidente, sul dorso della mia mano sinistra, a ricordarmi che invece è stato tutto reale, faticherei a crederci io stessa.

Non riesco a capire come siamo potuti transitare così rapidamente da una dimensione di sintonia, seppur anomala, all'indifferenza più totale.

Se chiudo gli occhi, posso ancora sentire la pressione della sua mano fredda sulla mia.

La sua vicinanza, devo ammetterlo, mi ha fatto uno strano effetto. Non so spiegarlo con esattezza, ma ho sentito di essere viva. Viva per davvero.

Forse è stato proprio il contatto delle nostre mani ad avermi dato la forza di addentrarmi nel bosco, seguendo così il mio istinto, forse per la prima volta.

Non saprei darmi un'altra spiegazione, altrimenti. Io non sono così. Ho paura della mia stessa ombra, mentre l'altro giorno ho dato prova di coraggio o se vogliamo dirla tutta, di scelleratezza.

Ma in quel momento non avevo paura, anzi, ero eccitata. Ho letteralmente sentito l'adrenalina scorrermi nelle vene e darmi la spinta ad agire.

Che sensazione strana quella di correre con le proprie gambe e non solo di fantasia.

L'aria era fredda e mi sferzava il volto accaldato, tutti i muscoli atrofizzati del mio corpo si stavano risvegliando dal lungo letargo e potevo percepire del solletico che dalla punta dei piedi arrivava sino alle orecchie, segno dell'aumento della circolazione sanguigna.

Mi alzo di scatto dal letto e comincio a camminare dentro la mia stanza come se fossi una leonessa in gabbia.

Stranamente, mi sento stritolare da queste quattro mura che finora mi hanno sempre fatto da scudo offrendomi il mio personale rifugio dal mondo.

Decido, irrequieta, di uscire dalla mia camera. Ma prima, per evitare che qualcuno possa accorgersi della mia ferita, anche se ormai quasi del tutto guarita, mi ricordo di indossare il maglione che mi ha regalato mia sorella lo scorso natale, il quale funge anche da una sorta di guanto. Me l'ha regalato perché sa che le mie mani diventano sempre gelide quando leggo per tante ore nelle fredde serate invernali.

Scendo le scale e raggiungo la cucina. Qui incontro mia madre, intenta a preparare le lasagne.

Ogni volta che mia sorella torna da qualche viaggio, mia madre le prepara il suo piatto preferito, forse sperando di ricordarle quanto sia bello fare ritorno a casa.

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