Cap. 6

129 25 46
                                    

Subito dopo avermi dato della stronza, Martin è fuggito dall'aula come un treno imbizzarrito, perdendo la solita compostezza algida che lo caratterizza. 

Devo ammettere che vederlo dominato dalle emozioni, seppur negative, mi tranquillizza. Mi dà la speranza che il suo cuore non sia del tutto atrofizzato. 

Dopo essermi ripresa dagli ultimi eventi che hanno dato un bel calcio nel culo al mio entusiasmo riguardo il club del libro, recupero il mio telefono dalla borsa per controllare nella chat di famiglia chi può passare a prendermi a scuola. 

In questo periodo dell'anno fa buio presto e nonostante viviamo in uno dei luoghi con il minor tasso di criminalità dell'America, non mi sento proprio a mio agio a rimanere da sola. 

Ma la sfortuna continua a perseguitarmi e scopro che a mia sorella hanno cambiato il turno del volontariato al canile e i miei genitori sono bloccati in ufficio fino a tardi per lavorare a una causa più complicata del previsto. 

Bene, mi toccherà andare a piedi. Cerco di recuperare un po' di coraggio e come d'abitudine, per tranquillizzarmi, decido di consultare le statistiche sulla criminalità nel Maine, ma questa strategia mi si ritorce contro. Sembrerebbe che ci sia stato un incremento di violenze, stupri e rapine dello 0,01% dall'ultima volta che ho controllato, il mese scorso. 

Ed ecco che sale il panico

Esco da scuola e non c'è nessuno nei paraggi, sembra che siano andati via tutti. 

Cominciano a passarmi per la mente miliardi di scenari catastrofici e non riesco a controllare il ritmo del mio respiro che ha deciso di andare veloce come quello di un maratoneta in dirittura d'arrivo. 

Mi sudano i palmi delle mani e quasi mi scivola lo smartphone. La vista mi si offusca e un fischio assordante mi stordisce le orecchie. Continuo a guardarmi intorno rimanendo immobile, non riesco a camminare. Devo prendere aria, devo respirare. Non ci riesco. Mi cade la borsa. 

Mi accascio a terra e tento di prendere aria dalla bocca ma sembra che non funzioni, ho un nodo gigantesco alla gola che impedisce all'aria di entrare. Sto morendo? Se così non fosse, è comunque qualcosa che ci si avvicina tremendamente. 

Sento il mio corpo abbandonarmi e spero tanto che uno di quei rapinatori/violentatori non mi trovi proprio in questo momento di massima vulnerabilità. 

Tutto ad un tratto mi sento afferrare con forza per le spalle e il panico triplica ulteriormente, i miei incubi si sono materializzati e qualcuno vuole farmi del male. Non riesco a reggere queste emozioni e mentre i tremori si impadroniscono del mio corpo, semplicemente mi spengo.

Uno strano rumore con un ritmo costante si intrufola nella mia coscienza ancora intorpidita.

Sembra il suono di una macchina in movimento ed è molto piacevole perché mi ricorda quando, da bambina, tornando a casa con i miei genitori da qualche serata a casa di amici, non riuscivo a rimanere sveglia durante il tragitto e finivo per crollare esausta nel sedile di dietro. 

Mio padre, una volta giunti a destinazione, mi prendeva in braccio con cautela per non svegliarmi e mi portava nella mia stanza per mettermi a letto, rimboccandomi le coperte.

Questo momento così dolce viene disturbato da un senso di disagio che non so spiegarmi, quasi dovessi ricordami qualcosa di veramente importante. 

All'improvviso mi rendo conto di non sapere dove sono. Panico. 

Mi sollevo di scatto, con la vista ancora annebbiata e caccio un urlo angosciante che farebbe risvegliare persino i morti.

"Cazzo, Catherine!" non faccio in tempo a riconoscere che la voce appartiene a Martin che la macchina sbanda e finiamo fuori strada andando a sbattere contro un albero. 

Sweet ChildDove le storie prendono vita. Scoprilo ora