Chi l'avrebbe mai detto? Un convento! Una come me... solo quello poteva scegliere. Ovvio che sarebbe stato scontato, una dote non ce l'avevo. Qualunque cosa avessi provato a dire non sarebbe servita. Primo perché non aveva importanza ciò che volevo, secondo, non ci sarebbe stato bisogno di un matrimonio. Dio era quello che volevo. L'angelo di cui mi parlava mio padre mi era entrato nel cuore. Un cuore di pietra. Gelido e indistruttibile. Niente avrebbe fermato la mia volontà. La volontà di rendere omaggio a quella donna.
Certo era improbabile che la gente avrebbe letto le mie poesie. Una donna che scrive! Per carità! Una strega da ardere. Eh si. Neanche la figlia di Dante Alighieri, il sommo poeta, avrebbe fatto strada nel mondo della letteratura e della poesia. Per fortuna avevo un piano B. Il convento mi sembrava la scelta più adatta. Nonostante avessi un forte attaccamento a mio padre, decisi di rinchiudermi nella preghiera e nella meditazione. Suor Beatrice. Quello era il nome che scelsi per me. Mi sembrava il nome più consono. Un piccolo omaggio a mio padre che l'amava... forse non come amava mia madre. Ma platonico o no, era un amore che l'aveva distrutto. Mi ricordo di quando ero piccola. Seduta sulle sue ginocchia, toccandogli la faccia e abbracciandolo, sentivo di appartenere a lui, il mio papà, sempre assorto nella sua scrittura, ma sempre disponibile a concedersi 5 minuti per parlare con me. Lo guardavo con occhi pieni di ammirazione ed orgoglio. Lui raccontava. Io ascoltavo. Non capivo tutto ma era qualcosa che bruciava in lui e in me. E poi mi parlò di lei... Beatrice. Amore a prima vista o a primo udito. Lo fissai per un po' senza dire niente. I suoi occhi ormai stanchi e deboli mi trasmettevano tutta la dolcezza del mondo, grandi occhi color nocciola, non mi meraviglia il fatto che alla mamma piacessero tanto. Mi mancava... la mamma. Gemma Donati, nobile e rispettosa. Sempre premurosa e disponibile. Mi ricordo quando mio padre rimaneva a fissarla imbambolato. Cominciai a pensare che fosse lei la sua Beatrice. Dal canto suo, mia madre era contenta dei pochi momenti in cui mio padre staccava gli occhi dalla scrivania. Un sorriso che le faceva papà, poteva metterle allegria per tutta la giornata... o anche per tutta la settimana. Non avevo dubbi. Mio padre riuscì ad innamorarsi di lei senza il bisogno di una visione divina. Avrei voluto che le avesse dedicato qualche verso nella commedia. Ma niente. Forse non lo ispirava abbastanza. Ma l'amava. Sono sicura di questo.
" Che donna fortunata" dissi a papà, riferendomi a Beatrice. Lui mi guardò all'inizio sorpreso, ma intravidi delle lacrime nei suoi occhi. Un sorrisetto compiaciuto sporgeva dalle sue labbra. Era fiero, orgoglioso. Ne ero certa, mi voleva bene... forse anche più dei miei fratelli. Io ero la sua bambina. È vero, lui se ne andò presto... l'esilio lo attendeva. Lo volevo accanto a me come sempre. Era una mattina qualunque, mi svegliai... lui non c'era più. Lo piansi come se fosse stato morto. Mi mancava. I suoi abbracci, il suo profumo, i suoi occhi... tutto era meraviglioso con lui.
Mi mancava quando mi metteva sulle sue ginocchia e mi raccontava dell'inferno che al tempo, non mi faceva paura... era semplicemente una storia, frutto della fantasia di mio padre. Fui la prima a cui la raccontò. Mi sentivo onorata di questo. Quando la pubblicò, io già sapevo la storia. Tutto per filo e per segno. Lui mi raccontava tutto della commedia. Prima di dormire mi cantava una canzone... o meglio un sonetto che lui sonorizzava con la voce. "Avete in vo' il fior e la verdura" era il titolo. L'aveva fatto Cavalcanti. Non lo conobbi mai, ma per mio padre fu un mentore e un amico. L'invidia di quest'ultimo rovinò tutto. Il maestro che supera lo studente, questo successe. Ma mio padre non ne parlò mai male. Gli voleva bene nonostante tutto.
Mio padre aveva un sacco di difetti, era superbo, arrogante e rancoroso. Non mi sorprese che mise tutti i suoi nemici all'inferno. Ma una cosa che sapeva fare mio padre era persuadere e convincere la gente. Lui mi aveva convinto che Guido era una brava persona ed io gli credevo... era onesto. Come Beatrice. Mi avrebbe fatto piacere conoscerla.
Quando rividi mio padre ero già grande, all'inizio non mi riconobbe. Ma poi un lampo nei suoi occhi e mi corse incontro. Mi abbracciò così forte che sembrava che le mie ossa si stessero rompendo. Quanto mi erano mancati i suoi abbracci. Lui per essere conosciuto come il poeta freddo e diffidente, dava più calore di un fuoco eterno. Bastava entrare nel suo cuore. E io ci ero nata là dentro. Una radice che non si era mi seccata. Stava piangendo, le lacrime gli rigavano la faccia. Io gliele asciugai con la mano. Sorrise. Uno di quei sorrisi magnifici che faceva alla mamma. Si guardò attorno in attesa di vedere anche lei. La delusione nei suoi occhi era enorme. Gli spiegai perché non era venuta e lui sorrise leggermente " una leonessa la mia Gemma ". Mi accarezzò il naso con l'indice. Un difetto che avevo preso da lui era il naso. Non eccessivamente aquilino ma sicuramente con la gobba. L'unica differenza era la punta del naso all'insù. Il suo invece era un becco d'aquila. Nonostante ciò era un uomo affascinante. Media altezza, riccioli bruni, mascella pronunciata e due occhi grandi e meravigliosi. Io avevo i suoi occhi e la bellezza di mia madre. Ma il cervello.. tutto quello di mio padre. Me lo ripeteva sempre: " un genio, peccato non poterlo sfruttare". Mi infastidiva il fatto di non poter scrivere poesie. Cioè potevo ma nessuno avrebbe ascoltato. Preferivano Pietro e Iacopo. Loro erano i maschi. Loro potevano fare tutto. Gli volevo bene ma li invidiavo da morire.
Mi ritirai in convento a ventiquattro anni, ero ancora giovane ma era quello che volevo. Mi ricordo quando dissi a mio padre che nome avrei usato per diventare monaca. Scoppiò in lacrime, di nuovo. Sensibile l'Alighieri.
"Figlia mia sono così fiero di te... tutta suo padre" poi mi baciò e strizzando l'occhio disse " Continua a scrivere... mi raccomando ".
Mi incamminai per il cortile del convento. Mi voltai per un attimo. Mio padre era ancora lì. Sorrideva. Con il labiale disse: Ti voglio bene. Io mi misi una mano sul petto e risposi " anch'io ".
E mi ritrovai lì, in un posto dove la preghiera era l'unica fonte di distrazione e ragione di vita. Avevo solo una cosa con cui mi svagavo. La poesia. Seguii il dolce stil novo, seguii la letteratura classica. Un giorno mio padre venne a trovarmi. Mi porse un pacchetto o meglio pacco gigante. Non disse cos'era, mi sorrideva e basta. Più tardi in camera lo aprii. Piansi, piansi e piansi. L'Eneide. La sua copia personale dell'Eneide. Quella con cui dormiva tutte le notti. La sua fonte d'ispirazione, il suo mondo. La annusai, le pagine rovinate gli davano quel profumo di antico che faceva venir voglia di immergersi nel mondo classico. La lessi tutta di un fiato. Era incredibile come molte cose fossero simili alla commedia. Anzi diciamo che la commedia era molto simile a quella.
Continuai a scrivere le mie poesie. Le altre monache dicevano che erano belle quasi quanto quelle di Dante Alighieri. Io non ci credevo ovviamente. Niente era meglio mio padre. Per me lui era il migliore.
Un giorno mentre scrivevo un sonetto cercavo di aggiustare le ultime terzine che non rispettavano il numero di sillabe. Endecasillabi dovevano essere. Mi mordevo le unghie. Battevo freneticamente il piede per terra. Mi accarezzavo le trecce brune. Non tagliai mai i capelli. Mi concessero anche questo oltre a scrivere almeno due ore al giorno. Ero figlia dell'Alighieri. Potevo fare qualcosa in più. Arrivai ad un punto morto, non riuscivo a sistemare la terzina. Era irritante.
Mi alzai e mi diressi verso lo specchio. Mi guardai il viso, era pallido. Una bellezza sfiorita riempiva il mio volto. Nessun uomo mi aveva mai messo gli occhi addosso e preferii così. Non avevo bisogno di un uomo per trovare il mio posto. Guardai il crocifisso attraverso lo specchio. Sentivo gli occhi pesanti. All'improvviso la vista divenne offuscata. Mi girò la testa. Senso di vuoto. Una luce abbagliante mi pervase. Estasi? Caddi a terra "come corpo morto". Forse avevo ereditato qualcos'altro da mio padre. Il suo male.
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Questa non è una commedia. "Inferno"
Historical FictionUna volta scelta la vita monastica, Antonia Alighieri, la figlia di Dante, decide di dedicarsi alla poesia per continuare la tradizione dell'amato padre. Un giorno però, caduta in uno stato di trance, Antonia si ritrova nella selva oscura e incontra...