Ho una tazza di tea, profumato e fumante, davanti a me, ma non riesco a risolvermi a berlo o a mangiare la frutta fresca e lo yogurt che mi sono preparata: questa cosa è un pensiero fisso ormai, ricorrente, incancellabile, e quasi annula ogni altra percezione. A fatica riesco a godermi i suoni del mattino, che pure di solito mi rasserenano; fuori l’estate è un tripudio di cielo cobalto e rondoni che volano altissimi ed inconsapevoli: un poco li invidio, per quel rincorrersi infinito e privo dei dilemmi che la coscienza obbliga ad affrontare. L'ennesima notte insonne che ho appena passato si frappone come un limbo tra me e la giornata che devo costringermi a iniziare e la stanchezza che avverto riesce a scardinare definitivamente il desiderio di continuare a nascondermi, che finora ha prevalso su ogni altra cosa. È tornato. Lo so, non è difficile avere informazioni su di lui, basta accendere la televisione. E il solo ricordo della sua figura elegante che scendeva con passo fermo dalla scaletta dell'aereo accende sotto la mia pelle un brivido di irrequietezza e mi accelera il battito cardiaco. È rientrato in Italia lunedì mattina, tre giorni fa, ma io non ho ancora trovato il coraggio di farmi viva e questa cosa mi tormenta, mi toglie il sonno e occupa costantemente i miei pensieri, anche quando mi sforzo di essere concentrata su altro. So che attende notizie da parte mia. L'ho percepito nella velocità con cui mi ha chiamata la scorsa settimana, non appena ha ricevuto il mio messaggio. L'ho sentito nel tono della sua voce, così calda e carezzevole malgrado le parole di circostanza. Così felice di sentire la mia, di voce, malgrado il modo ignobile in cui l'avevo trattato, malgrado la durezza delle parole che gli avevo riservato davanti a quel caffè, quasi un mese fa. Prendo un respiro profondo: devo farlo, devo scrivergli, anche se non posso dirgli ciò che lui vorrebbe sentirsi dire, ma devo farlo, anzi: voglio farlo. Sì voglio farlo, così come voglio vederlo, parlargli, abbracciarlo e vorrei, tantissimo, fare… Recupero il telefono e comincio a scrivere, sperando di conservare questo improvviso coraggio abbastanza a lungo per riuscire a terminare il messaggio. “Perdonami, per non essermi ancora fatta viva. Ti chiedo scusa, per tutto, Giuseppe. Ma credimi, è davvero molto difficile per me… Vorrei tanto dirti che ho deciso, che ti voglio nella mia vita a prescindere da tutto, che non ho più paura. Ma non posso farlo, non sarei sincera, e non voglio mentirti. Ancora non so cosa voglio, Giuseppe: ti voglio al mio fianco e insieme ho paura…
Però ho tanta voglia di vederti, questo non posso e non voglio più negarlo nemmeno a me stessa…se così fosse anche per te, anche sapendo… insomma se ti va di passare per un caffè o un gelato o ciò che preferisci tu, ne sarei davvero felice. Meriteresti così tanto Giuseppe…così tanto più di me…”
Invio senza rileggere, sperando che quel fiume di parole sconnesse riesca a fargli comprendere un po’ della confusione che ho dentro. Ho il respiro corto e le guance in fiamme, getto il telefono sul tavolo e mi stringo le spalle con le mani, gli occhi chiusi e il respiro un’altalena impazzita. “Dio, fa’ che capisca…” mi ritrovo a mormorare
Non so mentire, non l'ho mai fatto. Ed è esattamente così che mi sento, come gli ho scritto: confusa, dilaniata, divisa a metà tra il desiderio di stare con lui, ascoltare la sua voce e respirare il suo profumo e la paura che mi chiude la gola al pensiero di essere mio malgrado causa di disagio per i miei figli.
Ho ancora gli occhi chiusi e le mani serrate forte sulle spalle quando sento lo smarthphone vibrare e istintivamente trattengo il respiro.
“Ci vediamo stasera alle 21, se per te va bene.”
Mi tremano le mani, quando digito che per me va benissimo e premo il pulsante invio. Non ha risposto al fiume di pensieri alla deriva che gli ho scritto, ma sarebbe stato complicato via messaggio, avremo modo di farlo stasera. Appoggio il cellulare e prendo tra le mani la tazza con il tea, lasciandomi avvolgere dal suo tepore. C’è una traccia amara di agrumi, nella fragranza che inspiro, che riaccende il ricordo di un'altra fragranza respirata su una pelle calda e abbronzata, a portarmi il desiderio folle di lasciarmi andare e, semplicemente, vivere. Chiudo nuovamente gli occhi, ma stavolta sorrido.
Quando suona il campanello non riesco a non trasalire. Ho mantenuto la calma per tutto il giorno, al lavoro e più tardi, mentre accompagnavo Carlotta alla stazione. Incredibilmente sono riuscita a rimanere tranquilla anche nell'inconsueto silenzio di casa mia, mentre mi preparavo davanti al grande specchio della mia camera, che mi aveva rimandato l'immagine di una donna vestita in modo spensierato -short e maglietta bianchi, come la leggerezza del cuore che rincorrevo da giorni- ma dallo sguardo incerto, colmo di timore, come i segni scuri che le tante notti insonni avevano lasciato sotto ai miei occhi. Ancora mi ero imposta di rimanere calma mentre controllavo che tutto fosse in ordine e accendevo le candele e le lanterne in terrazza. Per tutto quel tempo ero riuscita ad imporre alla mia mente di svuotarsi e di lasciare spazio solo alla frenesia del mio cuore, impazzito di gioia al pensiero di rivederlo, ma ora, che sento i suoi passi scricchiolare sulla ghiaia del vialetto e poi percorrere leggeri le scale non posso evitare che un refolo diaccio di timore mi avvolga. Mi sono affidata, nel pensare ai suoi sentimenti per me, a ciò che ho creduto di sentire nella sua voce, in quei pochi minuti in cui abbiamo parlato, specchio fedele di ciò che avevamo condiviso: un'appartenenza fisica pressoché totale e un’affinità elettiva sorprendente, ma… potrei essermi sbagliata. Potrebbe essere lui, ora a non essere più interessato a me, così complicata e piena di paure come sono e potrebbe aver deciso di vedermi per dirmelo di persona, da quell'uomo perbene e incredibilmente gentile che è. E se così fosse…
Apro la porta, e provo a sorridere. È vestito di nero, e ha i capelli un poco più corti di quando ci siamo visti l'ultima volta. Sembra ancora parecchio stanco e una serie di piccole rughe gli increspa la fronte, ma sorride e gli occhi sono guardinghi, ma colmi di luce “Ciao, Anna”
Mi scosto, per farlo entrare, poi chiudo la porta e mi ci appoggio. “Ciao, Presidente” Lui si volta e mi porge un pacchetto .”Ho preso il gelato, spero di aver indovinato i vostri gusti”
Sento i suoi occhi su di me, e sento l’aria intorno a noi farsi più densa, come se già la sua pelle avesse riconosciuto la mia. Allungo il braccio per prendere la scatola e intanto che mi muovo per andare a riporla nel freezer, lo sento muovere qualche passo. La sua voce mi raggiunge mentre ancora gli volto la schiena. “I ragazzi? “ Chiudo lo sportello e mi volto, cerco i suoi occhi e deglutisco. ”Riccardo e Massimo sono andati a fare visita ai miei genitori, in Piemonte e Carlotta è partita oggi pomeriggio con la squadra “ vedo che deglutisce anche lui e schiude le labbra, gli occhi fissi sul pulsare della mia gola “per la gara di cui ti ha parla…” Compie un paio di passi ed in un attimo è vicinissimo a me, ho le sue mani intorno al viso e il suo corpo caldo addossato al mio. C’è elettricità intorno a noi, un’aura di passione trattenuta quasi tangibile. Sento la sua bocca sul mio zigomo, e la sua voce spezzarsi, soggiogata da qualcosa che non può più contenere. Parla con un tono basso, roco, che graffia i miei sensi e scardina ogni barriera. Ciò che c’è fra noi è fuoco che non si può spegnere, o negare. “Ti desidero, Anna” sussurra “ti voglio così tanto che mi manca il fiato” Sento il suo respiro accelerare, come se davvero gli mancasse l'aria “Tu mi vuoi?” Mentirei se dicessi di no. Lo voglio, l'ho voluto e desiderato per tutto il tempo in cui siamo stati separati. Non posso più negarmelo. Sarò sincera con lui, non mi nasconderò più. Chiudo gli occhi e abbandono indietro la testa, offrendogli la gola. “Sì, sì, ti voglio.” Cattura la mia bocca con un bacio avido, sporco, quasi cattivo. C’è dentro la solitudine che ha sofferto e la paura che di certo anche lui deve aver provato. Lo ricambio, con tutto l’ardore che posso, perché anche io mi sono sentita sola e dannatamente in colpa e ho avuto, e ho ancora, tanta paura. Mi stringe a sé e in qualche modo raggiungiamo il tappeto, che ci accoglie ansimanti e bisognosi, talmente affamati da essere incapaci di aspettare di essere nudi. Ci prendiamo così senza più parole, con gli abiti malamente scostati e gemiti impudici e soffocati che diventano ansiti sempre più feroci e desiderio di annullarsi ad ogni affondo. Come posso resistere e non donargli la mia anima se lui mi sta offrendo in questo modo la sua?
Ho il viso appoggiato sul suo petto, e la sua pelle è tiepida e asciutta, là dove la camicia malamente sbottonata non la ricopre. Sento il suo battito nuovamente regolare e seguo con le dita il percorso dall'incavo della gola alla clavicola, alla spalla. Anche le sue mani mi dispensano carezze leggere, sul fianco e lungo le costole, fino all'attaccatura del seno. Non so da quanto tempo siamo abbracciati, i cuscini che ho trascinato giù dal divano a sostenerci e le prime avvisaglie di scuro, a far da sfondo alle luci colorate delle lanterne. Nessuno dei due avverte il bisogno di altro che non sia questo percorrersi lento, quasi ipnotico che continua per minuti infiniti, quasi che ciò che più è urgente da dire siano le nostre dita a raccontarselo con un linguaggio che non ha bisogno di suoni. Il buio è arrivato del tutto, quando la sua voce spezza il silenzio, preceduta da un profondo respiro. “Come stai?” Inspiro a fondo anche io prima di rispondere
“Sto bene. Molto bene. E tu?”
“Meglio…ora” mi stringe il fianco e ridacchia nei miei capelli. “Che spudorato” sussurro con un sorriso, a cui lui risponde con un bacio “ Non solo per questo in realtà.” Mi cinge anche con l’altro braccio, un cerchio caldo da cui non vorrei uscire più. “Il viaggio è stato lungo e molto, molto faticoso. Estenuante, sotto certi aspetti, soprattutto per la sua vacuità.” Gli sfugge un sospiro “Credo di non essermi mai sentito così inutile. E così solo. La sera in cui mi hai scritto io ero sul punto di…di arrendermi. Stavo perdendo la speranza che tu potessi amarmi e stavo per cedere alla disperazione”
La sua voce reca con sé ancora un piccolo residuo di quel vuoto che mi sta raccontando e mi si stringe il cuore, per essere stata in parte causa di quella desolazione.
La mia mano si posa sulla sua guancia, per domandargli di guardarmi. Intravedo tutto il male che ha vissuto, nei suoi occhi, ma ci trovo anche una speranza indomita, che riluce come brace sotto la cenere. Devo parlargli, ora, non posso più farmi aspettare.
“Mi sei mancato anche tu, anche se ho fatto di tutto per negarmelo, fedele fino in fondo alla stronza senza cuore che avevo deciso di essere. Ma quando ti ho visto in quel servizio, e ho visto cosa c’era sul tuo viso...mi si è spezzato il cuore e… “ sento la sua bocca sulla mia tempia e la sua voce “Va tutto bene, davvero” Chiudo gli occhi perché sento le lacrime pungere e stavolta non voglio piangere “No, invece non va affatto bene perché so cosa vorresti da me, Giuseppe. E credimi, una parte di me lo vorrebbe, lo vuole ferocemente. Ma davvero, non so se posso, non so se sono pronta ad affrontarla una cosa così…” Accarezzo ancora la sua guancia ”Meriti più di questo Giuseppe…capirei se tu ora…”
Nei suoi occhi c’è ancora quel rilucere di braci lontane, le mie parole non le hanno spente. E sorride, sereno e assolutamente felice.
“Andiamo via qualche giorno, solo tu ed io.”
Sono i suoi occhi a reclamare i miei adesso.
“Ho un casale in Toscana vicino a Volterra. Non lo sa nessuno, l'ho acquistato anni fa ma non ci sono praticamente mai stato. Regaliamoci qualche giorno, noi soli. Niente scorta, niente Presidente del Consiglio, niente ansie, o paure. Solo Anna e Giuseppe. Perché io possa dimostrarti quanto meravigliosamente felici saremo capaci di essere insieme. Io non voglio nessun altra, e so che nel profondo del tuo cuore anche tu sai che siamo fatti per stare insieme…lascia che provi a dimostrartelo. Lasciamoci vivere, ti prego.”
Lo guardo, e di nuovo vorrei piangere, per quanto sono sorpresa, perché di nuovo i nostri desideri coincidono: lasciarci vivere, escludere il mondo, i dubbi, le incertezze, tutto ciò che non siamo noi. E invece sorrido, grata al destino per aver messo sulla mia strada quest’uomo caparbio e dolcissimo che invece che arrendersi alla mia confusione vuole legarmi ancora più a sé. Alzo gli occhi al cielo, mentre cerco la sua bocca. “Come fai, Giuseppe a non perdere le speranze, con una come me?”
Risponde sulle mie labbra, mentre rinserra la stretta delle braccia. “Perché non mollo mai…ricordi? Per aspera ad astra”
Ricordo, e annuisco. E lui sorride “E un sì?”
È un sì. Lasciamoci vivere
Che pazienza pover'uomo… speriamo almeno sia la volta buona! 😉
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CIÒ CHE CONTA DAVVERO
FanficLa nostra vita è fatta di momenti. Alcuni ci scorrono addosso senza lasciare tracce, altri invece sono destinati ad essere il punto di partenza di eventi che non saremo in grado di controllare e rimangono impressi nella nostra mente e nel nostro cuo...