Capitolo 6 - Occhi verdi

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Dopo quel venerdì, salutai i colleghi che sarebbero tornati a casa in altre regioni o città, dalle loro famiglie e dai loro affetti, ma anche chi, pur residente a Roma, non sarebbe tornato a Palazzo Chigi, lavorando da casa fino a nuovi ordini.

Nonostante il momento infelice, ci scambiammo qualche battuta davanti ad un veloce apertitivo al bar del Palazzo. Beatrice cominciò a darmi gomitate dicendomi che avrei dovuto pensarci io ad allentare la tensione al Presidente, ora che saremmo rimasti soli e a stretto contatto per tutto quel tempo.

Beatrice: «Eh Giada...sarà molto stressante ora questo periodo per lui...molto più "duro"...» marcando quella parola con uno sguardo ammiccante che lasciava intendere ovviamente un doppio senso.

Ma doppio senso di cosa. Quella era una frase a senso unico e basta!

Cominciai a ridere, cercando di prenderla come una semplice battuta tra colleghi. Ma la verità è che sentii subito un caldo un po' troppo eccessivo e di sicuro sono arrossita, anche se fortunatamente non me l'ha fatto notare.

Al di là di queste battute per cercare di rendere il momento più leggero, la verità è che i giorni seguenti furono davvero molto difficili e carichi di impegni. Lavoravamo senza sosta, qualche volta chiamavo Raffaella per alcune precisazioni e il mercoledì, giorno in cui era presente in ufficio, non ci siamo staccati dai nostri computer nemmeno per una veloce pausa pranzo.

Ma nonostante la fatica e la mole di lavoro improvvisa, nonostante la stanchezza e il carico emotivo che stavo affrontando e che non era mai capitato nella vita di nessuno di noi, ero felice e onorata di essere lì, per Giuseppe Conte. Non tanto per il ruolo di Presidente che ricopriva in questo momento storico molto difficile per l'Italia, ma soprattutto perchè in quelle intense giornate passate l'uno di fronte all'altra alla stessa scrivania, forse ero una delle pochissime persone che lo vedeva più come l'uomo Giuseppe, e non solo come Conte, il Presidente del Consiglio.

Cominciava ad essere più stressato, a volte alzando lo sguardo lo scoprivo lì davanti ai suoi fogli, con la stilografica appoggiata sopra, e le mani nei capelli, mentre sospirava cercando probabilmente di prendersi un piccolissimo momento in tutto quel marasma che stava succedendo.

C'erano solo dei momenti in cui potevo vedere un Giuseppe più tranquillo, tirare il fiato per un attimo: durante le nostre brevi pause pranzo, a volte sempre alla nostra scrivania, a volte al tavolino dall'altro lato della stanza, come se solo spostarsi di qualche metro lo aiutasse a staccare la spina anche solo per mezz'ora. In quei momenti tornava ad essere il Giuseppe Conte spiritoso, dalla battuta pronta, con ricordi di cui voleva rendermi partecipe della sua carriera, delle persone incontrate. E sempre in quei momenti voleva sapere più di me, mi chiedeva perchè avessi scelto di studiare psicologia, quali corsi mi avevano catturata di più durante l'università, faceva domande specifiche su ricerche ed esperimenti, perchè era realmente desideroso di saperne di più di quel mondo.

Conte: «Beh dato che è quasi prossima all'abilitazione, sono fortunato ad averla qua con me...intendo...ad avere una quasi psicologa, in questo momento importante...» mi disse un giorno mentre stavamo finendo il caffè prima di tornare al lavoro.


28 febbraio 2020, 20:00

Oggi è venerdì. E' passata una settimana da quella prima conferenza. I casi continuano ad aumentare in tutta Italia. Ora la decisione, dopo un Consiglio dei Ministri che l'aveva tenuto impegnato per tutto il giorno, era solo una: gestire questa fase critica e cruciale andava fatto in maniera attenta e graduale, imponendo un lockdown generale di due settimane di volta in volta, per studiare al meglio il progredire della curva epidemiologica. E non solo per le zone rosse di Lombardia e Veneto: ora il Paese intero avrebbe dovuto seguire questa linea.

Il sole torna a splendere || Giuseppe Conte FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora