Cap. 17

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Ellen

Ricordo tutto dell'incidente.
Quattro semplici parole sono riuscite a riportare a galla sentimenti inabissati da tempo. 

È strano come i miei pensieri restino immobili, fissi, malgrado ci sia l'acqua, al centro di essi.
L'acqua scorre, porta via le impurità.

Ma nonostante mi lavi incessantemente, i detriti del mio passato continuano a pesare sul cuore. Sono sporca

Con la spugna, strofino, graffio, ripetutamente il mio petto. Sono sporca.

Le lacrime, sensi di colpa in forma liquida, scorrono copiose sulle mie gote, ma non lavano via i ricordi. Sono sporca.

“Mamma, è stata colpa mia.” Prendo un respiro tremante “Ho spinto io Catherine” sputo fuori l'amara verità, a malapena udibile per via dei singhiozzi che mi scuotono il petto. 

Siamo nella sala d'attesa dell'ospedale di questa piccola città del Mississipi, Vicksburg, terra natìa di mia madre, e un unico pensiero attraversa la mia mente: mia sorella sta morendo ed è tutta colpa mia. 

“Cosa hai detto?” Solleva il volto provato, che teneva racchiuso tra le mani, e mi rivolge uno sguardo confuso.

“L'ho spinta io. È colpa mia.” Ho solo sette anni e sul mio cuore grava già il crimine più atroce che un essere umano possa compiere. Se davvero esiste l'inferno, come nonna Daisy sostiene, lo vedrò presto. 

Ho ucciso mia sorella.

Veniamo interrotte da un medico che si schiarisce la voce per richiamare la nostra attenzione. So già cosa è venuto a dirci. Catherine è morta.

“Siete voi i genitori di Catherine Turner?” chiede, posando lo sguardo prima su mio padre, per poi spostarlo su mia madre.  

I miei genitori si alzano di scatto. Io, invece, rimango immobile.

“Sì, siamo noi” prende la parola mio padre, con un tono di voce che non riconosco. Mia madre gli afferra la mano, per dargli forza.

“Vostra figlia è andata in arresto cardiaco”, “il suo cuore ha smesso di battere per qualche secondo, ma fortunatamente i paramedici sono stati tempestivi e sono riusciti a rianimarla nell'ambulanza”, “purtroppo, però, abbiamo riscontrato un edema polmonare e...”

“Un edema polmonare?” domanda, tra le lacrime, mia madre, coprendosi la bocca con la mano.

“Sì, signora...una condizione in cui è presente del liquido nei polmoni. Stiamo facendo tutto il possibile per offrire a vostra figlia le migliori cure, al momento le stiamo somministrando ossigeno tramite la ventilazione assistita e diuretici, per facilitare l'eliminazione del liquido da parte dei reni. È giovane, pensiamo che si riprenderà del tutto.” Il medico sorride debolmente, un vano tentativo di rassicurarci.

Catherine è viva, ma per qualche istante l'ho uccisa. Ho ucciso mia sorella. 

Avvolgo le braccia intorno ai fianchi di mia madre, nascondendo i singhiozzi nel suo ventre morbido. 

Quando il dottore va via, mia madre si inginocchia e prende il mio volto colpevole tra le sue mani. “Dimentica quello che è successo. È stato un'incidente” dice, atona.

“Io...” provo a contraddirla, ma vengo interrotta. 

“È stato un'incidente. Sei solo una bambina. Hai capito?” La sua voce è carica di rabbia, sembra che voglia convincermi della mia innocenza, ma forse, chi ha bisogno di convincersene, è proprio lei.

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