8. Smetti di sorridere

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Se potessi avere il potere di far scomparire le persone a mia scelta, mio fratello sarebbe sicuramente al primo posto. E dico sul serio.
Dovrebbe sparire quando dico io.
Non quando gli pare.

Al momento sta cercando di sfondare la porta del bagno mentre io mi faccio la doccia. A suo dire, ha trovato un lavoro, e farà tardi se non si sbriga.
Il suo cervello ha fatto tardi.
Anzi, non è mai arrivato.
«Se non la smetti ti affogo!» urlo sovrastando il rumore dell'acqua. Lo sento battere un'ultimo pugno sulla porta per poi arrendersi.
Io intanto, continuo la mia rilassante doccia per i successivi dieci minuti.
Va bene, lo ammetto, ho fatto tardi apposta.
Sono malefica.

Esco dal bagno con l'accappatoio bianco addosso, e mi guardo attorno, in cerca del mio consanguineo, finalmente scomparso.
Mi stringo nelle spalle e raggiungo la mia camera, iniziando a vestirmi.
Dieci minuti prima del previsto sono già pronta, quindi entro in salotto, munita di un buonumore insolito. Sorrido a Grace, intenta a ripassare per il suo esame di analisi matematica di oggi, e mi verso un po' di caffè.
«Edoardo si è arreso ed è andato dalla vicina a fare la doccia?» chiedo con una risatina, contenta di averla avuta vinta per una volta. Sorseggio il liquido caldo e sistemo un paio di biscotti su un piattino.
Grace alza lo sguardo su di me, aggrottando le sopracciglia confusa.
«È uscito» mi comunica addentando un biscotto ai cinque cereali, «E mi ha detto di dirti che prendeva in prestito la tua macchina».

Il caffè finisce sugli appunti di Grace, io comincio a tossire come un'assatanata mentre lei inarca le sopracciglia.
«Mio fratello cosa?» urlo cercando di riprendere fiato. I miei polmoni stanno collassando.
«Non gli avevi dato il permesso?» mi chiede con voce sottile.
«Io? A Edoardo?» la mia isteria sta raggiungendo livelli intoccabili per essere prima mattina. Sto per avere un'infarto, me lo sento.
«Ti toccherà prendere i mezzi pubblici» mi risponde Grace, passandomi un bicchiere d'acqua. Io bevo per qualche breve istante, prima che i miei occhi finiscano casualmente sull'orologio appeso in cucina.
«E sono in tremendo ritardo per i ritmi di Roma» piagnucolo afferrando la mia borsa. Saluto Grace con un bacio sulla guancia e mi affretto a scendere le scale del mio condominio. Per strada schivo la marea di turisti che affollano via Merulana e mi dirigo verso la metro di Vittorio Emanuele. Tiro fuori il mio cellulare, avviando una chiamata con Edoardo mentre cammino sotto i portici della piazza alla velocità massima che si può raggiungere senza sembrare una liceale in crisi.
Ovviamente, il mio adorato fratello non risponde.

«Edoardo» strillo alla segreteria telefonica imboccando le scale della metropolitana. Mi sta venendo il fiatone, oltre che un'infarto.
«Giuro che appena avrai la sfortuna di vedere la mia faccia di nuovo sarai sottoterra dopo tre minuti» ringhio fermandomi davanti alle macchinette per i biglietti. «Ti detesto» sbotto prima di porre fine al mio sproloquio. Infilo qualche moneta nella macchinetta dei biglietti e poi recupero i foglietti di carta.
Supero una coppia di uomini e passo per il varco correndo, prima di prendere le scale mobili e cominciare a scenderle nel modo più scoordinato possibile.
Una volta salita in un vagone strapieno di persone decido di dedicarmi a quella che da stamattina è la mia occupazione preferita. Infastidire Edoardo.
«Sappi che finirai senza capelli, come un malato terminale» borbotto alla gentilissima segreteria telefonica di mio fratello.«Ti farò sbranare da Mops, da Giulia e dalla mamma», la signora seduta davanti a me mi lancia un'occhiataccia, schioccando la lingua sul palato.
Boh. Ma che vuoi?
Fatti i fatti tuoi, che intanto sei seduta.

«Augurati di fare un'incidente e rimanerci secco, perché quando mi vedrai sarà peggio», chiudo la chiamata con un gesto scocciato e lancio un'occhiata alla tabella delle fermate. Qualche minuto dopo, io e l'America intera in trasferta scendiamo dal vagone alla fermata Barberini.  Mi faccio strada tra i turisti e salgo le scale alla velocità di flash.
Quando esco dalla metro, ovviamente, via del Tritone non è mai stata così affollata. Sto cominciando a sudare.
È settembre, fa caldo e la mia pazienza inesistente sta per scoppiare.
Devo trasferirmi ad Ostia.

Percorro via del Tritone per dieci infiniti minuti. Quando arrivo a Fontana di Trevi mi rilasso, scorgendo la vetrina della mia pasticceria tra le innumerevoli teste delle persone. Entro come un fulmine, salutando la cassiera con un cenno frettoloso. Quando raggiungo il laboratorio gli occhi degli altri dipendenti si posano su di me immediatamente, ghiacciandomi. E di Adrien non c'è traccia. Lo hanno ucciso?

«Abbiamo un'enorme problema» squittisce Giovanna stringendo tra le mani un foglietto di carta.
«C-che c'è?» balbetto avvicinandomi. Io non sono brava a risolvere problemi
Sono brava a crearli più che altro.
Prima che Giovanna possa aprire bocca, alle mie spalle la porta si apre, e Adrien entra trafelato con la divisa mezza sbottonata e il fiato corto.
«Che succede?» chiede stranito da tanto silenzio.
«Abbiamo un grande problema» annuncia Tommaso, che intanto si sta mordendo le unghie morbosamente. Adrien mi affianca, abbottonandosi la divisa con un sopracciglio alzato.
«I fornitori di frutta hanno avuto un problema con la consegna di stamattina» spiega Chiara, torcendosi le mani. «Abbiamo bisogno di qualcuno che vada a prendere l'ordine di oggi a Val Melaina, o non possiamo fare le crostate di frutta» conclude arricciando le labbra.
«A Val Melaina?» le chiedo passandomi una mano sul viso. «Potrei andarla a prendere io se avessi la macchina» sospiro sotto gli occhi di tutti.
«Io ho la moto parcheggiata qui vicino, posso andare io» replica Adrien stringendo nelle spalle.
«Tu non conosci i fornitori, faresti solo casino» replica Tommaso piccato, scoccandogli un'occhiataccia.
«Scusa, non credo di aver-» comincia il mio collega stringendo i pugni.
«Dammi la moto e ci vado io» lo interrompo evitando un'inutile discussione tra lui e Tommaso. Solo i maschi possono pensare all'orgoglio in momenti del genere.

«È la mia moto» sbotta lui, incrociando le braccia al petto con l'aria di un bambino imbronciato.
«Sono i miei fornitori» ringhio voltandomi verso di lui. «Ho fatto io l'ordine e c'è la mia firma sulla fattura della pasticceria»
«Allora vieni con me» replica stringendosi nelle spalle.
Vorrei tanto sbattergli in testa una cassa di frutta in questo momento.
«Non se ne parla»
«Ti fai nove chilometri a piedi quindi, e ci vediamo al mercato» ammicca, fastidiosamente arrogante, con il suo volto ad un palmo dal mio.
«Sei odioso» soffio assottigliando gli occhi.
«Se vi muoveste magari eviteremmo di essere licenziati tutti» la voce di Chiara mi riporta alla realtà, costringendomi a voltarmi verso di lei.
«Va bene, voi iniziate a fare la frolla» sbotto liberandomi della mia divisa.
Esco dalla stanza recuperando la mia borsa sotto lo sguardo beffardo di Adrien.
Usciamo dalla pasticceria in silenzio, quindi mi limito a seguirlo tra le stradine adiacenti a Fontana di Trevi.

Sette minuti dopo il biondo sta cercando di porre fine alle nostre misere vite in via Salaria, ignorando di essere a Roma e non a Parigi. Mi stringo a lui, completamente terrorizzata e sull'orlo di una crisi isterica.
«Ma come cazzo guidate a Parigi?» urlo nel panico, mentre lui evita la collisione con un'auto. La sua risata mi risuona nelle orecchie mentre ignora un semaforo e sfreccia tra le automobili come se nulla fosse.
«Smetti di cercare di uccidermi!» grido ancora, strillando ancora più forte poi, quando lui schiva un ciclista in contromano.
Questo qui ha un problema.

«Siete dei pazzi! Pazzi!» continuo tenendomi stretta a lui. Non stacco le mani dal suo torace finché non accosta davanti al mercato di Val Melaina. Si toglie il casco con un gesto fluido e scuote la chioma bionda.
«È stato divertente, non?» ride aiutandomi a scendere.
Se non la smette di sorridermi rischio di svenire.
E non è una cosa buona.

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