Capitolo 11 - Pensaci

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Quindi non riusciremo a vederci nemmeno stasera?”
Un leggero velo di sudore mi imperla il labbro superiore, e non solo per il caldo arrivato improvviso in questi primi giorni di giugno. Riesco a percepire il suo disappunto, anche attraverso le parole del messaggio. E mi tremano un poco le mani, quando digito la risposta.
Purtroppo no, mi dispiace. Carlotta si sta ancora allenando e faremo di sicuro tardi… Sarà per un'altra volta, perdonami."
Premo il pulsante invio e chiudo in fretta la chat,  per non vedere una sua eventuale risposta né le decine e decine di messaggi simili che ci siamo scambiati nelle settimane precedenti.
Mi vergogno molto di come mi sono comportata e di come mi sto ancora comportando: ho declinato ogni invito Giuseppe mi abbia rivolto, ricorrendo alle peggiori scuse. Un paio di volte ho persino evitato di rispondere alle sue chiamate e quando l'ho fatto sono stata distaccata ed evasiva, comportandomi come se stessi parlando con un estraneo un po’ fastidioso e non con l'uomo il cui ricordo ancora riusciva a spezzarmi il respiro.
So che mi sto comportando come la peggiore delle vigliacche -per usare un eufemismo- ma stargli fisicamente lontana è l'unico modo che ho per non soccombere alla tentazione di imbarcarmi in una relazione che non posso assolutamente permettermi di vivere.
Nelle ore successive alla serata trascorsa con lui l’impossibilità della cosa mi si era palesata in tutta la sua drammatica evidenza. Le parole di Giuseppe circa il fatto che la sua figura fosse sempre al centro di gossip di ogni tipo mi aveva richiamato con prepotenza alle mie vere priorità: proteggere la mia famiglia, tenerla al sicuro da ingerenze e rievocazioni di un passato da cui eravamo fuggiti e che stavamo appena riuscendo a superare. Non volevo finire al centro di pettegolezzi o articoli strappalacrime, né tantomeno volevo che la serenità dei miei figli, così difficilmente riconquistata, potesse essere messa alla prova in alcun modo.
Giuseppe e il suo fascino, la nostra incredibile affinità e quel nostro amarci così intenso e travolgente erano stati un bel sogno, ma tali dovevano rimanere, per quanto difficile fosse da accettare.
Sospiro, mentre sbircio con un filo di timore se per caso è arrivata una sua risposta. Nulla, solo le due spunte blu che indicano la lettura del messaggio, ma nessuna replica. Ripongo il cellulare, con un piccolo groppo in gola.  Sembrerebbe che si sia stufato del mio continuo trovar scuse e che abbia deciso di mandarmi a quel paese. È quello che spero decida di fare, che sto provando a fargli fare: che decida lui anche per me, visto che io, benché stia cercando di fare di tutto per non vederlo più, non ho il coraggio di dirglielo.
Sbuffo, e cerco un fazzolettino nella borsa, per asciugarmi le lacrime poi mi affretto a indossare gli occhiali da sole. Sono una dannata codarda. Anzi, diciamola tutta: sono un'imperdonabile stronza. Un uomo come lui non merita un comportamento così meschino, ma davvero non riesco a decidermi a parlargli chiaro, a dirgli che non posso avere una storia con lui, che non voglio più vederlo.
E, in cuor mio ne conosco bene anche la ragione, che è semplice quando difficile da ammettere. In realtà vorrei vederlo e passare ogni istante del mio tempo con lui, con tutto il cuore. Vorrei potessimo vederci ogni sera, a cena, tutti insieme come in quelle meravigliose serate che abbiamo condiviso. Vorrei poter restare accanto a lui sul divano, a sonnecchiare davanti a una serie TV . Vorrei sentirmi al sicuro tra le sue braccia e fare l’amore con lui, ogni.volta che ne abbiamo voglia. E svegliarmi con lui, sorridergli assonnata, baciarlo su una spalla e passare il pollice su quelle meravigliose piccole rughe che gli ornano il contorno degli occhi, e poi baciarlo di nuovo, appoggiata al piano della cucina con intorno il profumo del mio caffè.
Le lacrime tornano a scorrere ma non faccio nulla per fermarle: mi concedo almeno di poter piangere visto tutto quello a cui sto rinunciando.
Saluto  Carlotta che mi sta sfrecciando davanti sorridente e trattengo a stento un singhiozzo. Ho fatto tutto quello che ho fatto negli ultimi due anni per ritrovare quel genere di sorriso, sui volti dei miei figli e non manderò in fumo tutto proprio ora. Vorrei poter stare con Giuseppe, sempre, in ogni istante della mia giornata, con ogni fibra del mio corpo. Ma non posso permettermi di fare piombare nella loro esistenza una cosa così difficile da gestire come una mia relazione con il Presidente del Consiglio. Perciò benché io voglia Giuseppe come non pensavo avrei più voluto qualcuno nella mia vita, devo troncare questa cosa ora, quando ancora non ci siamo fatti troppo male, quando ancora non mi sono completamente…
Il cuore mi manca un battito: un uomo è appena entrato nella tensostruttura, e sta venendo con passo deciso verso di me. Ha un berretto a visiera calcato in testa e un paio di occhiali da sole scurissimi, ma è lui, ne sono certa: riconoscerei quella bocca ovunque, benché sia piegata in una smorfia tirata e non nell'affascinante sorriso che ricordavo.
Raggiunge il posto in cui sono seduta, poi si piega leggermente verso di me, appoggia le mani sui braccioli di plastica della sedia e mi avvolge col suo profumo, appena sporcato da una traccia salata di sudore. Indossa un pantalone grigio elegante, da completo, e una camicia bianca, rimboccata fino al gomito e un poco aperta sotto la gola. Deve aver lasciato la giacca e la cravatta in auto, per il caldo e, probabilmente, per cercare di non essere riconosciuto.
Non mi saluta, e dal lieve sibilo con cui scandisce le parole mi rendo conto di quanto sia nervoso.
“Potresti uscire un minuto?” mormora vicino al mio orecchio “penso che dovremmo parlare”
Riesco a malapena ad annuire e lo seguo, il frastuono dei pattini sul cemento annullato dal martellare furioso del cuore.
C’è un chioschetto con un paio di tavolini, a pochi metri dal pallone ed è lì che ci dirigiamo. Giuseppe ordina due caffè e due bicchieri d'acqua poi si siede davanti a me. Toglie il berretto e si passa nervosamente una mano tra i capelli, poi non appena ci vengono serviti i caffè toglie anche gli occhiali e cerca il mio sguardo.
“Che succede Anna? Vuoi dirmelo?”
Ha gli occhi arrossati e cerchiati di scuro e le rughe sul suo volto sembrano più profonde, come se gli fosse piombato addosso un carico di fatica troppo immane da sopportare.
Deglutisco con difficoltà e provo a parlare ma la voce non riesce a superare l’ostacolo della gola, serrata in un nodo di lacrime e angoscia. Bevo un sorso e distolgo lo sguardo dal suo volto, cercando invano di trattenere le lacrime. Finalmente, riesco a ritrovare il respiro, e a parlare.
“Come mi hai trovata?” gli domando “Credo di non averti mai detto dove si allena Carlotta.”
Lui sorbisce il caffè, e appoggia la tazzina sul piattino con un gesto irritato, provocando un rumore sgradevole. “Sono il Presidente del Consiglio” mi risponde con un tono gelido che non gli riconosco “Se voglio trovare una persona ci riesco.” Poi la durezza del suo tono si stempera “Però non capisco cosa c’entri questo con ciò che ti ho chiesto…”
Devo bere un altro sorso d'acqua per riuscire a ingoiare le lacrime e trovare la voce.
“C’entra moltissimo, invece. Dovrebbe dirti quanto sono lontani i nostri mondi, le nostre vite…quanto è sbagliato pensare che sia possibile farle incontrare…”
Lo vedo prendere un respiro profondo, e comprendo che benché sia arrabbiato stia facendo di tutto per governarsi.
“Perdonami, ma proprio non riesco a capire. Due settimane fa abbiamo trascorso una serata meravigliosa e abbiamo fatto l'amore in modo…” si ferma all'improvviso, come se non riuscisse a  trovare le parole.
“Come non mi era mai capitato di farlo…” Ora parla a bassa voce, e la sua mano è scivolata sulla mia. “Ti ho riaccompagnata a casa, e mi hai detto che ci saremo rivisti presto.” Ha un tono accorato, ora, che mi spezza il cuore.
“Invece da quel giorno mi eviti. Non rispondi alle mie chiamate o se lo fai parli a monosillabi. Rifiuti ogni invito, rispondi no a tutte le mie proposte, non hai mai tempo nemmeno per un caffè…mi tratti come un estraneo.” Le sue dita premono forte sulle mie “ma io so di non essere un estraneo. L'ho sentito cosa è successo tra noi, in quel letto, e sono certo che l'hai sentito anche tu.”
La sua mano lascia la mia e sale verso il mio volto, per togliermi gli occhiali. Chiudo gli occhi, e scosto il viso, ma so che le sue dita hanno già incontrato il bagnato delle lacrime.
“Vuoi dirmi che succede, Anna?
Non posso più sottrarmi al suo sguardo. Recupero un respiro e provo a dare corpo alla mia voce.
“Succede che ho paura Presidente. Che pensare di legarmi a te mi spaventa a morte… per quello che potrebbe succedere alla mia vita, e a quella dei ragazzi. Non sono…”
Avvicina di più la sedia alla mia e cerca di nuovo la mia mano, districandola dal bordo della sedia a cui mi sono aggrappata, per trovare la forza di parlare. 
“È per quello che ti ho raccontato su di me? Su quanto sia difficile la vita di un personaggio pubblico?”
Riesco a fare sì con la testa, poi mi riapproprio dei miei occhiali da sole e torno ad indossarli.  È più facile parlare dietro il loro scudo.
“Sì proprio per quello. Quando mi hai spiegato che sarebbe bastato fare una cosa semplice come chiamare un taxi per scatenare un putiferio mediatico mi sono resa conto di non essere preparata a essere sbattuta in prima pagina.” Prendo un respiro, per riuscire a trovare il coraggio di proseguire “di non volere che la mia vita e quella dei miei figli venisse scandagliata e sezionata… e giudicata.”
Lo guardo e l'espressione sul suo viso, a metà tra l’incredulo ed il rassegnato mi dà la forza di andare avanti. “Forse per te ormai è diventato normale, ma per me è atroce, un pensiero che non mi fa dormire la notte… vedo già i titoli: -La Pasticcera e il Presidente- oppure -Conte e la vedova allegra-. E vedo la mia storia, e la storia di Marco, rievocata e sbattuta in prima pagina, insieme al nostro dolore, quello che abbiamo cercato di lasciarci alle spalle venendo qui.
Non so se sono pronta Giuseppe. Anche se mi sono resa conto di tenere a te al punto di non aver trovato il coraggio di parlarti.”
Ora vedo il dolore sul suo viso e la rabbia, la frustrazione. Cerca le parole a lungo e quando parla anche il tono della sua voce, oltre che il suo viso, mi dicono quanto sia importante per lui ciò che sta dicendo.
“Anche io tengo moltissimo a te, Anna. Hai fatto tornare in vita una parte del mio cuore che credevo morta per sempre, mi hai fatto sentire vivo e grato, e felice. Ma non posso pensare che la mia presenza sia per te fonte di sofferenza, non potrei sopportarlo…”
Si interrompe un attimo per prendere fiato, come se un peso gli gravasse forte sul petto.
“Quello che tanto ti spaventa, l’ingerenza del mondo nella nostra storia, possiamo affrontarlo, ma dobbiamo farlo insieme. Devo essere sicuro che mi vuoi nella tua vita, come io ti voglio nella mia…”
So che attende una mia risposta. Me lo dice l'espressione del suo viso, il suo sguardo interrogativo, la sua mano che stringe forte la mia.
“Anna?”
“Non lo so, Giuseppe” Davvero non lo so. Vorrei con tutto il mio cuore potermi fidare di te, arrendermi, pensare a niente altro che al mio cuore che invoca il tuo, ma non so se posso farlo.
“Non lo so…”
Il trillo del mio telefono posato sul tavolino interrompe ogni sua replica. Sullo schermo il viso di Lottie, e quando rispondo la sua voce, fresca ed inconsapevole. “Ho finito, mamma. Dove sei?”
Le dico di uscire e raggiungerci al chioschetto e pochi minuti dopo è con noi, un vulcano di parole che si sovrappongono e di felicità allo stato puro.
“Sono in squadra, mamma! Ce l'ho fatta, mi hanno selezionato! Non sai quanto sono felice!” Mi abbraccia, senza smettere di sorridere e di raccontarmi mille particolari che faccio fatica a capire. Sbircio il volto di Giuseppe, al disopra della spalla di Lottie e lo vedo illuminarsi di un sorriso dolcissimo. Sorriso che si amplifica a dismisura quando mia figlia si accorge di lui e gli regala un abbraccio altrettanto caloroso. “Giuseppe! Ciao! Parteciperò alla gara nazionale! Verrai a vederla, insieme alla mamma?”
L'espressione di Giuseppe, nello sciogliersi da quell'abbraccio mi schianta l'anima. I suoi occhi rimangono per qualche istante su Carlotta, colmi di affetto dolente e infinitamente tristi per il calore di quell'abbraccio già perduto.
“Non sai quanto mi piacerebbe, Carlotta” risponde, tornando a cercare il mio sguardo.
Ed è a me che si rivolge, ora, perché sono io quella che deve prendere una decisione
“Parto domani, per una lunga serie di impegni che mi terranno lontano da Roma per più di tre settimane.” C’è sofferenza, nel suo sguardo, e una richiesta a cui so che non potrò sottrarmi. “Ti prego, Anna, pensa a ciò che vuoi che sia, di noi due”



Coraggio, Anna, ce la puoi fare!!! ♥️

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