Capitolo 19 - La paura che...

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Venerdì 12 giugno 2020

Conte's POV

Questa notte non ho chiuso occhio, a dire il vero non ho nemmeno messo piede nel mio appartamento. Ho ancora addosso i vestiti di ieri e non mi sono nemmeno fatto una doccia. Mi guardo di sfuggita riflesso nello specchio sfarzoso appeso alla parete: gli occhi gonfi, i vestiti stropicciati. E una faccia di merda, letteralmente.

Sono rimasto qui, seduto sul divanetto del mio studio, incapace di fare qualsiasi cosa. Inerme.

Continuo a rivedere Giada nella mia testa.

Giada che mi sale in braccio. Giada che mi bacia e si spoglia. Giada che mi vede preoccupato e si preoccupa a sua volta. Giada che dopo la mia confessione si stacca da me. Giada che raccoglie le sue cose ed esce da questa stanza per non farsi vedere in lacrime, trattenendole fino all'ultimo.

Giada che va via da me. Ed io non ho fatto nulla per fermarla.

Sono già le 10:00, e lei non è ancora arrivata. In realtà non verrà oggi, me lo sento, lo so. I colleghi con cui lavora spesso, si staranno chiedendo che fine abbia fatto. Per fortuna ho avuto la forza di inviare una email generale, dicendo che oggi avrebbe lavorato da casa, avendo un impegno che non le consente di essere in ufficio. E poi ho chiesto loro di non disturbarmi per tutto il giorno.

Oggi non voglio parlare con nessuno, sono riuscito a tenere fuori persino Casalino, ma prima o poi dovrò dirgli cosa succede, non posso restare nascosto come un ladro in eterno.

«Rocco non fare domande ora, ti chiedo solo di posticipare per me la riunione con la maggioranza di oggi pomeriggio. In fondo non è una cosa urgentissima, possiamo fare lunedì». Lui ormai mi conosce e sa che non è il caso di indagare, perchè decido io quando sarà il momento giusto. Si è inventato una qualsiasi scusa, è una fortuna averlo nella mia squadra.


Giada's POV

Non ho nemmeno telefonato, non ho avvisato nessuno che oggi non sarei andata a lavoro. E per una stacanovista come me è un colpo basso. Non mi sono mai sottratta al lavoro, persino quando mi ammalavo facevo di tutto per andare.

Questa notte non ho chiuso occhio, come avrei potuto.

Appena uscita da quell'ufficio sono scoppiata in un pianto liberatorio. Un pianto incazzato, rabbioso. Carico di odio. Per fortuna Chigi era già vuoto e non ho incrociato sguardi indagatori lungo il tragitto.

Una volta a casa non ho avuto nemmeno la decenza di cambiarmi e di coricarmi a letto. Sono rimasta tutta la notte seduta sul divano in salotto. Questo divano che fino a pochi giorni fa dividevo con lui ogni tanto.

A ridere, a leggere e studiare ognuno i propri documenti, a mangiare patatine e bere birra. Ad addormentarsi dopo una giornata estenuante, ad accarezzarci, a guardarci, a toccarci. A fare l'amore quando non riuscivamo a resistere per arrivare in camera da letto.

Ecco, ho detto la parola amore.

Come ho potuto essere così stupida. Come ho potuto credere che un uomo del suo calibro potesse innamorarsi di una come me. Tutte le sue attenzioni, le sue preoccupazioni.

Ho ancora davanti a me il momento in cui si è presentato, quel giorno di metà gennaio. E poi le battute, le frecciatine, gli sguardi, i gesti. Continuo a pensare alle sue labbra e alle sue mani sul mio corpo, quelle stesse mani e quelle stesse labbra che ieri sono state sul corpo di un'altra.

Afferro la testa con entrambe le mani lanciando un urlo esasperato e finalmente mi alzo dal divano. Se c'è una cosa che può farmi star bene è la musica, e una chiacchierata con la mia migliore amica.

Il sole torna a splendere || Giuseppe Conte FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora