32. Veleno

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«Vuoi picchiare i gabbiani per sfogare la tua frustrazione?».
Adrien mi tiene per mano, camminando con me a piedi nudi sulla sabbia umida. Io osservo il bagnasciuga in silenzio, ancora un po' confusa per tutto quello che sta accadendo.
«È un'idea» mormoro muovendo un po' di sabbia con i miei stivaletti in mano. Lui ridacchia, con i capelli mossi dalla brezza marina e gli occhi che rilucono sotto il pallido sole di metà ottobre.
A volte mi chiedo se sia possibile essere così belli da non sembrare veri. Così belli, attraenti e sicuri che tutta quella perfezione sembra poterti tagliare a metà. Sembra quasi poterti fare male.
«Mi dispiace averti lasciato quattro ore sotto la pioggia» sussurro muovendo nervosamente le dita nell'incastro che creano le nostre mani intrecciate.
«Non fa nulla» mormora scrollando le spalle. «Una volta, a sedici anni, ho fatto il bagno nella Senna per una scommessa, in pieno gennaio. Da quel momento il freddo non ha più effetto, o quasi». Rido con lui, immaginandolo mentre si butta da uno dei ponti che sormontano il fiume di Parigi.
«Che scommessa era?» gli chiedo curiosa, mentre il vento muove la gonna sulle mie gambe.
«Avrei dovuto fregare il compito di matematica in anticipo per poterci preparare tutti. Solo che quel giorno dovevo fare una cosa importante, ed ero agitato, quindi ho preso quello del primo anno. Abbiamo preso tutti tre. E io mi sono tuffato nella Senna davanti a tutta la scuola» sorride al pensiero di quell'avventura e io rido, barcollando leggermente.
«Come hai fatto a non morire ibernato, lo sai solo tu» commento accarezzando con gli occhi l'orizzonte.
«Fidati che c'è andato di mezzo l'intervento divino. Alle otto di mattina, praticamente nudo, il dodici gennaio. È stata una nuotata rinfrescante»
«Ti sei denudato davanti a tutta la scuola sul ponte della Senna?» gli chiedo incredula. Lui annuisce ridendo, quindi abbassa lo sguardo.
«Esattamente. Cioè, avevo il costume. E poi sono dovuto andare a scuola, bagnato e senza vestiti»
«Che vuol dire senza vestiti?»
«Vuol dire che quelle bastarde della classe di Francese mi hanno fregato i vestiti e io mi sono fatto a piedi fino a scuola senza. Li avevano misericordiosamente lasciati in segreteria. Non me la scorderò mai la faccia della segretaria quando sono entrato con un costume e i calzini addosso chiedendo i miei vestiti»
«Ma che stronze» non trattengo neanche un'altra risata, mentre lui annuisce.
«Malefiche. Quando l'è venuto a sapere mio padre mi ha messo una guardia del corpo per un mese»
«Stai scherzando?»
«Oh no. La mia famiglia è piuttosto...particolare, diciamo»
«Hai fatto il bagno nella Senna, mica svaligiato una banca»
«C'è stato un dettaglio che ha dato fastidio ai miei» mi fa lui, passando il suo pollice sul dorso della mia mano.
«Tipo?»
«Niente di importate. Facciamo una corsa?». Lo capisco subito che sta cercando di svincolare il discorso, ma lascio perdere e mi lascio trascinare in una corsa a perdifiato per tutto il bagnasciuga. Rido fino alle lacrime, trascinandomi sulla sabbia con le mie scarpe ancora in mano. A ora di pranzo ci fermiamo a un chiosco, ordinando pesce fritto. In questo momento, il mondo intero sembra scomparire davanti a lui. I problemi si dissolvono, le insicurezze evaporano, le ferite guariscono. Sembra un po' una fiaba.
«Che impegno avevi in programma?» gli chiedo adesso che si sta aprendo con me, senza svincolare la maggior parte delle domande come fa sempre. Piano piano ha iniziato a dare risposte vere invece che monosillabi, ha cominciato a dirmi la verità invece che scuse accampate. E ora lo sento più vicino.
«Dovevo andare ad aiutare mia sorella» mi dice addentando un gamberetto fritto. «Stasera. Quindi se asciugano gli altri vestiti sono ancora salvo». Io bevo un sorso d'acqua, godendomi la brezza leggera sulla pelle.
«Ma tu aiuti proprio tutti?» gli chiedo accavallando le gambe sotto il tavolo. Lui sembra pensarci su prima di annuire.
«Te l'ho detto che nella mia famiglia sono quello che va a destra e a manca a risolvere i casini» mi dice pulendosi le mani con un fazzoletto. Io mastico in silenzio, osservandolo attentamente.
«Ma aiuti anche chi non se lo merita» asserisco picchiettando le dita sul tavolo di legno.
«Vero» conferma bevendo un po' d'acqua. «È questo il problema»
«Dovresti dire di no, ogni tanto»
«Non posso. Contano tutti su di me» scrolla le spalle, infastidito dalla conversazione che sto incentrando su di lui. «A te fa propio schifo vedere tua madre con quel Riccardo?» svincola, ancora.
«Da morire. Facciamo un gioco» propongo mordendo un'alice fritta. «A turno, diciamo una cosa su di noi, completamente a caso»
«Ci sto. Vai prima tu?» i suoi occhi incrociando i miei, e potrei giurare di averli visti quasi limpidi.
«Okay. Allora...in quarta liceo sono stata rimandata in latino» alzo le sopracciglia in segno di sfida, battendo gli indici sul tavolo.
«Io...vediamo, io non ho idea di come fare un uovo alla coque» rido con lui di questa buffa confessione, mordendomi il labbro mentre cerco di trovare qualcosa di interessante da dire.
«Ho dato il primo bacio a tredici anni» ridacchio, masticando un'alice fritta.
«A chi?» mi chiede lui, con un gesto cenno del mento.
«Un tipo» svincolo io, che voglio giocare il suo stesso gioco. «Tocca a te»
«La mia prima ragazza aveva un'anno più di me» mi dice semplicemente, tamburellando le dita sul tavolo. Io mi trattengo dal chiedergli come fosse e abbasso lo sguardo.
«Mi sono ubriacata per la prima volta a diciassette anni» mormoro bevendo un po' d'acqua.
«Interessante. Poi ti sei buttata nella fontana di Piazza Navona?» ride con me, mentre io scuoto  la testa.
«Meglio: sono quasi stata arrestata per molestie a pubblico ufficiale». Lui ride scatenando in me una strana sensazione che mi invade il petto, e che tento di ignorare senza risultati.
«Questa è grave. Alla fine si sono resi conto che eri solo una povera psicopatica con un carretto di pacchi di zucchero?»
«Molto divertente.» commento sarcastica. «Alla fine mi hanno lasciato andare perché tecnicamente era il mio compleanno»
«A proposito: quando compi gli anni?» mi chiede addentando un'altro gamberetto.
«L'undici aprile. Tu?»
«Il quindici di agosto» mi fa scrollando le spalle.
Figuriamoci, figlio dell'estate, lui.
«Ci avrei scommesso»
«Cosa?» mi chiede con voce graffiante.
«Che eri nato d'estate. Sai, biondo con gli occhi azzurri mi ricorda tanto l'estate. Sei un po' la cotta estiva di tutte le ragazze, quel figo che vedi in spiaggia e tenti di rimorchiare senza successo»
«Quindi mi hai classificato come "figo da estate"? Adesso proprio voglio vedere chi fa l'inverno»
«No, tu vai bene per tutte le stagioni» ridacchio io, stringendomi nelle spalle.
«Cosa sono? Un'albero sempreverde?» mi chiede fingendosi infastidito.
«Dai, non fare il permaloso», allungo un piede nudo, sfiorandogli la gamba. Lui abbassa lo sguardo, osservandomi attentamente prima di sorridere. Sfiora il mio piede con due dita, risalendo per la gamba. Si inclina in avanti per sfiorare in bordo della gonna e poi ritorna compostamente al suo posto, bevendo un sorso d'acqua. Io alzo le sopracciglia, incredula.
Ma che razza di provocatore.
«Stasera hai da fare, quindi» cerco di portare avanti la conversazione senza concentrarmi sulle sue mani, sulle sue labbra, o su qualunque altra parte del suo corpo, viste le mie reazioni.
«Più stanotte, in realtà» mi corregge con noncuranza.
«Ma che vai a fare?» gli chiedo finalmente, divorata dalla curiosità.
«Niente di che» muove nervosamente la bocca, infastidito. Ecco di nuovo quel modo di svincolare che non fa altro che accendere la curiosità in me.
«Così finisco per pensare che ci sei in mezzo anche tu con Edoardo» sibilo incrociando i suoi occhi.
«Ti ho già detto che non c'entro niente» replica perentorio.
«Beh, certo, però sparisci a notte e torni alle cinque di mattina»
«Io Asia la ammazzo» borbotta incrociando le braccia al petto. «Ma che ti frega che faccio di notte?»
«Mi frega, e basta» sbotto addentando un'altra alice fritta.
«Senti, non c'ho voglia di spiegartelo. Vieni con me, così vedi» conclude irritato, mordendo un pezzo di pane.
«Bene» ringhio io.
«Bene» replica lui, prima di chiudersi nel mutismo tipico da costrizione.
Rimaniamo a braccia incrociate, uno davanti all'altro, in silenzio, finché il locale non si svuota e non arrivano le tre e mezza. Il mare riluce sotto il sole, che si è fatto più brillante e caldo.
«Amà» mi richiama lui, quando ormai i miei occhi sono persi per la spiaggia. Mi volto verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.
«Cosa?»
«Non volevo essere scortese. Scusami». Sono costretta ad abbassare lo sguardo per nascondere un sorriso, prima di incrociare di nuovo i suoi occhi.
«E io non volevo essere invadente. Scusa. Andiamo?».
Ci alziamo insieme, riallacciando le nostre mani come se fossero calamite. Appena fuori dalla terrazza Adrien mi ferma contro una colonna di legno e mi bacia, inebriandomi del suo profumo. Mi bacia dolcemente, in modo totalmente diverso da prima. Si prende tutto il tempo per torturarmi, baciarmi, mordermi e accarezzarmi. I suoi gesti sono lascivi, dettati dalla sensualità che gli appartiene per antonomasia. Morde le mie labbra e poi le lascia, mi bacia e poi si allontana lentamente, passa la lingua sul mio labbro inferiore per poi tornare a uno sfioramento di labbra. Mi tortura continuamente, passandomi le mani sulle cosce per poi tenermi semplicemente per la vita. È un'infinità di contrasti che addosso a lui stanno benissimo, combaciano perfettamente. È come se si volesse scusarsi e prendere una ricompensa allo stesso tempo. E io lo adoro, semplicemente. Adoro il modo in cui sembra indeciso e poi invece sa perfettamente cosa vuole e come prenderselo. Adoro come riesce a farmi svenire con una carezza e confondermi con un bacio. Adoro lui, il suo mutismo selettivo e la tripolarità, tutti i segreti e le battute.
E a volte penso solo di essermi ficcata in un brutto guaio.

Intreccio le mani dietro la sua nuca e traccio con un dito il bordo della felpa, schiudendo le labbra. Il profumo dolce della sua pelle fa da contrasto a quello di bucato che ha addosso, insieme a quello della salsedine. Mi avvolge, spazza via tutto il resto, annebbia i dubbi, le insicurezze. Le sue dita risalgono dalle mie cosce, facendomi venire i brividi. Mi accarezza con decisa premura. È come se fossi sua ma non volesse farmi male. È come se sapesse che sono caduta ma volesse cadere con me, invece che tirarmi su.
E io non ci capisco più niente.
È lascivo, sensuale, prezioso e peccaminoso.
Mi travolge con un solo bacio e rende il più semplice dei movimenti un'inno alla lussuria. Lo sa, di essere così. Se la cuce addosso quest'ombra, ci riluce dentro. Brilla come un diamante nel buio, risalta come una rosa nera tra mille bianche. È un contrasto infinito, tra le sue labbra e l'aspetto da angelo dannato.
È un'angelo per davvero magari, caduto all'inferno però.
E l'inferno gli sta addosso come un guanto.

Sospiro, piano, sulle sue labbra rosse. Mi sembra di assaggiarlo, tanto è buono, dolce e sbagliato. Sembra un po' un peccato. Anzi, Adrien è peccato.
È un frutto, immorale tanto è dolce, tentatore e lussurioso.
E io riesco solo a pensare che lo voglio fare, questo peccato immorale. Penso solo che mi serve quel frutto succoso, che solo il veleno più dolce mi farà contenta.
Passo le mani sulle sue spalle coperte dal tessuto spesso della felpa, alzo il viso per assecondare il suo desiderio che ostenta con sicurezza disarmante, premendo forte le mie labbra sulle sue.
«Ehm, ehm...noi staremmo chiudendo», una voce maschile interrompe il nostro momento di paradiso. Un ragazzo alto e magro tiene un menù in mano, divorato dall'imbarazzo.
«Certo» mormoro io, reprimendo una risatina imbarazzata.
«Arrivederci». Adrien mi trascina via, quindi saluto con un mezzo sorriso il cameriere e lo seguo fuori, camminando velocemente sul lungomare di Ostia.
Il pomeriggio lo passiamo sugli scogli, ridendo, scherzando, baciandoci. Arrivo a chiedermi se ne avrò mai abbastanza di lui, delle sue labbra, dei suoi sorrisi.
La cena è una combo di disagi, tra mia madre e Riccardo che si baciano, i pasticcini alle mandorle da evitare come la peste, e Adrien, che sembra essere più bello ogni momento che passa. Scopro che Riccardo è paleontologo, e non posso fare a meno di pensare e Ross Gueller, di Friends. Provo a dargli una possibilità, ascoltandolo prima di giudicare. Infine, ne esco con la speranza di non doverlo davvero inseguire in Guatemala.
Dopo aver guardato un film, alle dieci e mezza, Adrien mi tira su dal divano, stringendomi a sé.
«Io devo andare» mormora baciandomi il palmo della mano. «Ma se tu sei stanca, io-»
«Vengo con te» lo fermo io, mettendomi in punta di piedi per lasciargli un bacio all'angolo della bocca. Lui annuisce distrattamente, quindi salutiamo mia madre e Riccardo, raggiungendo l'ingresso. Adrien mi guarda attentamente per un'istante, osservando le mie gambe.
«Non ce li hai dei pantaloni?» mi chiede muovendo nervosamente la bocca.
«Per fare cosa?»
«Per metterli»
«Uhm...no» replico scrollando le spalle. Lui sospira, quindi apre la porta e mi lascia passare per prima. Mi lascia sulle spalle il suo chiodo di pelle, quindi allaccia premurosamente il casco sotto il mio mento e si assicura che io abbia freddo. Mette in moto di scatto, entrando in strada e immergendosi nel buio della sera. Guida per una mezz'ora buona, attentando alla mia sanità mentale come al solito. Non ride neanche una volta però, e sembra quasi preoccupato.
Alla fine, alle undici passate, si ferma in una via buia, scendendo dalla moto con stizza. Tira fuori un borsone dal baule della moto e mi prende per mano, camminando fino a una porta di ferro. Suona un citofono, e mentre aspettiamo che chissà chi ci apra mi stringe la mano.
«Senti...ti ricordi quando mi hai costretto a venire a pranzo con te?»
«Sì»
«E ti ricordi quando, prima che arrivasse la cameriera abbiamo parlato?»
«Sì»
«Ecco, un pezzo di conversazione. Hai presente quando-»
«Stiamo giocando a Indovina chi?» chiedo indispettita, incrociando le braccia al petto. Non capisco proprio dove voglia andare a parare, e sono confusa.
Lui sospira, quindi pronuncia il suo nome al citofono quando una luce rossa si illumina sopra alla pulsantiera e torna a guardarmi. Si avvicina, recuperando tutta la sua sicurezza. Accosta il viso al mio orecchio e la sua mano preme sulla mia schiena per spingermi più vicina.
«Ci sono solo due cose che i francesi sanno fare bene, tre se ci metti i croissant; limonare, e fare bordello» sussurra lascivo, quindi mi strizza l'occhio e apre la porta.

Salve persone
Scusatemi se questo capitolo è un po' noioso ma andava messo di mezzo per distanziare un po' tutto 'sto casino.
Voi come state? Spero tutto bene. Io sono stanca morta dopo neanche mezza giornata per i miei festeggiamenti di b-day.
Vi è piaciuto il capitolo? Avete capito dove sono finiti Adrien e Amanda? Fatemi sapere...
Adesso vi lascio, spero vi siate divertiti un po'
Andate in pace
Vi amo
Lily❤️❤️

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