47. Odiami

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Adrien

Perché io la vedevo come lei vedeva me, la desideravo come lei desiderava me, ma di mezzo avevamo tutto quello che ci aveva unito.

«Lasciala!»
«Ma che cazzo dici?». Stringo la giacca di Xanvier fino a farmi diventare le dita bianche, incastrato contro il muro. Il suo ufficio non mi è mai sembrato così stretto.
«Dico che manderai tutto a puttane», digrigna i denti con lo sguardo più supplichevole che mi abbia mai rivolto. E vorrei poter obbedire e tirare a dritto come prima, sorpassare le mie emozioni e ignorarle, ma non ce la faccio più.  Non esiste più la parte razionale di me. Non posso più scegliere quando si tratta di Amanda. E devo, invece.
«Non posso», strattono il tessuto fino a sentire le nocche bruciare e le dita intorpidite, resistendo alla tentazione di mandare tutto a rotoli per davvero e scappare via.
«Devi, cazzo, devi! Non puoi mollare adesso, chiaro? Hai due giorni» sbotta Xanvier, divincolandosi dalla mia presa.
«Io non posso! Non posso e basta!» grido disperato, affondando le mani tra i miei capelli.
«La stai mettendo in pericolo. Se la ami, non puoi permetterti errori».

***

«Adrien, mi dispiace, davvero»
«Taci» è il mio ringhio soffocato. Stringo i pugni nelle tasche e premo la tempia contro il muro ruvido, nascosto dai turisti allo sguardo di Jacques e Amanda. Non posso credere di averlo fatto davvero. Mi faccio schifo.
«Dovremmo andarcene» mi ricorda Xanvier, posandomi una mano sulla spalla. Io la muovo di scatto, come scottato, e ignoro la mia pelle in fiamme e il cuore in briciole. Ho gli occhi puntati su Amanda, abbracciata a Jacques come se fosse la sua ultima salvezza.
E mi brucia, mi brucia dentro come fuoco, mi fa male, più di quanto vorrei ammettere. Dovrei esserci io a sostenerla, e invece mi nascondo. Dovrei amarla e basta, quando continuo a farla soffrire. E vorrei essermi fermato al Colosseo, aver ordinato una pizza d'asporto e non essere andato al supermercato per salvaguardarmi da lei. Vorrei aver scelto un'altra pasticceria, vorrei essere rimasto a Parigi e fuori da questo casino.
Odiami, è quello che avrei voluto dirle, odiami finché ne sei in grado, perché io ti amo troppo. Odiami tu, che io non ce la faccio. Allontanami e detestami, spingimi via e dimmi che non vuoi più vedermi, scappa da me e relegami nel vuoto. Per favore, abbi pietà. Lasciami libero, perché da quanto ti conosco sono incatenato a te. Ti prego, odiami. Odiami almeno tanto quanto io ti amo.
Mi fa così male vederla distrutta, che vorrei essere in grado di soffrire per lei. Non credevo di poterlo fare davvero, e invece ce l'ho fatta. E giuro che avrei preferito fallire e portarla all'inferno con me.
Forse, è meglio che ci sia Jacques con lei. Forse, è meglio che io mi tenga per me i miei casini e smetta di sperare che mi perdonerà. Forse, sarebbe meglio se non ci fossimo mai conosciuti e di sicuro sarebbe stato più facile non innamorarmi di lei.
«Andiamo» soffio in direzione di Xanvier, voltando le spalle per sempre ai miei errori. So già che non mi perdonerò mai di averla lasciata sola a soffrire per me, eppure ho bisogno di scappare, di evadere da quest'incubo.
Mi fai male, Amanda. Così male che vorrei non amarti affatto.

***

«Sei ridicolo», la sua voce bassa raschia il silenzio come il suono di una forchetta contro una lavagna.
«Ma senti chi parla» replico con la gola riarsa. Lui è davanti a me, che mi guarda spietato e con gli occhi iniettati di sangue. Mi fanno male i polsi, le caviglie, le spalle. Le corde che mi legano non ne vogliono sapere di allentarsi, e ormai i miei occhi si sono abituati alla luce bianca puntata nelle mie pupille da giorni.
«Questo atteggiamento non ti porterà da nessuna parte, francesino del cazzo. Al massimo, nella tomba» esordisce lugubre, sedendosi a cavalcioni su una sedia davanti a me.
«Proprio un peccato» commento sarcastico tra i denti, mentre lui si accende una sigaretta. Nella tomba, ci sono già probabilmente. La situazione non è delle migliori, io stesso non sono nelle migliori condizioni, ma del resto non mi interessa più granché. Forse me lo merito, dopotutto. Ho mentito, ho fatto soffrire e ho tradito così tante volte che ne ho perso il conto. E tutto solo perché la giustizia ha un costo più caro di tutto il resto. Non ce la faccio a disperarmi e sottomettermi, quando già so che cambierà tutto. Quando già so di aver perso Amanda, e che peggio di così non può andare.
«Smetti di fare il fenomeno e parliamo d'affari. Tu mi sembri proprio adatto a contrattare» si lascia sfuggire una risata divertita e giocherella con un coltello dalla lama lucida.
«Slegarmi sarebbe un buon inizio di conversazione» ringhio con astio, strattonando le corde che mi tengono fermo contro una sedia.
«Oh, oh» ride lui, soffiandomi il fumo in faccia. «Il ragazzino morde. Dimmi, tu lo sai dov'è Alexis?»
«Stavo per chiederti la stessa cosa» ribatto assottigliando gli occhi.
«Abbiamo intessi in comune, allora». L'uomo mi fa scivolare la lama dalla guancia alla giugulare, premendo piano sulla pelle. «Tuo fratello è scomparso, e mi ha lasciato nella merda. Il carico passa a te ora, visto che ti sei divertito a uscire e entrare dalle fila. Voglio i miei soldi, e li voglio da te»
«Ti sembro un fottuto pusher?», schiocco la lingua sul palato, ignorando il dolore. Lui lascia un taglio lungo tutta la mascella prima di scrollare le spalle e farmi cadere la cenere sul ginocchio.
«Stai a sgravà, figlio di puttana. Ce li hai centomila euro?»
«Toglimi le mani di dosso» ringhio acido, contraendo la mascella fino a sentire i denti scricchiolare.
«Li hai o no?» mi chiede ancora, premendo la punta del coltello appena sotto l'occhio sinistro.
«No» soffio irato. Lui sorride, scoprendo i denti marci, e finalmente mi leva la lama di dosso.
«Allora faremo uno scambio»
«Non ho nulla da darti»
«Io credo di sì», si affretta a tirare fuori dalla tasca della giacca lurida che indossa un foglio spiegazzato, quindi lo distende e poi me lo fa dondolare davanti. Il sangue mi si ghiaccia nelle vene quando metto a fuoco la foto che ha fatto arrabbiare Amanda quando eravamo a Parigi. Mi tornano alla mente tutti i momenti che avevo relegato tra le cose a cui non pensare per stare meno male, e vorrei tanto tornare a quell'attimo sospeso. È assurdo come lei riesca a confondermi dicendo solo il mio nome, a farmi girare la testa con uno sfioramento e come mi rincoglionisca con uno sguardo. È assurdo il modo in cui mi ha catturato senza lasciarmi via di scampo.
«Guarda che bello zuccherino ti sei scopato ultimamente. Ti ricordi di lei, sì? È ora che mi ci faccia un giro io» la sua risata roca mi riempie le orecchie, incorniciando i miei incubi. E il terrore che Xanvier non sappia nulla questa volta che vada tutto a puttane mi stringe il cuore.
«Non provare a toccarla». Con uno scatto strattono le corde che mi tengono fermo, digrignando i denti.
«Farò di molto peggio, tranquillo» replica freddo. «E poi mi darai i miei soldi, hai tre mesi. Mi sembra uno scambio equo» conclude accartocciando il foglio prima di gettarlo a terra.
«Uccidimi, fai prima» preferisco morire che pensarla tra le braccia di un'altro. Preferisco morire piuttosto che smettere di proteggerla, e vorrei poter fare molto più di quello che faccio.
«Che cazzo me ne faccio del tuo cadevere? La tua famiglia non pagherebbe neanche il riscatto per un funerale»
«Ma che c'entra lei?!», la mia voce è più angosciata di quanto dovrebbe essere, e lascia trapelare molto di più di quello che vorrei.
«C'entra perché voglio farti soffrire e distruggerti come tuo fratello ha distrutto me. Che uomo sei? Crolli per una donna»
«Tu sei un'uomo morto» ringhio arrivando a un palmo dal suo viso con gli occhi fissi nei suoi. Lui ha uno scatto, e in breve mi ritrovo una Beretta puntata alla fronte. Di bene in meglio.
«Ascoltami bene, francese di merda: mi ci vogliono tre secondi in croce per ammazzarti. Adesso taci e fai quello che cazzo ti dico, oppure impicco te e la tua puttana», gli trema la voce dalla rabbia mentre preme il metallo sulla mia pelle rovente, assottigliando gli occhi. «Ora, la vai a prendere e ti fai trovare pronto ad essere portato via tra mezz'ora. Prova a dirle qualcosa, a chiamare qualcuno o a fare un passo falso e siete morti». Mi slega dalle corde tenendo la canna della pistola sulla mia tempia, quindi mi trascina fino all'uscita e mi colpisce con calcio di ferro dell'arma allo zigomo.
«È a Termini. Niente brutti scherzi, trenta minuti. Se non sei lì quando arrivo puoi considerarla morta», quindi mi spinge fuori dal magazzino, chiudendo la porta di ferra che dà in via Giusti. La luce del giorno mi acceca per qualche istante, mentre barcollo per la strada strofinandomi gli occhi.
Non ho manco l'orologio, come cazzo lo tengo il tempo?
Percorro a grandi passi la via, rischiando di farmi investire un paio di volte quando attraverso via Machiavelli. Ignoro il dolore ai muscoli e la gola secca e comincio a correre, confondendomi tra la folla in via Napoleone. Ho in testa il sorriso di Amanda, il suo profumo, la sua voce che mi chiama. Xanvier ha messo un'uomo a controllarla, e lui mi deve vedere. Ho bisogno che mi veda. Quando arrivo in via Giolitti e vedo l'edificio della stazione romana perdo un battito. Non ho idea di quante persone io abbia urtato oggi, ma per Amanda sarei capace di calpestare una folla. Voglio sperare che abbia ancora una briciola di amore per me, perché io non so che farmene di tutte quelle che ho, e non riesco a liberarmene. E anzi, non voglio. Voglio immaginare il momento in cui correrà tra le mie braccia, lasciando che la stringa di nuovo a me nonostante tutto. E lo so di averle fatto male e di averci distrutti entrambi con tre parole in croce, ma se lei ne ha bisogno io voglio esserci. Ho bisogno di sapere che se ne avrà necessità correrà da me di nuovo, senza curarsi di dove siamo o di che ora è. Lo so che quel sentimento strano che mi ha stretto tutta la vita è abbastanza per superare tutti i muri di fuoco che abbiamo in mezzo, per ingabbiarci a vicenda ed essere felici. E lo voglio, Dio, lo voglio così tanto.
Supero un gruppo di turisti tedeschi e salto le transenne che dividono i marciapiedi, correndo in mezzo alla strada e tra il traffico come un pazzo. Appena arrivo davanti alla tabella delle partenze lascio scorrere gli occhi sul perimetro, tra le persone e le valige, accorgendomi della quantità ingente di ragazze dai capelli scuri presenti. Il terrore di perderla e non trovarla mi attanaglia anche mentre ricordo le sue testuali parole "mangiare in terrazza a Termini, sopra i treni, è come partire con la mente" e comincio a salire le scale mobili che portano alla terrazza. Pesto i piedi a una decina di persone mentre arranco tra i turisti e le valigie con l'impressione di ammattire sempre di più ogni secondo che passa. Ironia della sorte, non c'è neanche una bionda in giro oggi. Hanno tutte i capelli scuri, e io sono terrorizzato dall'idea di lasciarmela sfuggire. Salgo le scale mobili due gradini alla volta, accusando la mancanza d'ossigeno con una fitta ai polmoni.  Mi fanno male tutti i muscoli, ma manca così poco che non posso permettermi di riposarmi. Non se lei è in pericolo.
I miei occhi saettano subito verso il bar Amalfitano, dove ci siamo fermati a mangiare prima di partire, e non riuscire a individuarla subito mi manda nel pallone. Che se ne sia già andata? Che mi abbia visto e non voglia mai più parlarmi?
A colpire i miei occhi sono dei capelli rossi e vaporosi, vicino a una testa color cioccolato fondente. Ai due lati della sala, perpendicolari al tavolino e opposti, ci sono due uomini. Il panico mi assale quando mi accorgo di quello che lavora per il mio boia, attento a ogni mio movimento.
«Amanda!» incontro i suoi occhi, talmente verdi da darmi dubitare che esista davvero qualcosa di così bello. Si alza di scatto, rovesciando la sedia quando mi vede. Mi percorre da capo a piedi con lo sguardo, prima di venirmi in incontro con le lacrime agli occhi.
«Scusa» soffoco un grido, abbracciandola. «Scusami, scusami Amanda.» affondo il viso nei suoi capelli, riempiendomi le narici del suo profumo. La stringo tra le mie braccia, esattamente come nei miei sogni, godendo della sensazione di averla di nuovo vicino a me. Lei non mi dice nulla. Mi stringe, bagnandomi la maglietta distrutta con le lacrime.
E io non riesco a piangere, perché sono troppo felice di vederla. Perché forse c'è una speranza, solo grazie a lei.
«Che ti è successo?» con voce strozzata, Amanda mi prende il viso tra le mani, accarezzandomi come solo lei sa fare.
«Devi ascoltarmi. Ascoltami un'attimo, ti prego» le bacio i palmi della mani freneticamente, beandomi per qualche secondo della sua pelle contro la mia.
«Ti ascolto, ma-» fa per avvicinare il viso al mio, e io la fermo, posando la fronte contro la sua. Non posso baciarla finché non sarò certo che non scapperà.
«No, ascoltami. Io ti amo, Amanda, ti amo, je t'aime, I love you, s'agapò, non so come cazzo dirtelo, e sei vuoi te lo scrivo con dei pacchetti di zucchero. Ti amo, e non ho intenzione di smettere per nulla al mondo. Io voglio amarti finché staremo insieme, e ho bisogno di averti affianco. Vorrei poterti spiegare tutto, dirti ogni cosa e sperare che riuscirai a perdonarmi, ma non posso. Devi solo fidarti di me. Fidati per un'attimo e poi sarà tutto apposto, te lo giuro. Fidati di me, ti prego», e nell'istante in cui scatta la mezz'ora e l'orologio batte mezzogiorno la attraggo a me e, affondando una mano nei suoi capelli, la bacio. Amanda preme le dita sulle mie spalle e assaggia le mie labbra come se fossero zucchero, tremando tra le mie braccia. Affonda le dita nei miei capelli come solo lei sa fare e preme la bocca sulla mia, lasciando che mi scordi di tutto il resto per un breve istante.
Quando incontro di nuovo i suoi occhi verdi mi sfugge un sorriso sincero, e vederla ricambiarlo mi sembra quasi pura immaginazione. Mi sorride come quando siamo usciti in moto la prima volta per prendere la frutta, come quando ho riportato Edoardo a casa, come quando abbiamo ballato al matrimonio di sua madre e quando eravamo in chiesa a Parigi, solo io e lei in un'attimo che durerà per sempre nella mia mente. E io non faccio altro che rimanere incantato da quel sorriso, ogni volta di più. Mi guarda esattamente come la prima volta che mi ha visto, in quel supermercato in via Buonarroti, inginocchiata a terra tra i pacchetti di zucchero. Lei è la stessa che mi ha fatto perdere la testa e incazzare fin troppe volte, sorridere altrettante e ridere di gusto per infiniti attimi. È l'Amanda che mi ha fatto preoccupare quando è scappata ad Ostia, la stessa che guardava male le ragazze che ci provavano con me nei bar, quella che mi faceva sorridere nel bel mezzo della notte per il ricordo di una sua battuta. Lei è la mia Amanda, e voglio solo che sia mia per sempre. Ne ho bisogno come dell'aria, e come di quel fottuto zucchero nel caffè e nella vita. Alla fine, lei è il mio zucchero.

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