Mano a mano che ci addentravamo nella selva, sentivo bruciarmi dentro. Non era quella sensazione di paura o di terrore, bensì qualcosa di interiore. Tutto ciò che si riaffacciava nella mia testa era l'immagine dei corpi putrefatti di tutti quei bambini. Facevo finta di non provare nulla, solo per la soddisfazione di essere quella coraggiosa, quella che ha a mente la missione e nient'altro. Ma nel profondo morivo. Sparivo in una coltre di nebbia, nera come la pece. Essere quella che non ha paura di nulla, era sempre stato strano agli occhi degli altri, specialmente agli occhi delle mie compagne di gioco. Una volta, una bambina si spaccò il ginocchio. Ricordavo l'osso sporgente dalla ferita. Il sangue carminio sgorgava e le altre ragazzine urlavano e piangevano. Chiamavano la mamma. Sarò anche stata la piccola di papà, ma quando dovevo tirare fuori gli artigli, ero sempre la prima a farlo. Presi un panno trovato dagli stendi abiti delle vicine di casa, mi ricordo con quanta arroganza dissi alla bambina di smetterla di frignare, mentre le stringevo il panno attorno al ginocchio. Ricordo le mie mani sporche e gli occhi terrorizzati delle mie amiche. Erano pallide. Da quando mio padre era andato in esilio, non piangevo più, conservavo le lacrime per il giorno in cui l'avrei rivisto. Ero diventata di ghiaccio, mia madre si preoccupava spesso per il modo in cui rispondevo ai miei coetanei, lei diceva che fossi superba più di mio padre. Ero fiera di questo. Non volevo spendere la mia vita a fare da balia a cinque ragazzini e filare la lana, chiusa in casa, senza una vita. Io avevo il diritto di scegliere, anche se per la legge non era così.
Tutti questi pensieri mi impedirono di vedere come stessero veramente le cose. Al mondo le donne coraggiose fanno paura, perché sanno qual è il loro vero posto. Mettetemi al rogo, la carne bruciata che sentirete sarà la mia. E la puzza di bruciato sarà la macchia di inchiostro indelebile nel vostro cervello."Seconda bolgia!"
Mi svegliai dal mio coma interiore. La foresta dei suicidi si stagliava su di noi. Non ero più sicura delle mie certezze oramai. Mi voltai verso la mia guida con occhi curiosi.
"Suicidi?"
"Esatto...e scialacquatori."
"Io però stavolta ti crederò."
Virgilio fece un sorrisetto, ma era nervoso. Avanzò lentamente verso la selva, io gli tenni dietro.
L'intricata selva, si stendeva su di noi come per divorarci, gli alberi secchi e nodosi davano l'idea di corpi contorti dal dolore. Un'ombra passò su di me, era un'arpia. Una di loro mi guardava incuriosita mentre masticava una foglia secca. Notai lì vicino un rametto che perdeva sangue, lo raccolsi quando una voce mi parlò:
"Sei stata tu?"
Feci un balzo indietro. Guardai la pianta spaventata, non mi aspettavo che mi parlasse.
"Non oserei mai farti del male" dissi cercando di sembrare tranquilla. La pianta scricchiolò leggermente. Accadde tutto in un lampo, un ramo mi acciuffò per un polso stringendolo forte. Mi dimenavo cercando di liberarmi dalla presa, ma il ramo stringeva ancora di più. Un altro ramo mi strinse alla vita, un altro po' e sarei soffocata. Dov'era Virgilio?
Sentii una flebile voce dire: "Guarda dentro di te..."
All'improvviso un terzo ramo si fiondò verso di me, entrandomi direttamente in gola. Fu a quel punto che persi i sensi, sarei morta, me lo sentivo.Ero stesa a terra, il pavimento gelido mi fece venire la pelle d'oca. Ancora stordita cercai di orientarmi, tutto era sfocato. Non ero all'inferno, non per il momento...
C'era uno strano tepore, era molto piacevole e questo mi fece venire un'idea di dove fossi. Mi rialzai e guardandomi attorno vidi quel tavolo in legno un po' rovinato che mio padre usava per scrivere. Lo stesso tavolo che utilizzavamo per qualsiasi altra cosa. Ero a casa. Mi era mancata da morire! Il fornello era acceso, anche se non c'era nulla a cuocere. Le pareti avevano lo stesso colore grigiastro e cupo. Ma l'atmosfera familiare, mi pervadeva. Tutto ciò che sentivo era la nostalgia, la malinconia e l'amarezza di un ambiente perduto da tempo. Quella sensazione di conforto e sicurezza, non la provavo da tanto.
Sul tavolo non c'erano carte, né piatti né scodelle, nulla. Mi diressi al piano di sopra, il letto di mio padre e mia madre era ordinato, intatto. Provai a sedermi, accarezzai la coperta di lana. Non riuscivo pienamente a percepirne la morbidezza. Ero confusa. Provai ad annusare i cuscini, stranamente riuscivo a sentirne il profumo. L'odore di mia madre era inconfondibile: rose e cavolo bollito. Un mix strano per una Donati. Poi il profumo irresistibile di mio papà: pagine di vecchie enciclopedie e inchiostro, anche se riuscivo a sentire un odore di fiori sul suo cuscino, poi qualcosa che non riuscivo a riconoscere. Decisi di scendere quando sentii la porta di sotto sbattere.
"Non posso crederci che tu non voglia farlo!"
Una voce femminile ruppe il silenzio.
"Non farò mai una cosa del genere lo sai bene!"
L'altra voce la riconobbi subito, papà! Scesi i gradini e mi trovai mamma e papà, l'uno di fronte all'altro, che discutevano arrabbiati. Rimasi in penombra, non sapevo se fossero a conoscenza del mio ritorno, anche se erano anni che non vivevamo in quella casa. Un'altra visione?
"Devi solo dire due parole Dante! Quanto ti costa?!"
"Tutto Gemma! Tutto!" urlò lui indignato "Il mio onore, la mia dignità..."
"La tua famiglia Dante! Noi siamo tutto ciò che hai... non valiamo abbastanza per te?!"
"Non ho detto questo!"
"Ma l'hai pensato!"
"Non provarci Gemma! Non ho intenzione di accettare una cosa del genere."
"Ma se lo fai loro..." la voce di mia madre si incrinò, irruppe in un pianto disperato.
Mio padre rimase di sasso per un momento, ma poi abbracciò la mamma. La avvolgeva, accarezzandole i capelli.
"Gemma, per loro sono un criminale, ma non per i reati di cui mi hanno accusato. Sarei un bugiardo e un ipocrita se mi abbassassi a loro, capisci?" disse lui. Mia madre alzò il viso lievemente, ora i suoi occhi chiari fissavano quelli nocciola di mio padre. La sua tristezza mi fece sentire così fragile e impotente, detestavo vederla così. Le lacrime scesero nuovamente, le trattenevo con tutte le mie forze, ma le mie emozioni ebbero la meglio.
"Ora capisci?"
Mi girai di colpo, un uomo alto mi raggiunse.
"Chi siete?"
"Un certo Pier delle vigne"
"Perché voi? Perché mi avete portato qui? Cosa volete?"
"Una domanda alla volta..."
L'uomo tacque, mia madre riprese parola: "Dante, ti prego! Devi andare... ti manderanno in esilio se non ti presenti! Come faremo senza di te? I ragazzi come faranno?"
"Sei una Donati, Gemma! Non ti toccheranno! E poi verrete con me!"
"Ma dove? Cosa faremo?"
Mio padre guardò mia madre, aveva gli occhi lucidi. Abbassò il capo.
"Non lo so"
Lo sguardo deluso di mia madre lo sconcertò.
"Ma troveremo un modo...te lo prometto!"
"No" disse lei prendendo la mano di lui "Non puoi promettermi ciò che non sai."
I due si fissarono ancora per un po', poi mia madre disse: "Fai quello che ritieni giusto, marito mio." Ricominciò a piangere, stavolta in silenzio. Mio padre la portò a sé e la baciò, uno degli ultimi baci.
Si abbracciarono per molto tempo. Io ero lì, a fissarli con il cuore gonfio di dolore. Piansi, stavolta singhiozzando. Sentii la mano dell'uomo sulla mia spalla.
"Tempo fa, quando tuo padre venne da me, gli feci promettere di dire a Federico II che ero stato un notaio fedele e che non avevo fatto nulla per tradirlo. Ma a causa dell'esilio, tuo padre non poté mai mantenere la sua promessa."
Singhiozzavo ancora ma dovetti interrompermi per poter sentire la sua storia.
"Ora io sono qui per farti vedere la verità. Per aiutarti."
"P-perché mai? Non mi conosci"
"So perché sei scesa nell'Inferno, per cercare la verità. Ma prima tu devi trovare la tua. L'abbandono, la mancanza di affetto ti hanno privato di qualcosa...e ora che hai visto ciò che dovevi vedere finalmente capisci, qual è la verità che ti mancava..."
Non comprendevo appieno quale fosse quella verità. Forse che mio padre non era costretto ad abbandonarci? Forse che a lui interessasse solo il suo onore? Non sapevo darmi una risposta. Sapevo solo che mio padre, pur di non rinunciare alla sua reputazione, avrebbe rischiato il tutto e per tutto. Ero amareggiata dal solo pensiero, di essere stata sostituita da una penna e un foglio. Forse mio padre non mi amava quanto la scrittura.
"Gemma promettimi una cosa..."
Mio padre riprese la parola
"Non lasciare che nessuno, e dico nessuno, tocchi Antonia..."
Alzai lo sguardo, in stato di shock.
"Devi proteggerla Gemma, a tutti i costi. Possono portarmi via tutto, tranne lei. Appena possibile fa che lei venga da me, non posso perderla per nessun motivo. So che starà male, più di tutti gli altri anche se è la piccoletta più forte e indipendente del mondo. Il mondo non è ancora pronto per un miracolo come lei, tu sei l'unica Gemma che può proteggerla, io mi fido di te!"
"Fino alla morte Dante, lei non la sfioreranno..."
Mi precipitai verso di lui, gettandomi alle sue ginocchia. Ora ero veramente a pezzi, io avevo dubitato di lui. Mi amava con tutto sé stesso, e avrebbe fatto di tutto per proteggermi. Fino a quel punto avevo dato per scontato il ruolo di mia madre nella mia vita, e ora me ne pentivo. Lei, Gemma Donati, mi aveva permesso di rivedere mio padre. Mi difese con i denti, più forte di un leone, e io non me ne resi mai conto. Tutto ciò che speravo nella mia vita, era rivedere il mio papà. Mentre la mamma lottava ogni giorno per portare a casa un pezzo di pane. Mai un grazie, mai un abbraccio, io aspettavo lui. Speranzosa di mostrare la mia gioia il giorno del suo ritorno. Ma mia madre era la vera eroina! È vero, l'Alighieri le disse di proteggermi, ma lei lo avrebbe fatto in ogni caso.
Ancora china su me stessa, ai piedi dei miei genitori, balbettai parole incomprensibili.
"Mi dispiace, m-mi d-dispiace, mamma perdonami ti prego! Perdonami!"
Nessuna risposta
Una vocina mi fece rizzare i capelli. C'era una bambina bruna con le trecce scompigliate, appoggiata alla sedia di legno.
"Che succede?"
I miei la guardarono con tenerezza, mia madre si precipitò verso di lei, prendendola in braccio.
"Non è niente tesoro, torna a dormire..."
"Papà perché la mamma piange?"
"Perché è davvero felice di avere una piccolina come te..."
Ancora in ginocchio, guardai la bambina abbracciare mia madre.
"Quella..."
"Sei tu Antonia"
Pier delle vigne, si piegò su un solo ginocchio vicino a me. Con un lieve sorriso sulla bocca, guardava la famigliola allontanarsi. Io, ancora sconvolta, rimasi a fissare la piccola me. Oh piccola Antonia, non sai che domani tuo papà non ci sarà.
"Affrontare il tuo orgoglio Antonia, era il vero obbiettivo. Non ci eri mai riuscita fino ad ora, l'orgoglio ti impediva di essere come tutti gli altri, di provare emozioni e passioni. Non hai mai imparato ad amarti e di conseguenza non hai mai imparato ad amare gli altri. D'altronde, come potrai mai amare il tuo prossimo se non ami te stessa?"
Aveva ragione, io non mi amavo. Non ero mai riuscita a farlo. Per me non aveva importanza cosa fossi io, l'importante era far capire al mondo quanto Dante Alighieri fosse straordinario.
"Il non riuscire ad amarmi mi ha portato al suicidio, non fare il mio errore e rimedia finché sei in tempo..."
In tempo? Per cosa?
"Allora Antonia hai capito la verità?"
"La verità è che...non so molte cose"Il ramo in gola scivolò via, come gli altri che mi bloccavano. Sull'orlo di una crisi di nervi, provai a riprendere fiato, respirando con la lingua di fuori. Il senso di vomito mi faceva ammattire. A carponi, tastando il terreno, cercavo di appigliarmi a qualcosa, una salvezza. Alzai la testa e mi trovai Virgilio a testa in giù. Un ramo lo teneva avvinghiato.
Con la poca voce che mi era rimasta dissi: "Mettetelo giù..."
Detto fatto, Virgilio cadde come una pera cotta.
"Tutto bene? Sei ferita?"
Io che non sapevo se ucciderlo o meno, mi limitai a scuotere la testa. Il poeta si diresse verso la pianta infuriato.
"Perché l'avete fatto delle Vigne?"
La pianta non rispose. Virgilio fece per staccare un ramo ma io lo fermai.
"Non ha importanza" dissi dopo aver riacquistato le forze.
Mi incamminai silenziosa nella selva, stavolta Virgilio mi veniva dietro. Ancora dubbioso sulla mia sanità mentale, cominciò a farmi domande. Io mi limitavo ad annuire, tenendo lo sguardo basso.
"Ora però stai ferma"
Lo guardai perplessa
"Lo senti?"
Sentivo i latrati di un cane, di sicuro non poteva essere Cerbero. Ed ecco arrivare due cagne rabbiose. Scheletriche e malridotte, inseguivano due dannati nudi. Una delle due cagne si bloccò per un attimo, mi fissò con due occhi neri. Rimasi immobile. Appena l'animale riprese a correre, tirai un sospiro di sollievo.
"Si può sapere cosa ti è successo?" chiese Virgilio ancora perplesso.
"La cosa strana è che non lo so"

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Questa non è una commedia. "Inferno"
Historical FictionUna volta scelta la vita monastica, Antonia Alighieri, la figlia di Dante, decide di dedicarsi alla poesia per continuare la tradizione dell'amato padre. Un giorno però, caduta in uno stato di trance, Antonia si ritrova nella selva oscura e incontra...