Capitolo 13

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Dopo esserci staccati e aver preso un infarto per colpa di Henk andammo alla macchina.
Per tutto il tragitto non dissi nulla, non pensavo ad altro se non a quel quasi bacio... Jay invece stava parlando del caso, raccontava cosa sarebbe successo una volta arrivati là, sicuramente non stava parlando per me, non riuscivo ad ascoltarlo, venivo continuamente distratta.
"Charl, ehi Charl, tutto bene?”
Dio mi stava chiamando, per svegliarmi mi aveva messo una mano sulla coscia, oddio quanto ero arrabbiata con Voight per averci interrotto!!
“Sì, tutto bene, scusa, stavi dicendo?”
“Che una volta alla scuola non sarà tutto semplice come durante il tuo primo caso, oggi non dovremo semplicemente esaminare un cadavere, dovremo evitare che dei ragazzi muoiano.”
“Bella responsabilità, non credo di essere all’altezza…”
“Scheggia, tu sei molto più che qualificata, puoi farcela, non devi nemmeno pensarci al fatto di essere incapace, chiaro?”
“Jay, sono un cecchino, io non evito che ci siano cadaveri, nella maggior parte dei casi sono io che li uccido. Non sono fatta per essere una negoziatrice, sono una macchina da usare per uccidere.”
“Charl, guardami e ascoltami. Il fatto di essere un cecchino, non ti rende una persona cattiva, chiaro. Non sei una macchina per uccidere, lo sai tu, come lo so io e come lo sanno tutti. Adesso voglio che ti faccia coraggio e che aiuti la squadra a salvare una vita.”
Assurdo come in pochi secondi fosse riuscito ad alzare la mia autostima da un 4 scarso ad un 9 pieno.
“Spero di non mandare tutto a puttane, grazie davvero Jay.”
Mi guardò e mi sorrise, come per ricambiare il mio ringraziamento, poi scendemmo dalla macchina per raggiungere la squadra nel centro di comando.
“Bene, ora che ci siamo tutti vi spiego qual’è il problema che dobbiamo risolvere. Questa mattina nella scuola è entrato un certo Liam Ortez, che con una 9 millimetri ha iniziato a seminare il panico, si è chiuso poi nell’aula magna con, crediamo, 12 ostaggi, tra cui un'insegnante e una ragazza diabetica. Il nostro obiettivo è tirarli tutti fuori da lì, tutti vivi, senza discussioni o eccezioni.”
Antonio sembrava sorpreso della nostra presenza lì, anche se non ne capivo il motivo, dopo qualche minuto di silenzio intervenne:
"Ma non dovrebbe essere un caso per la swat e per un negoziatore, noi cosa ci facciamo qui?"
"Siamo qui perché siamo coinvolti, la nostra famiglia è coinvolta, la nipote di Burgess è tra gli ostaggi."
Per qualche secondo calò un silenzio che aveva l'aspetto di paura misto dispiacere, poi tutti ci guardammo, come per farci coraggio e iniziammo a studiare un piano.
"Potremmo passare attraverso la cantina della scuola, non credo che abbia pensato a chiuderla." 
"Buona idea detective, ma abbiamo solo un problema, la porta della cantina non si apre, c'è solo una piccola finestra che possiamo usare, è sulla destra."
Visto che quello che il custode aveva detto pensai che la soluzione migliore fosse andare a misurare le dimensioni della finestra, per vedere se uno della squadra sarebbe riuscito ad entrarci.
Mi allontanai dal quartier generale con il custode e senza parlare arriviamo alla finestra:
"Eccola qua signora, stia attenta perché al secondo piano, esattamente qui sopra c'è la sala dove sono tenuti gli ostaggi."
"Va bene, grazie mille, ora mi metto al lavoro."
Stavo misurando l'altezza della finestra, quando da lontano sentì urlare una ragazzina e come mio solito, senza mai pensare alle conseguenze mi sono buttata in cantina usando la finestra.

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