42. Colpa tua

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Va bene, lo ammetto, forse forse Adrien aveva ragione: sono un tantinino stanca.
E questo lo dico perché lo sento, non perché mi sono addormentata in macchina e lui mi ha portata in braccio fino al mio appartamento. Al momento poi, sto cercando di ricordare quello che mi ha detto prima di lasciarmi qui per andare a fare la sua valigia.
Aspetta, com'era?
Quindici minuti...aereo...caffè?
Non mi ricordo niente.

Grace, seduta sul mio letto e praticamente addormentata, sta cercando di aiutarmi a fare la valigia. O meglio; in due non siamo  ancora riuscite ad aprire la zip, ma sono sicura che nei quindici minuti prestabiliti da Adrien riusciremo a fare grandi cose.
Tipo addormentarci.
«Allora» esalo strofinando una salvietta sul mio viso per struccarmi. «Tu mi fai un caffè, e io metto le cose sul letto. Tra dieci minuti le infiliamo insieme in valigia» la mi voce è strascicata, ma Grace sembra capire, perché, sebbene ormai mezza svestita, si dirige in cucina. Io apro il mio armadio e raccatto una sacca per l'intimo.
E sì, sono abbastanza sicura di aver svuotato il cassetto.
Lancio la sacca sul letto e mi preoccupo di tirare fuori un paio di gonne e dei pantaloni dai colori neutri. Stessa cosa sarebbe dovuta accadere per camicie e maglioni, ma ormai ho completamente smesso di ragionare.
Alla fine decido di rimanere con l'abito del matrimonio e guadagno dieci minuti di sonno accovacciata accanto alla mia valigia sul letto. Per grazia di Dio riesco a infilare le cose nella mia valigia e poi getto alla rinfusa un paio di scarpe.
Grace mi mette in mano ben due tazzine di caffè largamente zuccherate, e mi suggerisce di buttarle giù come shot di vodka. Tre minuti più tardi sono più sveglia di quanto io non lo sia mai stata.
«Che c'hai messo in quel caffè?» le chiedo stralunata.
«Ho fatto il caffè dello studente» replica risoluta. Il caffè dello studente è un religione nella nostra famiglia: dove l'acqua della moka viene sostituita con altro caffè, con il risultato di un caffè doppio ed estremamente forte. Una botta di caffeina da trentasette ore di studio ininterrotto.
«Ah, ecco» mormoro io, infilando i documenti nella mia borsa.
«Ti dispiace se vado a dormire?» mi chiede lei, con un filo di voce.
«Figurati. Ti voglio bene, Grace. Ci vediamo tra cinque giorni» ci abbracciamo nel silenzio della mia stanza, stringendoci forte.
«Mandami un messaggio quando arrivi. Stai attenta, e fai tanto sesso, mi raccomando» mi schiocca un bacio sulla guancia prima di passarsi le mani sul viso e uscire dalla mia camera. Sto per obiettare quando al vedo entrare nella camera di Edoardo, poi mi mordo la lingua e trattengo a stento un sorriso.
Forse è la volta buona che Edoardo intraprende una relazione seria.

Io mi preoccupo di avere un'aspetto decente, quindi chiudo la valigia, la abbandono nell'ingresso e mi verso un'altra tazzina di caffè. Edoardo sbuca in salotto qualche minuto più tardi, in pigiama e con i capelli disordinati.
«Prendo un plaid» indica una delle coperte abbandonate sul divano, quindi la pesca con una mano e se la getta sulla spalla. «Grace ha freddo» spiega. «Tu stai attenta, mi raccomando. E non rimanere incinta»
«Ma, Edo-» boccheggio io, spalancando gli occhi.
«Non fare la santa con me. Non voglio diventare zio a ventiquattro anni. Ci vediamo tra qualche giorno, ti voglio bene» mi avvolge con la coperta e mi schiocca un bacio sulla guancia, sorridendo. Poi mi guarda e si sfila la felpa grigia, rimanendo in t-shirt. Me la infila dalla testa e sorride soddisfatto.
«Fa freddo. Copriti, e chiama quando arrivi. Ciao, Amy». Il citofono suona nell'esatto istante in cui sciogliamo il nostro abbraccio, e per un'istante vengo colta da un'orribile presentimento. Mi sembra un'addio, e per un secondo rimango terrorizzata. Salto addosso a Edoardo, abbracciandolo con gli occhi umidi e il mento tremante.
«Tu stai attendo, Edo. Ti prego» la mia voce incrinata è l'unico suono udibile nella stanza, e lui mia stringe a sé, rassicurandomi con una serie di pacche sulla schiena.
«Sta' tranquilla, e divertiti. A presto» mi schiocca un'ultimo bacio sulla fronte e poi apre il portone e la porta, attendendo Adrien appoggiato al muro.
Sebbene abbia una coperta con i koala disegnati sopra sulle spalle e sia mezzo addormentato, riesce comunque a fulminarlo con lo sguardo quando arriva sul pianerottolo, anche lui ancora vestito con gli abiti del matrimonio.
«Vedi di stare attento a mia sorella» borbotta risentito.
«Lo farò. Pronta?» chiede poi, posando lo sguardo su di me. Io annuisco, tirando su le maniche della felpa enorme che ho addosso per prendere borsa e valigia. Mollo un pizzicotto a Edoardo, ridacchiando mentre mi guarda risentito, quindi lo saluto con la mano prima che porta si chiuda alle mie spalle. Adrien mi toglie dalle mani la valigia e mi precede sulle scale, dopo avermi schioccato un bacio sulla tempia. Salgo in macchina raggomitolandomi nella felpa di mio fratello, quindi osservo per tutto il tragitto da casa a Fiumicino, Adrien che guida. È indicibilmente bello anche mentre sbadiglia in autostrada, strofinandosi gli occhi con una mano. Il caffè continua a fare effetto perché smetto definitivamente di avere sonno e riprendo a pensare lucidamente.
E ovviamente mi torna in mente che ho dimenticato il pigiama. E pure il dentifricio. Li ho presi i calzini?
Quando arriviamo a Fiumicino mi stupisco di trovarlo pieno zeppo di persone in partenza e in arrivo anche a quest'ora.  I controlli e il check-in rasentano la noia più totale, e becco perfino Adrien a mormorare parolacce inveendo contro la signora davanti a noi, che si rifiuta di far controllare la valigia. Quando, per grazia di Dio, riusciamo a salire in aereo ormai sono le due e un quarto del mattino. Adrien si libera di giacca e cravatta, sbottonando la camicia e arrotolandone le maniche.
«Amanda» mi chiama sporgendosi verso di me. «Smetti di essere incazzata perché non ti ho fatto pagare il biglietto e mi dai un bacio?», alza le sopracciglia in attesa di una replica. Io mi mordicchio il labbro, ancora un po' risentita. Adrien Leroy non ascolta neanche le profezie dei Maya quando si impunta su qualcosa.
«Il bacio te lo do, ma al ritorno mi ascolti» borbotto sporgendomi verso di lui. E il sorriso che gli increspa le labbra lascia pensare a quando non mi lascerà neanche pagare un bagel all'aeroporto. Il bacio però, glielo dò comunque.
Affonda una mano nei capelli sulla mia nuca e mi bacia lentamente, quasi a scusarsi. Insinua la lingua nella mia bocca e mi tira più vicina, poi mi morde il labbro inferiore. Siamo separati solo dal bracciolo dei sedili, e entrambi accusiamo i cinque giorni di distanza che ci hanno tenuti lontani. Un po' ci si è messo di mezzo il mio ciclo mestruale (che per fortuna ci ha confermato che la durex ha dei prodotti leali), un po' il lavoro, un po' le sue serate al locale di Camille da cui torna stremato la maggior parte delle volte, visto che l'ultima volta sono riusciti a fare le sei, in aggiunta ai suoi allenamenti, che esegue con precisione meticolosa, molto più regolarmente dei miei in pista, e in più i preparativi per il matrimonio, in cui mia madre mi ha coinvolta senza alcuna ragione apparente. Insomma, alla fine, dalla sera in cui Grace ci ha chiamato dopo gli allenamenti, non abbiamo  avuto modo di consumare un matrimonio mai avvenuto. E adesso ci pesa da morire.
Lecco lentamente il contorno delle sue labbra e lo tiro per il colletto della camicia, tenendolo incollato alle mie labbra. Affondare le dita nei suoi capelli mi sembra fin troppo bello per essere vero. Adrien lascia scivolare una mano sulla mia coscia, accarezzandola sotto la gonna fino a quanto è consentito per non rischiare una denuncia per atti osceni in pubblico. Le sue labbra morbide e carnose mi baciano come se non avesse mai fatto altro; morde, lecca e succhia fino a farmi mugolare. Mi pizzica la coscia per intimarmi di non allarmare l'anziana signora accanto a lui, e insieme ridacchiamo, lanciando un'occhiata alla vecchietta incartapecorita che sta ascoltando dell'opera con delle cuffie enormi.
«E colpa tua» sussurro divertita.
«Ah, adesso sarebbe colpa mia?» ride lui, fingendosi incredulo. A interromperci è la voce del pilota, che annuncia la partenza.

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