Cap. 13

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Legno di castagno marrone scuro cosparso da chiare trame elicoidali e un pomello in ottone opaco.

Mi ritrovo davanti a una porta che conosco alla perfezione. L'avrò vista milioni di volte ma, anche se sembrerà strano, non è mai stata aperta per me. 

Continuo a fissarla immobile mentre inseguo il mio respiro fuori tempo. 

Cosa ci faccio qui?

Me lo chiedo ormai da qualche minuto, ferma sul vialetto di casa McCain. 

Ho il volto arrossato per via della corsa, i capelli che, a causa del vento, sembrano nidi di rondine e sulle labbra un bacio sbagliato. 

Cosa ci faccio qui?

Questa domanda mi tormenta. 

Cerco disperatamente di muovere le gambe congelate, anche se non credo lo siano a causa del freddo, per tornare a casa e abbandonare questo patetico tentativo di non so cosa, prima che qualcuno possa scoprirmi.  

Gambe, vi prego, collaborate. Non è affatto una buona idea. Le supplico interiormente.

Finalmente decidono di collaborare ma, proprio mentre sto per muovere i primi passi che mi porteranno lontano da una delusione assicurata, i miei sensi mi mettono in guardia.

Sono sempre stata una persona molto sensibile ai rumori, agli odori e alle immagini troppo luminose o caotiche. Probabilmente ciò è dovuto alla mancanza di stimoli percettivi che contraddistinguono le mie sessioni di auto-isolamento forzato. O forse è semplicemente una mia caratteristica innata, non lo so.

L'unica cosa che so è che, in questo momento, sento odore di bruciato. 

Mi guardo intorno, confusa, cercando di capire da dove possa provenire. Istintivamente, alzo il capo e mi rendo conto che da una finestra della casa di Martin fuoriesce del fumo grigio.

Ma che succede?

A questo punto, decido di bussare, mossa da un cattivo presagio. Cattivissimo.

Busso più volte, aumentando il ritmo e l'intensità dei colpi con la speranza di ottenere una risposta, ma tutto tace e l'aria si impregna ulteriormente di puzza e pulviscolo.

In preda all'urgenza, afferro il pomello opaco e lo ruoto verso destra. La porta, cigolando, finalmente si apre, introducendomi all'interno di un ingresso buio, maleodorante e impolverato. 

Ad un primo impatto, sembra che in questa casa non ci viva nessuno da diverso tempo, ma poi scorgo i libri di Martin, segno che la casa non è disabitata, su un tavolino basso ai piedi di un divano che ha visto tempi migliori. 

Dio. Martin vive davvero in questo posto?

“C'è qualcuno?” urlo con voce un po' tremante. 

Non ricevendo alcuna risposta, mi dirigo verso le scale della casa che portano al piano superiore. I gradini scricchiolano sotto i miei piedi e alcuni sono così appiccicosi che faccio fatica a sollevare i piedi. 

Nella parete alla mia destra, sfilano decine di cornici di diverse forme, contenenti delle fotografie di famiglia, i cui vetri sono quasi tutti rotti. 

Salendo le scale, la puzza di bruciato si fa sempre più forte e il fumo comincia ad annebbiarmi la vista e mi ostruisce le vie respiratorie. 

Arrivata al piano superiore mi ritrovo davanti una stanza con la porta chiusa, dalla cui fessura  fuoriesce il fumo.

Sollevo la sciarpa fin sopra il mio naso mentre con l'altra mano giro la maniglia e spalanco la porta, ritrovandomi davanti una scena agghiacciante, nonostante il calore emanato dal fuoco.

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