Capitolo 1 - Momenti

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C'è un singolo, preciso momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui tutto inizia a cambiare.
Un momento, infinetisimale ed eterno dal quale il nostro destino si dirama verso qualcosa che non possiamo evitare, che cambierà completamente le nostre vite e che mai ci saremmo aspettati.

Per Anna, quel momento coincide con una telefonata che la raggiunge sul cordless aziendale della pasticceria in cui lavora, in un anonimo pomeriggio di fine gennaio.
"È per te" si limita a dire la titolare mentre le porge il telefono.
"Non ho capito bene chi sia"

Anna risponde incastrando il telefono tra la guancia e la spalla e rischia di farlo cadere un attimo dopo, quando sente la voce impersonale dall'altra parte.
"Policlinico, accettazione. Attenda un attimo in linea, prego"
Fortunatamente c'è solo lo spazio per qualche respiro, poi la voce di suo figlio le risuona, rabbiosa e concitata nell'orecchio
"Mamma, sono io. Non agitarti...ma ho appena avuto un piccolo incidente e ho bisogno che tu venga a prendermi"

Per un istante la vista le si annebbia e tutto prende a vorticarle intorno, poi la voce di Massimo torna a risuonare, tesissima, su una cacofonia di suoni indistinti.
"Mamma? Mamma, ci sei ancora?"
Lei, la paura come un macigno imponente a ostruirle la gola, fatica non poco a ritrovare la voce
"Sì sono qui"
Il fiato annaspa e un piccolo risucchio le fa accavallare le parole.
"Ma tu stai bene? Sei sicuro? E che ti è successo? "
Il timbro della risposta che ottiene la rassicura più della risposta stessa.
"Sto bene, te lo assicuro. Mi hanno messo qualche punto su uno zigomo e ho un polso gonfio ma sto bene...mi ha investito un coglione che viaggiava in senso vietato con una dannata auto blu"
Lo sente riprendere fiato prima di continuare.
"Mi ha preso di striscio ma la bici è comunque distrutta, per questo ho bisogno che tu venga a prendermi. Anche il telefono è a pezzi. E il..."

Anna deve interrompere quel flusso irruento di parole, le mani già vorticosamente impegnate a combattere con i guanti di lattice che indossa, prima di strapparsi la cuffietta ed il grembiule.
"Va bene arrivo. Dove sei? In che ospedale ti hanno portato?"
Dall'altro capo un nuovo sovrapporsi di voci le ferisce l'orecchio,poi Massimo torna a parlare
"Sono al Gemelli, ti aspetto. Ah...mamma...il coglione, qui, dice che manda qualcuno ad aspettarti, all'ingresso del Pronto Soccorso. Non farai fatica a riconoscerlo, hanno tutti gli occhiali scuri e un cazzo di auricolare all'orecchio."

Nell'apparecchio la voce di Massimo viene sostituita da una cacofonia indistinta di voci e suoni, e poi da un'altra voce, maschile, estremamente cortese ma fredda come metallo lucido.
"Signora, è attesa all'ingresso C del pronto soccorso, verrà accompagnata direttamente da suo figlio"

Anna non ha il tempo materiale di aprire bocca per chiedere qualche spiegazione in più che la telefonata si interrompe, lasciandola con un grappolo di domande a cui non sa come rispondersi e un grumo di inquietudine a serrarle la gola.

***///***

Per Giuseppe invece il momento che lo porta a collidere con l'evento che avrebbe mutato la sua vita si identifica con un ordine preciso e indiscutibile che dà all'agente di scorta che sta alla guida, quando sale in macchina con più di 45 minuti di ritardo sulla tabella di marcia.

"Andiamo alla scuola di mio figlio, Mauro, più velocemente possibile. La cerimonia doveva iniziare quindici minuti fa ed aspettano me per cominciare, quindi usi tutte le scorciatoie che conosce, purché ci facciano arrivare in fretta"

Appoggia le spalle al sedile di pelle beige e chiude gli occhi, le dita premute all'attaccatura del naso, in un gesto stanco.
È appena fuggito da una mattinata infernale e il tempo che sta per dedicare a quella piccola digressione lo avrebbe dovuto recuperare quella sera stessa per tenere il passo con tutti gli altri impegni previsti in agenda.

Ma ha promesso a Niccolò e si sarebbe tagliato un braccio piuttosto che non mantenere la parola.
Lui, tra l'altro, sarebbe stato presente, in collegamento via Skype, dalla scuola che frequentava negli Stati Uniti e a Giuseppe sfarfalla il cuore al pensiero che lo avrebbe guardato, orgoglioso, consegnare le borse di studio ai diplomati meritevoli del suo ex istituto.

Avrebbe anche dovuto fare un piccolo discorso e a quel proposito, conscio del fatto di non aver preparato assolutamente nulla, si lascia sfuggire un improperio in dialetto foggiano che fa sorridere Giancarlo, il suo capo scorta seduto al fianco del guidatore, e sospirare lui, con un mezzo sorriso.
"De Santis, Loi, voi non avete sentito niente"
Torna a sospirare, conscio del ridacchiare dei due uomini, mentre cerca di recuperare un blocco e una biro dal cassetto portaoggetti dell'auto. L'idea è di provare a raccogliere due idee, giusto per avere un canovaccio su cui intrattenere la platea per una decina di minuti ma non fa in tempo nemmeno ad appoggiare la biro sul foglio che Giancarlo urla una parolaccia ben peggiore e Loi controsterza bruscamente, per poi frenare di botto.
Le imprecazioni di De Santis e lo stridere dei freni non sono sufficienti a coprire un rumore di metallo che sbatte sul selciato, e Giuseppe, contravvenendo ad ogni regola di sicurezza apre la portiera in contemporanea a Giancarlo.

"Ma? Cosa?"
"Presidente, rimanga in auto la prego"
Giuseppe non ascolta le raccomandazioni, non sembrano esserci pericoli per lui ma il fiato gli si spegne in gola alla vista di un ragazzo bruno che, col viso insanguinato cerca di muoversi, a metà intrappolato sotto ai resti di una vecchia bicicletta azzurra.

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