37. Ops

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Il silenzio, adesso, è l'unica cosa che percepisco, assieme al respiro quasi affannoso di Adrien.
Rimango ferma, a guardare decine e decine di giornali e riviste.
Okay, io non so più cosa dire.
Dovrei arrabbiarmi perché fa pure il modello? Dovrei arrabbiarmi per cosa?
Non oso nemmeno incontrare i suoi occhi, perché non so cosa pensare.

«Dimmi qualcosa» mi incita lui, senza fiato.
Io però, rimango in silenzio. I miei occhi saettano sulla carta, sgranati. Il mio cuore batte così forte che mi confonde, e mi sembra di aver perso l'uso della parola.
Ho paura, una paura fottuta di fraintendere. E non ho idea di cosa dire.
È una matriosca di sorprese, e talvolta mi sembra di non conoscerlo affatto. Non so come faccia, ma tutte le volte rimango sempre più a bocca aperta.
«Amanda?»
«Cosa?»
«Esterneresti i tuoi pensieri? No, perché mi sto cagando sotto».
La sua affermazione mi fa sfuggire un sorriso che arriccia le mie labbra, mentre evito il suo sguardo.
«Posso chiederti una cosa?»  mormoro, senza il coraggio di alzare gli occhi.
«Dimmi»
«Stai per dirmi che sei anche una rockstar coreana oppure ti tieni la sorpresa per il gran finale?». Il mio tono ironico dona una certa incredulità alla situazione, e Adrien si lascia sfuggire un'altro mezzo sorriso.
«Questa era l'ultima. Avrei voluto dirtelo...con calma, ma Matteo deve stare sempre tra i coglioni» commenta con un pizzico di amarezza nella voce. Io sfioro una copertina di un titolo francese, allibita.
«Vorrei avere le forze di arrabbiarmi, ma mi stai privando di ogni energia con tutti 'sti casini», osservo. Nelle ultime 24 ore sono successe più cose che in due mesi di vita normale.
«Vorrei poter dire che non è colpa mia», aggiunge grattandosi la tempia, «Ma è una stronzata talmente grossa che non ci credo manco io» almeno l'ha capito da solo.
«Sono contenta tu lo riconosca da solo» replico con voce di ghiaccio.
«Amà, per favore, prova a metterti nei miei panni. Che avrei dovuto dirti? È una cosa talmente ridicola che fa ridere i polli» allarga le braccia in un gesto disperato, cercando i miei occhi.
«Avresti dovuto dirmelo e basta! A me sono arrivate delle tue foto con una fottuta modella in intimo!» mi volto verso di lui, irata. Se crede, anzi, se ha creduto anche solo per un'istante che la questione si sarebbe liquidata come qualcosa di poca importanza allora ha capito male.
«Ma che cazzo avrei dovuto dirti? Ehi, vado a spogliarmi a Parigi per delle foto e torno, butta la pasta che arrivo» la sua espressione mi farebbe scoppiare a ridere in qualunque altro momento, quando adesso invece, mi fa incazzare ancora di più.
«Sì, cazzo! Non puoi fondare una relazione su delle bugie! E per la cronaca, non è che se sono donna allora butto la pasta!» lo spintono all'indietro, mentre lui tenta di collegare le mie argomentazioni con una smorfia alquanto buffa.
«Ma ora cosa c'entra? Perché devi ficcarci di mezzo il femminismo? E non sono bugie! Ho detto che andavo a Parigi, non ho mai mentito su cosa andavo a fare!»
«Ah beh, allora omettere che fai il modello oltre al pasticcere e lo spogliarellista era la soluzione migliore, vero?!»
«Va bene, allora la prossima volta vieni con me? Cazzo, ti rendi conto che le persone normali non hanno sul curriculum "modello di intimo a sedici anni"?!»
«E questa di sembra una buona ragione per non dirmi una cosa così importante?»
«Sì!» sbraita lui, sgranando gli occhi.
«Beh, non lo è!»
«Aspetta che chiamo Ritorno al futuro per correggermi allora» replica ironico, fingendo di avvicinare un telefono all'orecchio.
«Non provare a farmi ridere! Sono arrabbiata!» batto i piedi a terra come la peggiore delle bambine e mi imbroncio, incrociando le braccia al petto.
«Scusami tanto, torniamo al discorso» ribatte sarcastico, incrociando le braccia al petto a sua volta.
«Sì...dov'ero rimasta?»
«Alla lista di buone ragioni per mentirti. E ribadisco che non ti ho mentito»
«Ma mi hai nascosto una cosa! Io ho patito l'inferno qui, e tu ti vai a divertire con una modella!»
«Oh, sei proprio...come cazzo si dice?! Têtu, ecco!»
«E cioè?» ringhio io, in piedi dall'altra parte del letto.
«Non mi viene in italiano. Aspetta» recupera il cellulare dalla tasca dei pantaloni e digita qualcosa con gesti rabbiosi, finché io non riconosco la pagina di Google Traduttore.

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