Cap. 11

91 23 52
                                    

In questi giorni ho pensato molto alle parole biascicate da Ellen sotto l'effetto dell'alcool e più ci ripenso, più credo che non abbiano senso.

Ellen non mi ha mai fatto del male, anzi è la persona più buona che io conosca. Mi ha sempre protetto, in qualsiasi occasione, sin da bambine.

Probabilmente quelle parole erano il frutto di un incubo o qualcosa del genere.

Ricordo ancora quella volta in cui Mary, una nostra compagna di giochi, mi aveva deriso davanti a tutti i bambini dicendo che ero una "perdente" perché non volevo tuffarmi nella piscina di casa sua durante la festa per il suo decimo compleanno. Mia sorella, quella volta, si è arrabbiata così tanto che alla fine Mary ha dovuto chiedermi scusa e da quel momento Ellen ha detto alla mamma che con quella amica non voleva averci più niente a che fare.

Qualcosa però, mi spinge a riaprire un certo discorso che, in casa mia, si ha la tendenza a evitare.
In realtà, il termine evitare è un eufemismo. Nessuno ne parla, anzi, se non l'avessi vissuto sulla mia pelle, faticherei a credere che sia mai accaduto.
E anche se l'ho vissuto in prima persona, non lo ricordo nei dettagli. Magari ciò è legato al fatto che, quando è successo, ero piuttosto piccola di età, ma io credo che questa censura abbia indebolito il ricordo.

Parlare di qualcosa la rende reale. Le parole hanno un peso, come direbbe Wittgenstein.

È su questa scia di pensieri che decido di riaprire il vaso di Pandora.

"Mamma, me lo racconteresti il mio incidente?"

Le sue spalle si irrigidiscono e interrompe ciò che stava facendo. Ancora con il coltello in mano imbrattato di burro, con il quale stava spalmando i toast per la colazione, si gira verso di me.

"Tesoro, perché mi fai questa domanda?" mi chiede ansiosa, sgranando i suoi bellissimi occhi verdi.

"Non lo ricordo più" ammetto sincera.

"Non c'è nulla da ricordare. È stato solo un brutto spavento, ma per fortuna si è risolto per il meglio." Posa il coltello e avvicinandosi mi accarezza una guancia con il dorso della mano.

"Lo so, però sono curiosa di ricordare come siano andati i fatti" insisto.

Riprende ad imburrare i toast, questa volta con più energia.

"Catherine, ne avremo parlato un milione di volte" mi rimbecca, infastidita dalle mie domande.

"Non è così."

"Che c'è da raccontare? Sei caduta nella piscina dai nonni e sei affogata. Per fortuna ti abbiamo trovata in tempo, altrimenti..."

"altrimenti?"

"Lo sai."

Sarei morta.

"Ma come è successo? Non eravate con me?" cerco di ottenere qualche informazione in più.

"Ci siamo distratti solo per qualche minuto e tu avevi i braccioli..."

"Sono affogata nonostante indossassi i braccioli?" la interrompo.

"No, non li avevi quando ti abbiamo trovato" distoglie lo sguardo dal mio e mi passa il toast per la colazione.

"Ellen era con voi?" Trattengo il fiato.

"Senti, Cathy, non lo so dove era tua sorella. Basta fare queste domande." conclude senza darmi la possibilità di replicare.

Decido che è meglio non insistere, non mi va di farla innervosire di prima mattina, e torno a mangiare il mio toast burro e marmellata in silenzio.

Sweet ChildDove le storie prendono vita. Scoprilo ora