Peter

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WENN

Stavo perdendo ogni speranza di ritornare nel mondo dei vivi e più rimanevo qui, più mi sentivo attratta da tutta un’altra cosa inspiegabile. Me lo ricordavo bene il passaggio dal mio mondo a questo e fortunatamente non mi avvicinai troppo a quella luce che era tutto ciò che desideravo; quella luce mi voleva, ma io non volevo lei, non ero ancora pronta a lasciare tutto e tutti. Non era così che doveva finire la mia storia: con dei punti in sospeso.

Nella realtà avevo tutto in sospeso.

La mia famiglia veniva a farmi visita molto meno rispetto al primo mese e mezzo, mentre vedevo sempre di più i ragazzi. Quando c’erano loro, il bianco che era attorno a me sembrava più colorito, aveva delle sfumature e questo mi rendeva meno sola.
Harry parlò con la mia famiglia che gli sembrò indifferenti alla storia, mentre Harry provava solo rabbia per la nostra prima separazione.

“Ci hanno separato e poi non dicono nulla su tutto ciò? Come minimo mi sarei aspettato… che ne so, un pungo?!” mi disse, dimenticandosi che i miei genitori non sospettavano nulla sulla mia vita privata negli anni precedenti, forse non si ricordavano nemmeno di Harry. Nelle loro teste non c’era spazio per me, figurati nelle loro vite.

Harry ogni giorno mi raccontava cosa succedeva, mentre io lo tormentavo con la stessa domanda. Odiavo la decisione di prendere una pausa per il gruppo, non ne trovavo il senso e gli chiedo il perché.

“Wenn, per me è difficile fingere nelle condizioni in cui siamo.”
“Harry, sono. Tu no! Devi vivere, non devi distruggerti in un depresso perché sono in coma. Vivi anche per me, per favore.”
Ma le mie parole non sostennero Harry, anzi lo fecero arrabbiare di più; così litigammo, forse come non avevamo mai fatto. Non lo vedevo né sentivo dalla nostra discussione e questo posto stava sempre più diventando freddo, mi sentivo pronta a passare oltre, stanca di rimanere sola.
Harry non affrontava la realtà e di certo non potevo farlo io per lui. Era difficile, un sacco, ma nulla riusciva a farmi tornare e io volevo, cazzo se lo volevo.

Ogni giorno non sapevo quale fosse: poteva essere qualsiasi mese, succedere qualsiasi catastrofe, ma tanto qui non cambiava nulla. Solo una volta ci fu qualcosa di diverso: giocai e parlai con un bambino di circa quattro anni. Era biondo scuro, con dei boccoli sulle punte dei capelli, gli occhi erano verdi e aveva il sorriso di suo padre. Appena lo vidi, mi portai la mano sulla bocca pensando fosse un miracolo, ma poi un’immensa tristezza, paura e tensione avvolsero il mio corpo.

Se fosse lui, Harry si sbagliava?
Se fosse lui, sono passati così tanti anni dall’incidente ed io sono ancora in coma?
Harry si è fatto finalmente una vita?

Il bambino mi abbracciò.
“No, Harry ti ha detto la verità; non è passato nemmeno mezzo anno dall’incidente e Harry non riesce a farsi una vita. Preferisce stare a casa oppure con i suoi amici.”

Sciolsi l’abbraccio sconvolta. Chi cavolo era?
“Mi leggi nella mente?”
“Solo nella tua o quella di Harry, finché venne qua.”
“Perché solo noi?”
“Devo rispondere?” mi sorrise e spuntò una fossetta sulla sua guancia sinistra, istintivamente gli diedi un puffetto e mi chinai per baciarli la fronte.

“Come ti avremmo chiamato?” lui mi guardò offeso incrociando le braccia al petto e chinando il capo.

“Se fossi stata una femmina, Harry ti avrebbe chiamato Darcy. Ma dal momento che sei un maschio, penso proprio che ti chiami Peter Harold Styles, vero?” Il bimbo scattò mettendo le braccia attorno al collo e lo strinsi a me.

“Certo, mamma.”

Avevo troppe domande, ma spesi il tempo a giocare, raccontargli storie e a fargli il solletico. Lo soffre nello stesso punto dove lo soffro io.

“Peter, posso farti altre domande?”
“Da quando mi hai visto che me le vuoi chiedere.”
“Perché sei così grande e perché sei qui?”
“Il perché sono grande non lo so; sono qui perché non sono ancora morto. Nel momento in cui ti sveglierai…”

Ti prego, non lasciarmi. Non te ne andare…

Peter non continuò la frase sovrastata dalla potente voce di Harry.
“E’ papà” esclamò ed io annuii semplicemente. “Sembra molto triste.”
“Lo è, piccolo e penso che tu sappia il perché!”

Wenn, per favore… ho bisogno di te.
Ti amo, Wendy e non puoi andartene e lasciarmi solo come prima, non adesso.

“Perché non torni?”
“Perché non riesco, Peter.”

Non lasciarmi.

Sentii un tocco, il suo tocco sulle mie braccia. Peter si alzò dal momento in cui sentii la presenza di Harry, anche se non c’era.

“Mamma, vorrei dirti cosa c’è scritto nel vostro destino, ma non posso. Mami adesso vai da papà!”

I miei polmoni si aprirono come se fossi stata troppo a lungo in un piccolo posto chiuso e gli occhi facevano fatica a rimanere aperti a causa della forte luce che mi circondava. Peter mi teneva la mano in questo percorso. Avevo brividi, perché avevo la sensazione che non stavo andando dove volevo, dove il mio cuore era indirizzato, ma dalla parte opposta.
La luce aumentava ad ogni passo e gli occhi erano completamente chiusi e mi scese una lacrima. Era così che finiva? Così che sarei morta?
Come la vita, anche la mia morte era pessima. Non mi aspettavo di morire da eroina, ma nemmeno così; avrei voluto morire di vecchiaia, avere dei figli, dei nipoti, be’ prima di tutto un marito, ma…
Quando non sentii più la forte luce bruciarmi gli occhi, riuscii ad aprirli vedendo leggermente sfocato, sentendo dei continui biip e avendo un ragazzo che teneva la mia mano, appoggiato con la fronte sul mio braccio. Cercai di muovermi, ma ogni muscolo era indolenzito.

“Wenn!” il ragazzo mi guardò emozionato, ma mi si formò un cipiglio e successivamente anche a lui.
Volevo parlare, ma facevo fatica a fare anche quello.
“Ti sei… oddio, Wenn sei sveglia! Non muoverti, chiamo il dottore.” Cercai di annuire, ma in realtà non seppi cosa facevo.
Mi pareva più che ovvio che non mi sarei mossa. Dove potevo andare con i fili attorno a me e i muscoli che non volevano stare sotto il mio controllo? Cercai di ricordare il motivo del perché mi trovai in ospedale , ma l’ultimo ricordo che avevo era di Liam e Zayn che facevano gli equilibristi su un tronco e poi di un bambino mai visto. Quel ragazzo che conosceva il mio nome non mi era familiare e la sua di nuovo presenza nella stanza mi preoccupava.

“Buon giorno signorina Maier, come sta?” aprii la bocca, ma uscii uno stridulo, che me la fece subito chiudere. “Okay: fatica a parlare. I muscoli?” cercai di fare una smorfia per far capire che anche quelli erano a K.O come la voce.
Il cuore mi martellava nel petto, non riuscivo a fare nulla.

“Signorina sa dov’è?” annuii “Sa il perché?” negai.

Il dottore guardò il ragazzo che fece un passo verso il mio letto. I suoi occhi verdi erano lucidi, sembrava che dovesse piangere da un momento all’altro.

“Wenn, sai chi sono?”
Negai anche alla sua domanda, avrei voluto dirgli di sì, perché i suoi occhi erano troppo addolorati, mentre io provavo compassione.
Il ragazzo prese un respiro e fece uscire tutto, portando le mani fra i capelli troppo lunghi e tirò le punte.

“Okay.” Nessun sentimento.
Stava per ucire e la mia compassione aumentò. “Okay, Wenn, Okay.”

Mi fece un sorriso amaro e bloccò la lacrima che stava per scendere.

“Mi dispiace… non restio. Dottore io, io vado. Me ne vado.” Disse sulla soglia.
Quando uscì, il mio sguardo rimase fisso sulla porta.
Chi era il ragazzo dagli occhi verdi?

Never Forget Who You Are (seguito: dietro ad ogni sogno)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora