9. Sei bipolare

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«Mi è venuta fame con tutte quelle fottute fragole» borbotta Adrien, legando la cassa di frutta al baule della moto. «Non ho capito perché a te ha dato i biscotti e a me no. Stronzo» continua ancora, assicurandosi che sia tutto sistemato bene mentre stringe le cinghie.
Alzo gli occhi al cielo, addentando l'ennesimo biscotto al cioccolato. Il figlio del fornitore mi ha preso in simpatia a quando pare, e ha maturato un'odio profondo nei confronti di Adrien. Dieci minuti per ritirare un po' di fragole e sono riusciti a lanciarsi minacce velate sotto i miei occhi.
Bah, maschi.

«Perché ti odia» replico alzando le spalle. «Ne vuoi uno?» propongo allungando un biscotto.
«Non voglio i biscotti di quel coglione» sbotta lui, recuperando i caschi.
«Sei bipolare»
«E ho fame. Non te lo dimenticare» aggiunge con una mezza risata.
«Come fai ad avere fame a quest'ora?» domando curiosa.
«Non mangio da ieri sera, fai tu i conti» replica infilandomi il casco con delicatezza. Trattengo un sorriso, allacciandomi la chinghia sotto il mento.
«C'è una soluzione, Adrien, e si chiama colazione» suggerisco salendo dietro di lui. Scrolla le spalle in risposta e mette in moto.
Infilo il sacchetto con i biscotti rimanenti in tasca e circondo il suo torace con le braccia, pronta un'altra corsa della morte.

Qualche minuto dopo, per la seconda volta in mezz'ora, via Salaria minaccia di diventare il mio letto di morte.
Io volevo Mops accanto.
Non voglio morire con Adrien.
E soprattutto senza le fragole sparse attorno al mio corpo senza vita.

«Smetti di ignorare-Adrien!» la sua risata risuona nelle mie orecchie mentre lui mette in atto una manovra da Fast and Furios e procede a zig zag tra le auto.
Sto urlando da dieci minuti.
E lui continua a ignorarmi.

Mi attacco a lui mormorando un Padre Nostro mentre il mio collega mezzo francese finge di essere un uccellino, guidando come se non esistessero il resto dei veicoli accanto a noi.
«Ripeto: come cazzo guidate a Parigi?» urlo ancora attaccata a lui.
«Da Dio» risponde lui divertito, svoltando in via del Tritone.
Arriviamo a Fontana di Trevi con il respiro corto. O meglio; io sto per morire di tachicardia, e lui ammicca a un paio di turiste in pantaloncini che ci passano accanto.
Lo odio.
Profondamente.

«Mi sta per venire un'infarto. Me lo sento» borbotto recuperando la mia borsa con stizza.
«Non andavo tanto veloce» replica stringendosi nelle spalle. Afferra la cassa di fragole e pesche e procede verso la pasticceria a passo veloce.
«Tu aspiri alla morte!» esclamo cercando di tenere il passo. Lui reprime un sorriso e mi lancia un'occhiata indecifrabile. Boh.
Quando entriamo in laboratorio veniamo acclamati come eroi, prima di rimetterci a lavoro.
Tommaso osserva Adrien lavare le fragole e gli riserva una brutta occhiata mentre taglia le strisce di pasta frolla.
Bah.
Non ho capito che ha oggi.

«Abbiamo quasi finito» esclamo un quarto d'ora dopo, mentre aiuto Chiara a sistemare le fettine di pesche sopra la crema pasticciera.
Quando l'ultima torta viene messa in frigo dò le indicazioni a Giovanna per procedere con le crostate alle visciole ed esco dal laboratorio per una pausa.
Sblocco il mio cellulare, seduta a un tavolino della pasticceria prima che il mio collega mi affianchi.
«Andiamo» mi dice infilando le mani in tasca.
Boh.
Questo sta male.

«Dove?»
«A fare colazione» replica con nonchalance dal suo metro e ottanta.
Pure e novanta.
Ah, non lo so.
Facciamo e ottantacinque.

«A fare colazione?» ripeto io, alzando un sopracciglio.
«Ce la fai prima di pranzo?» si spazientisce incamminandosi verso la porta. Alzo gli occhi al cielo, recuperando la mia giacca poggiata sulla sedia accanto a me.
Vado solo perché ho fame anche io.
Lo giuro.

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