33. Guardami

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«Adrien!».
Accade tutto troppo velocemente perché io possa rendermene conto; la porta si spalanca, un fascio di luce rosa mi investe e una ragazza bionda si getta al collo del francese accanto a me, aggrappandosi stile scimmia. Cominciamo male.
«Camille» la saluta lui, sfoderando un sorriso dolce come il miele.
Ahhhhhh. È la sorella.
Menomale.
«Oh, tu es le milleur frère de ce monde!» esclama lei, stringendolo come un'ancora di salvezza. Si stacca dall'abbraccio velocemente come l'ha assalito e poi guarda me. Solo ora mi accorgo del body di pizzo nero che indossa, degno di una spogliarellista. Ma che ci fa mezza nuda?
«E lei?» chiede con uno sguardo indagatore.
«Ti spiace non sembrare spostata per una volta?» ride Adrien, scuotendo la testa.
«Ta guele, coglione» sbraita lei, mollandogli una gomitata. Lui ride, posandomi una mano sulla schiena per farmi avvicinare.
«Lei è Amanda, ci terrei non la terrorizzassi. Amanda, lei è Camille, sorella problematica di cui nessuno conosce l'esistenza»
«Ma sei proprio un bastardo!» sbraita l'altra, rifilandogli un calcio sugli stinchi che il mio collega schiva prontamente. «Sono Camille, e non sono né spostata né problematica. L'unica testa di cazzo in famiglia è lui» mi saluta, lanciando un'occhiataccia al fratello. «Ma che bei capelli che hai» esulta poi, spumeggiante quanto un calice di champagne. «Che shampoo usi?».
Mi prende per il culo, sicuro.
Lei sembra Rapunzel.
«Ehm...»
«Ma hai delle ciglia lunghissime!» continua poi, mentre Adrien alza gli occhi al cielo. Sgrana gli occhioni azzurri e mi osserva attentamente, compiaciuta.
«Va bene, basta così. C'è Cecile?», il mio collega distrae la sorella, che si volta a guardarlo aggrottando le sopracciglia.
«No, no. Puoi stare tranquillo. Maman mi ha detto che sei stato a Parigi. Dici tanto che non li sopporti tutti quei giornalisti ma secondo me ti diverti a farli impazzire con i tuoi capricci da diva» ride poi incrociando le braccia al petto.
Non sto capendo un cazzo. Qualcuno mi spieghi.
«Tu intanto ti sei data, eh» replica lui, con un gesto di sfida del mento.
«Mi stupisco tutte le volte che vieni, sai?» ride lei, sfoderando l'ennesimo sorriso. «È un ragazzo d'oro, anche se ha un pessimo carattere» dice poi, rivolta a me. Non l'avevo notato, guarda.
«Venite, dai» sorride poi, facendosi da parte per farci entrare. Adrien mi tira con sé, mettendomi un braccio intorno alle spalle prima di sistemarsi nervosamente la cinghia del borsone sulla spalla.
Un gruppetto di ragazze (s)vestite come Camille ci passa accanto, scomparendo dietro una tenda.
Ok, comincio ad avere un'idea di cosa si faccia qui dentro.
Ma Adrien che fa? Pulisce?
Ah, no.

«Dimmi che l'idea malsana che ho in testa di quello che fai tu qui è frutto della mia mente malata» borbotto mentre lui si fa strada tra un'altro gruppetto di ragazze mezze nude, sotto le luci al neon colorate.
«Ho paura che la tua mente non si sia spinta abbastanza oltre» sbotta aprendo l'ultima porta in fondo al corridoio. «Ricordati che hai insistito tu per sapere» si chiude la porta alle spalle e abbandona il borsone a terra, incrociando i miei occhi.
«Immagino come avresti potuto dirmelo altrimenti» ribatto pungente. Di sicuro non sono arrabbiata, ma confusa sì. Non saprei dire se le sorprese con lui finiranno mai. «Qualcosa del tipo "Ehi Amy, lo sai che faccio nel tempo libero? Mi spoglio!"», abbasso lo sguardo, osservando le punte delle mie scarpe con un pizzico di amarezza.
«Lo faccio per Camille. Posso spiegarti» si avvicina a me, cercando i miei occhi con un pizzico di disperazione.
«Non fa niente. Non sono mica la tua fidanzata» osservo amareggiata.
Lo sapevo che la sua vita non si limitava alla pasticceria, ma non immaginavo...beh, questo, ecco. Mi dà quasi fastidio pensarlo qui, con tutte queste ragazze perfette. Anzi, è proprio un'orribile sensazione che mi stringe lo stomaco fino ai conati.
«Sì, ma vorrei che lo fossi» mormora alzandomi il viso con due dita. E a me sembra di sciogliermi. Perché se mi dice le cose così, senza giri di parole, con quello sguardo e quel mezzo sorriso, giuro che mi sento diversa. Giuro che mi tremano le gambe e i brividi mi attraversano la schiena come saette sotto i suoi occhi, che sembrano mari in tempesta.
Sono incastrata contro la porta del camerino, senza via di scampo. E poi, senza neanche rendermene conto, mi metto in punta di piedi per incontrare le sue labbra. È un bisogno strano, il mio. Quello di volerlo, sempre. È una fame senza tregua, una sete insaziabile. È uno di quei baci che dicono tante cose. Io lo voglio, lui si scusa. Io lo imploro, lui mi tortura. Io voglio che si fidi di me, ma lui mi concede un pezzo del puzzle alla volta.
«Anche io» soffio sulle sue labbra. Lui in tutta risposta mi attrae a sé, infilando le mani sotto le mia felpa. Mi accarezza la schiena con foga, divorando le mie labbra come se gli appartenessero. E anzi, adesso è così. Io voglio essere sua.
Schiudo le labbra, intrecciando la mia lingua con la sua, quindi lascio che la mia schiena sbatta contro la porta e circondo il suo collo con le braccia. Passo le mani nei suoi capelli folti, lo tiro verso di me, assecondo il desiderio con cui mi bacia senza tregua.

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