Capitolo 3 - Un ricordo prezioso

811 43 5
                                    


La notte era già alta, dietro le finestre del suo ufficio.

Dopo aver informato Niccolò di quanto successo, Giuseppe aveva cercato di recuperare tutto il tempo perduto in ospedale concentrando il più possibile gli incontri previsti per il pomeriggio, senza concedersi nemmeno una pausa per il caffè.

Era stata la scelta giusta, ma ora, alle 21 passate, era allo stremo e lo aspettavano ancora almeno altre tre ore di lavoro, per giungere preparato all'incontro con le delegazioni previsto per il giorno successivo.

Guardò sconsolato il vassoio che la sua assistente aveva lasciato sul tavolo alla sua destra -le fantasmagoriche cene del Presidente: panino tonno, uova e maionese e bottiglietta di acqua gasata, niente dolce, perché era dieta e perché era terminato- e sospirò, poi estrasse un foglietto stropicciato dalla tasca.

Prima di porgerlo a Caterina, che aspettava in piedi vicino alla scrivania pescò l'Iphone nascosto sotto una pila di scartoffie e scattò una fotografia. "Faccia recapitare un cellulare e una bicicletta da uomo a questo indirizzo, per cortesia, " disse poi "accompagnati dalla busta che troverà tra la corrispondenza da smistare domattina. Mi raccomando, scelga il top di gamma per entrambi i prodotti e ricordi che sono spese da addebitare al mio conto personale, non a quello istituzionale."

Si guardò intorno un attimo, come per raccogliere le idee poi il suo sguardo si posò su due oggetti, uno scuro ed uno bianco appoggiati sul divano damascato davanti a lui.

Si alzò e li raggiunse, seguito da Caterina, a cui porse la camicia bianca con un mezzo sorriso "... E mandi in tintoria questa!" il sorriso si trasformò in una piccola risata "Non sono mai rientrato a casa con una camicia così macchiata di trucco, nemmeno.." si interruppe imbarazzato e si passò una mano tra i capelli, conscio dell'espressione sorniona che gli si era dipinta in faccia e che si era riflessa sul volto della sua assistente, che aveva distolto il viso, visibilmente in difficoltà "... vabbè lasciamo perdere.”
Sospirò, poi riprese nuovamente un tono più serio. “Può andare per questa sera, la ringrazio."

La ragazza prese la camicia poi accennò col mento all'altro oggetto, scuro e sgangherato " E di quello, Presidente, che ne facciamo?"
Lui si portò le mani al mento e si passò il pollice sul labbro inferiore avanti e indietro, come spesso faceva quando gli occorreva riflettere su un argomento particolarmente spinoso. "Francamente Caterina non lo so, ho bisogno di pensarci un attimo. Le farò sapere."

Uscita la ragazza tornò verso il tavolo e si sedette davanti il vassoio per consumare la sua cena, sempre con la testa agli avvenimenti del pomeriggio.
Terminò di mangiare in fretta e fu quasi senza rendersene conto che si ritrovò sul divanetto e fece scattare la serratura della custodia nera.

Lo strumento giaceva nel suo nido di velluto porpora, riposto con cura malgrado i danni fossero talmente grandi da chiedersi se ne valesse la pena.

Ritrovò quegli occhi scurissimi, pieni di una rabbia e di un dolore che aveva faticato a spiegarsi, ne ricordò i gesti attenti per provare a riavvicinare i due pezzi di archetto e il ponticello devastato, le dita che carezzavano la profonda crepa che attraversava praticamente tutta la cassa e poi i pugni serrati con forza, quando si era reso conto che nulla di ciò che avrebbe fatto avrebbe potuto cambiare le cose.

Giuseppe aveva provato a confortarlo, promettendogli di acquistarne un altro ma ne aveva avuto in cambio una risposta secca e tagliente, anche se non offensiva "Non credo lei possa capire" .
Le nocche gli erano ulteriormente sbiancate, e lui aveva provato un senso di impotenza smisurato, di fronte al quel giovane uomo così sofferente e arrabbiato ma così composto.

Gli era tornato in mente un altro tipo di dolore, a cui aveva dovuto assistere anni prima e un brivido gli era corso lungo la schiena.
"Aiutami a capire, allora" avrebbe voluto dirgli, ma proprio in quell'istante era entrata sua madre e il loro colloquio si era interrotto.

A Giuseppe mancò un battito, nel ricordo.

Che donna incredibile, sua madre! Vera, intensa, paurosamente sincera e... dannatamente bella.

Aveva fatto fatica a staccarle gli occhi da dosso, quando erano riusciti a parlare dopo che i singhiozzi si erano acquietati, un po' alla volta.

L'aveva staccata da sé lentamente -aveva dovuto farlo o non sarebbe più riuscito a mascherare come il suo corpo stava iniziando a reagire al profumo di lei, a discapito del momento tutt'altro che appropriato- le aveva galantemente offerto il suo fazzoletto con tanto di cifre ricamate - e lei vi si era rumorosamente soffiata il naso - e l'aveva fatta sedere su una delle poltroncine.

Poi era andato a prenderle un bicchiere d'acqua al boccione in fondo alla saletta e aveva approfittato della pausa per ripetersi l'alfabeto greco al contrario - il miglior inibitore della libido che gli era venuto in mente- e finalmente dopo aver bevuto aveva cominciato a parlare.

Le prime parole erano state scuse: per la parolaccia, per la camicia macchiata, per...
a dirla tutta si era perduto gran parte di quella prima parte di discorso, perduto com'era a osservarla: riccioli castano dorato, ribelli e scomposti, inframmezzati da fili d'argento che, lungi dall'essere sgradevoli, donavano a quella massa serica luce e, quasi, vita propria ad ogni movimento.
Pelle diafana, e piccole splendide rughe intorno a quello sguardo da sirena ed alla bocca piena, anch'essa meravigliosamente segnata da molti sorrisi.
Pochissimo trucco, - ormai quasi tutto sparso sul popeline pregiato della sua camicia-  e un corpo fiorente, seno prosperoso a malapena celato dalla maglietta bianca e dal parka grigio perla slacciato - Gli era toccato di ricominciare col maledetto alfabeto: omega, psi, chi, phi...- gambe lunghe e ben tornite, e quel ginocchio tondo appoggiato al suo -upsilon, tau, sigma... Che cacchio c'era dopo sigma?? -

Poi la voce di lei aveva assunto un altro tono, più urgente e doloroso che lo aveva richiamato, come il suono dirompente di un tuono a spezzare il calore di un pomeriggio d'estate.

CIÒ CHE CONTA DAVVERODove le storie prendono vita. Scoprilo ora